Educazioni saperi competenze
Luciano Corradini*
Ringrazio il collega Cocciolo
e gli amici del CIDI di Brindisi, che mi hanno invitato a questo convegno,
cui partecipano anche i colleghi dell’UCIIM. Stiamo cercando di costruire
un forum fra le associazioni d’insegnanti a Roma, presso il Ministero,
ma credo che in ogni provincia e in ogni regione le nostre associazioni
“generaliste”, cioè non caratterizzate da attenzioni relative ad una
sola disciplina, dovrebbero incontrarsi e collaborare il più possibile,
perché le questioni della scuola sono sempre più cruciali, mentre la
sensibilità e la stima dei colleghi per queste forme d’impegno non crescono
come sarebbe utile e desiderabile. Siamo alla vigilia del 10 dicembre,
anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo,
alla quale non posso non fare riferimento, nell’affrontare il tema delle
educazioni, dei saperi e delle competenze nella scuola.
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Educazioni a sinistra?
Pongo anzitutto una domanda
stravagante. Le “educazioni” sono di sinistra o di destra? Qualcuno
ha voluto presentare anche così questa problematica. Mi pare che per
Maragliano e Vertecchi siano “di
destra”, o per lo meno non di quella sinistra austera e illuminata (o
illuministica?) di cui hanno spesso sostenuto le ragioni. Molti colleghi
sono incerti. E’ un fatto che sono frastornati dalla molteplicità delle
attenzioni educative, ognuna delle quali sembra pretendere un posto
al sole nel curricolo scolastico, magari col lasciapassare di un progetto
ministeriale, col risultato che si rischia di perdere la bussola dell’insegnamento
e di una ordinata vita scolastica. Io penso piuttosto che siano la stella
polare o, se si vuole, una costellazione di valori che danno senso,
direzione e forse anche un po’ di forza alla scuola. A certe condizioni,
però.
Mi limito a ricordare che la
sinistra ha sostenuto a lungo l’introduzione dell’educazione sessuale
nella scuola, con legge; che la Jervolino Vassalli è la legge antidroga
sostenuta dal centro sinistra; che in Parlamento, Camera e Senato, il
centro sinistra presentò due mozioni per chiedere l’introduzione
“seria” dell’educazione civica; che il CNPI rilanciò al Governo “tecnico”
di Dini e Lombardi questa richiesta, che fu accolta, con l’istituzione
della Commissione pluralistica che elaborò il documento allegato alla
direttiva 8.2.1996 n.58, dal titolo Nuove dimensioni formative, educazione
civica e cultura costituzionale e stese un curricolo continuo di educazione
civica e cultura costituzionale. Lo stesso CNPI approvò all’unanimità
la richiesta che questo nuovo curricolo potesse entrare subito in vigore,
sia pure con dubbi e resistenze di corridoio, che rallentarono il percorso,
impedendo di fatto la firma del decreto da parte di Lombardi.
Berlinguer introdusse il ‘900
nei programmi degli anni terminali, ma dell’educazione civica non fece
nulla. La sintesi della relazione di Maragliano al Ministro, pur avendo
la Commissione ristretta scelto di non occuparsi esplicitamente del
problema dei valori, ne parla con apertura e pertinenza. I curricoli
della Commissione De Mauro l’hanno riproposta con parole persino enfatiche,
ma con incertezza di collocazione curricolare. La relazione Bertagna,
avendo in mente la possibilità di ridisegnare l’intero sistema scolastico
e formativo, tenta il disboscamento di una vegetazione più o meno spontanea,
nata in climi politico ideologici diversi, incorrendo nella parzialmente
infondata accusa d’aver sacrificato il tempo pieno e la comunità scolastica,
ma affida ai docenti il compito di educare a tutto tondo, in prospettiva
interdisciplinare, nell’ambito delle rispettive discipline.
Nelle “bozze” programmatiche
da lui ispirate, citano esplicitamente le “educazioni”, come esplicitazione
dell’educazione civile, incorrendo nei fulmini di Galli Della Loggia
(Corriere della Sera, 31 8 02), che in vede in questa proposta legge
“una vera e propria pietra tombale calata sull’idea di cultura che finora
ha dominato il nostro sistema educativo. Dell’idea di cultura, cioè,
che storicamente discende dalla grande tradizione dell’Umanesimo occidentale”.
