Schema di Decreto Legislativo concernente la definizione delle norme generali relative alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo dell’istruzione, ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53. Approvato dal Consiglio dei Ministri il 12 settembre 2003. Audizione VII Commissione della Camera Il Cidi esprime netto dissenso sullo schema di decreto in oggetto perché non rispetta l’autonomia della scuola, non valorizza la professionalità dei docenti, non accoglie le aspettative e le esigenze dei genitori, non sviluppa gli aspetti positivi della scuola di base italiana. Anzi, il decreto presenta aspetti di illegittimità formale, illogicità manifesta, difetto di motivazione ed eccesso di delega rispetto ai contenuti della stessa legge 53/2003, quali la mancanza di copertura finanziaria, l’introduzione, attraverso allegati transitori, di indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati, la modifica della durata del tempo scuola e dei modelli organizzativi. In particolare il Cidi intende sottolineare: 1) la riduzione del tempo scuola obbligatorio per gli allievi Il decreto propone una consistente riduzione del tempo scuola obbligatorio, in violazione sia dell’art. 7 della legge 53/2003 che non prevede lo strumento legislativo per la definizione degli orari di insegnamento ma quello regolamentare, sia dell’art. 205 del Testo Unico (non abrogato dal DPR 275/’99) che prevede lo strumento regolamentare, richiamato appunto nell’art.7 della legge delega. La riduzione dell’orario obbligatorio è oltretutto in controtendenza con la domanda che viene dalle famiglie italiane e con gli obiettivi di Lisbona, che sottolineano il bisogno crescente di istruzione e di sapere per tutti. Tale scelta appare in contrasto con gli stessi obiettivi di apprendimento proposti dalle Indicazioni nazionali e dal profilo dei quattordicenni. Il decreto sorvola sulle condizioni concrete - a cominciare dall’organico docente e dalla compresenza - indispensabili per progettare e costruire percorsi didattici di qualità o per realizzare il tempo pieno e prolungato, che sono da considerare modelli pedagogici efficaci e ormai consolidati nelle nostre scuole. La flessibilità ipotizzata dal decreto, nell’introdurre una netta distinzione tra ore curricolari obbligatorie (che sono fortemente ridotte) e attività facoltative e aggiuntive (di dubbio significato) impoverisce la complessiva offerta formativa per tutti gli alunni e rende impossibile una efficace organizzazione dei curricoli scolastici (lasciata per buona parte alle scelte individuali degli utenti). Se verranno confermati questi orientamenti, la scuola non potrà progettare attività opzionali significative né organizzare gruppi di lavoro, laboratori e iniziative coerentemente inseriti nei programmi delle classi. Con il rischio di trasformare la scuola in una “fiera delle attività integrative” di inconsistente valore educativo. Inoltre la flessibilità ipotizzata reintroduce una pericolosa gerarchia fra le discipline, ingiustificata dal punto di vista culturale e pedagogico ed estranea alla cultura professionale dei docenti; 2) il ridimensionamento degli spazi di autonomia organizzativa, didattica e culturale delle scuole Un decreto legislativo (“norma generale” dello Stato) non dovrebbe regolamentare nel dettaglio aspetti organizzativi e didattici ormai affidati all’autonomia delle scuole: per esempio, la configurazione del team docente, l’articolazione delle funzioni di insegnamento, la definizione degli ambiti disciplinari sono compiti decisamente di competenza delle istituzioni scolastiche. In particolare, la scuola elementare ha già attuato un processo di evoluzione organizzativa (a partire dalla legge 148/90) di progressiva armonizzazione dei moduli didattici e di piena corresponsabilità tra i docenti. L’articolazione del ciclo di base (1+2+2+2+1) appare del tutto “azzardata” e non suggerita da alcuna autorevole ricerca o “voce” pedagogica, risultando in netto contrasto con la tendenza del sistema formativo di base ad organizzarsi nel territorio in senso verticale (oltre il 43 % di istituti comprensivi - 3.200 - presenti nel nostro paese). Appare oltretutto inopportuna - senza averle neppure negoziate sul piano contrattuale - la definizione di nuove funzioni e compiti (orientamento, tutorato, coordinamento, rapporto con le famiglie, cura del portfolio ecc.) stabiliti burocraticamente dall’alto e affidati a una figura gerarchicamente sovraordinata rispetto ai colleghi, come finirebbe per diventare il docente prevalente impropriamente definito tutor; 3) le numerose forzature sul piano giuridico (abrogazioni, allegati, indicazioni transitorie, ecc.) Il decreto legislativo contiene, in calce, numerose abrogazioni che modificano nella sostanza aspetti fondamentali – oltretutto condivisi dai docenti che hanno contribuito in questi anni a costruirli - della attuale scuola di base: finalità educative, continuità didattica, orari di funzionamento, organizzazione degli insegnamenti ecc.. Tali abrogazioni peggiorano l’organizzazione e il profilo culturale del primo ciclo scolastico. Si rileva inoltre l’illegittimità degli allegati (A, B, C, D) contenenti l’assetto pedagogico, didattico e organizzativo (ovvero le Indicazioni nazionali per i Piani di studio personalizzati) previsti “al fine di armonizzare il passaggio al nuovo ordinamento, fino all’emanazione delle norme regolamentari di cui all’art. 8 del Dpr n. 275/’99”. Tali allegati, introdotti con il decreto in via transitoria, violano la legge 53/2003 che all’art. 7 indica un iter procedurale assolutamente diverso: non si dice che i “programmi” (vedi “Indicazioni nazionali”, vedi “nucleo essenziale dei piani di studio scolastici”) si fanno per legge né che si possono introdurre in via transitoria per legge. Le Indicazioni nazionali, proprio in quanto allegate al decreto, non hanno perciò fondamento giuridico. Fra l’altro, tali Indicazioni, elaborate in sedi ristrette (tant’è che non si conoscono gli estensori dei testi), non sono il risultato di un dibattito aperto alle diverse posizioni ideali e culturali presenti nel Paese nè al confronto della comunità scientifica e del mondo della scuola. Risulta pertanto difficile per gli insegnanti comprendere le motivazioni pedagogiche, psicologiche e didattiche di scelte che segnano la rottura con la migliori esperienze scolastiche italiane e con le pratiche didattiche più diffuse negli ultimi decenni dentro le scuole. 4) l’assenza di una qualsiasi strategia per l’attuazione di processi innovativi Infine, l’omissione della definizione della quota oraria assegnata alle Regioni (che crea incertezze alle istituzioni scolastiche autonome nella programmazione dell’offerta formativa), l’ingiustificata accelerazione dei tempi di attuazione della riforma che dovrebbe prevedere l’avvio fin dal corrente a.s. 2003-2004 (e in misura più ampia dal 1° settembre 2004), l’assenza di una precisa indicazione per le indispensabili attività di formazione dei docenti, la mancanza della copertura finanziaria a fronte degli impegni contenuti nella legge 53/2003, sono ulteriori elementi di inadeguatezza e di improponibilità del decreto legislativo in esame, perché ne rendono del tutto impraticabile l’attuazione e la gestione, come ampiamente e ripetutamente segnalato dagli operatori scolastici in questi mesi. Un commento analitico allo schema di decreto legislativo è riprodotto nella stampa della associazione è recuperabile sul sito www.cidi.it |