Ho cercato di rispondergli, riconoscendo che le formule sono tutte discutibili,
ma che non si vorrebbe che proprio in nome della cultura si negasse
il problema e si ridicolizzasse lo sforzo di mediazione, che punta a
ridare alla cultura umanistica quella dignità e quell’efficacia formativa
che nel mondo laicizzato, pluralistico, contraddittorio di oggi non
scendono automaticamente per li rami, fino a far capire il senso del
pagare le tasse e del non drogarsi.
Educazioni a destra?
Il disegno di legge delega
Moratti (n.1306) parla di educazione ai fondamenti della convivenza
civile e dice addirittura che “sono favorite la formazione spirituale
e morale, lo sviluppo della coscienza storica e di appartenenza alla
comunità locale, alla comunità nazionale e alla civiltà europea”.
Ora una trentina di deputati
di Forza Italia (Parodi e altri, n.1988, 1989, 1990, 19 novembre 2001)
chiedono con proposta di legge che educazione civica, educazione alla
salute, educazione ambientale diventino materie autonome, con tanto
di voto distinto e rispettivamente con tre ore al mese ciascuna.
Forse lo si fa per salvarsi
l’anima, non per dare alla scuola quel supplemento d’anima di cui c’è
bisogno. Forse è per colpa della complicata storia italica, patria di
Machiavelli e di Guicciardini, che non si riesce a parlare di educazione
morale senza evocare il moralismo, di educazione sessuale senza evocare
libertinaggio o bacchettonismo, di educazione politica senza evocare
risse ideologiche o di potere, e via elencando. Si proclamano principi,
magari si stanziano fondi, si lascia che qualcuno si muova, poi, appena
si spengono i riflettori, lo si abbandona al suo destino, dicendo che
il problema è un altro; naturalmente fino al prossimo incidente o alla
prossima emergenza: dopo di che i ministri annunciano che sarà introdotta
l’educazione fiscale, l’educazione antipedofilia, l’educazione a tutto
quello che non c’è e di cui si coglie la necessità, quando qualche bene
è minacciato.
Sarà per la debolezza degli
“educazionisti”, o per il funzionalismo emergente a destra come a sinistra,
o per il qualunquismo sotterraneo, o per le delusioni patite, fatto
sta che, anche nei curricoli universitari, le prospettive “generali”,
di tipo contemplativo o sistemico, che tendano a mettere d’accordo ciò
che si pensa ciò che si dice e ciò che si fa, cercando di portare la
prassi a livello di pensiero e non viceversa, sono avvertiti come spiritualismi
e moralismi, o all’opposto come aggiunte inutili o addirittura dannose
per l’efficienza della macchina e per il successo scolastico e lavorativo
dei ragazzi.
I quattro pilastri di Delors
Eppure, almeno a parole,
nessun Paese e nessuna forza responsabile è disposta a fare sconti all'educazione e alla
scuola per quanto riguarda l'impegno a promuovere generazioni capaci
di affrontare i problemi che nascono dai deficit non solo di natura
economica e fisica, ma anche di natura cognitiva, culturale e morale.
Basti pensare ai documenti degli organismi internazionali e al rapporto
dell'UNESCO, curato da Jacques Delors, dal titolo emblematico: L'Education
un trésor est caché dedans, Paris 1996 (Nell'educazione un tesoro,
Armando Roma 1997). Il tesoro non è solo di tipo cognitivo, perché lo
si può trovare e costruire sulla base di questi quattro pilastri:
“imparare a conoscere, imparare a fare, imparare
a vivere insieme, imparare ad essere”.
A coloro che pensano che alla scuola bastino i primi
due, e cioè il conoscere e il fare, lasciando a famiglie, chiese, sindacati
e partiti (senza dimenticare i media, gli stadi e le discoteche, e…
le associazioni a delinquere) l’imparare ad essere e a vivere insieme,
si può ricordare che la “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo
del 1948 è stata fatta, come dice il suo preambolo, “al fine che ogni
individuo e ogni organo della società, avendo costantemente presente
questa dichiarazione, si sforzi di promuovere con l’insegnamento e l’educazione
il rispetto di questi diritti e di queste libertà e di garantirne, mediante
misure progressive di carattere nazionale e internazionale, l’universale
riconoscimento e rispetto”.
Se ogni individuo e ogni organo della società sono
tenuti ad educare e ad insegnare per promuovere il rispetto di questi
diritti e di queste libertà, a maggior ragione questo vale per noi insegnanti
e per le scuole.
So benissimo che è difficile insegnare a vedere
questi principi, a interiorizzarli e a utilizzarli come
criteri di valutazione e di condotta per la vita quotidiana. Il cosiddetto
politeismo dei valori di cui parlava Max Weber sembra frammentare e
inquinare, come il buco di ozono, anche il cielo dei principi, riconquistato
dopo la guerra mondiale. Il consumismo fa il resto.
Sicché c’è la tentazione di tacere, di parlare d’altro,
di farsi “i fatti propri”. E di farsi complici delle conseguenze del
mancato rispetto dei diritti. Il testo della Dichiarazione ci ricorda
che il successo dell’operazione dipende anche da ciascuno di noi, perché
l’insegnamento e l’educazione hanno a che fare con le forze deboli ma
insostituibili della ragione e della libertà.
Si può anche calpestare la libertà, con varie forme
di plagio: lo si è visto e lo si vede in tutte le dittature, che talora
possono sradicare dalla mente e dal cuore dell’uomo il senso della verità
e il rispetto dei valori umani, compromettendo gravemente il retto uso
della ragione. Purtroppo Auschwitz non appartiene solo al passato.
Ma se l’educazione non è onnipotente, non lo è neanche
la diseducazione di stato, come dimostrano le vicende dei paesi dell’Est
europeo e dell’URSS. Volevano radicare l’ateismo di stato. Invece il
leninismo è morto e la religione sta risorgendo, sia pure fra lacerazioni
e sbandamenti, come ci dicono i colleghi dell’Est con i quali facciamo
i convegni annuali del SIESC. Ma la maggioranza vive come se fosse orfana
di Dio e dello Stato comunista, in preda alla delusione e al fascino
del consumismo che alimenta una delinquenza prima ignota.
Se si trattasse soltanto di imparare a memoria l’elenco
dei diritti umani, non ci sarebbero difficoltà.
Il problema è capirli, amarli, applicarli anche quando
cosata fatica e perfino pone dei problemi di coscienza, come quando
si debbono rispettare i diritti di libertà e quelli di uguaglianza,
quelli relativi alla giustizia e quelli relativi alla pace.
I valori sono dono, ma anche conquista. Non si comprano
e non si vendono e non crescono da soli in un bel giardino. Il grano
e la zizzania crescono insieme e non tocca a noi separarli su questa
terra, anche se dobbiamo fare il possibile per coltivare, capire, discernere,
prevenire.
Il successo formativo non è di destra né di sinistra: ha a che
fare con i doveri più che con i diritti
Il dpr 275/1999 finalizza l’autonomia scolastica al
successo formativo dei ragazzi. Questo è visto come loro
fondamentale diritto, non solo come auspicabile esito della vicenda.
Il che significa che è anche dovere degli insegnanti e dei dirigenti,
d’intesa coi genitori, cioè della scuola. Ma il successo formativo è
frutto di dialogo, di interazione di almeno due libertà e di almeno
due competenze, quella del docente e quella del discente. In realtà
quando si coinvolgono gli stessi ragazzi per aiutarsi fra loro, la cosa
funziona meglio.
Cosa significa il successo formativo? Come si ottiene?
Qui tocca alla professionalità dei docenti decidere. La Costituzione
indica alla scuola la direzione in cui muoversi: rimuovere gli ostacoli
sociali e culturali al pieno sviluppo della persona umana, alla libertà
e all’uguaglianza dei cittadini e alla partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese; portare
tutti al riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo e all’esercizio
dei doveri inderogabili.
E i doveri non sono soltanto dei pesi da portare, ma
sono anche delle condizioni per conquistare dei valori, a partire dalla
dignità che si ottiene per essere riconosciuti membri di un gruppo umano
e partecipi come produttori e non solo come consumatori dei suoi beni.
Ecco perché, a proposito dei genitori che hanno a che
fare proprio con il bambino, anche quando non è in grado di esercitare
nessun dovere, la Costituzione parla prima di dovere e poi di diritto
di mantenere, istruire, educare i figli. I quali solo ad un certo punto
e in virtù dell’educazione cominciano
a rendersi capaci di esercitare dei doveri. E qui bisogna non fermarsi.
E’ un dovere anche insegnare a capire e ad esercitare i doveri. Ce lo
ricorda il poco citato art. 4 della Costituzione: “Ogni cittadino ha
il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta,
un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale
della società”. Sono i doveri che ci rendono cittadini.