Quale formazione
per quale riforma? "Se 20 ore vi sembran poche..."
Comunicato del Cidi
I
processi di innovazione e di trasformazione della scuola richiedono
senza dubbio incisive opportunità di formazione in servizio e di sviluppo
professionale per gli insegnanti. Anzi, ne rappresentano la condizione
“necessaria”. E’ stato così in occasione di importanti
innovazioni del recente passato, come la riforma della scuola elementare
del 1990 (con il suo Piano pluriennale di aggiornamento pari, in molte
realtà, a circa 200 ore di attività formative per ogni maestro), o
l’introduzione di nuovi Orientamenti per la scuola dell’infanzia del
1991 (accompagnata da importanti e diffusi progetti sperimentali,
come Ascanio e Alice).
Ma l’attuale piano di informazione/formazione
sulla riforma della scuola destinato agli insegnanti di scuola dell’infanzia
ed elementare appare senza respiro, senza prospettive, senza bussola
culturale. E appare senza un chiaro riferimento giuridico, dal momento
che le Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati,
in attesa dell’emanazione delle norme regolamentari
di cui all’art. 8 del decreto n.275/99, sono allegate, in via transitoria,
ad un decreto legislativo non ancora approvato dal Consiglio dei Ministri.
Lascia perciò interdetti l’assoluta superficialità giuridica (oltre
che pedagogica) del documento diffuso dal MIUR, recante le “Linee
guida per l’avvio del processo di informazione/formazione sulla riforma”, con le quali si
vorrebbe “surrogare” l’assenza dei decreti applicativi e dei piani
di studio nazionali.
Viene chiesto ad ogni scuola di imbastire
in tutta fretta un progetto di 20 ore di (in)formazione, senza chiarire
minimamente le condizioni in cui si dovrebbero realizzare tali attività
(in giugno? in autunno? obbligatorie? facoltative? all’interno
del collegio? in rete con altre scuole? in e-learning?). Ma, soprattutto,
senza definirne i possibili contenuti (pedagogici? disciplinari? organizzativi?
istituzionali?) e senza precisare che, al
momento, non esistono documenti ufficiali (cioè nuovi indirizzi curricolari
nazionali e i decreti esplicativi della legge 53/2003), sui quali
sviluppare le azioni informative e formative. In questo contesto,
l’idea di attuare frettolosamente la riforma, a partire dal prossimo
settembre 2003, coinvolgendo tutta la scuola dell’infanzia e le prime
due classi elementari, apre fondati interrogativi sulla serietà dell’intera
operazione. Operazione che mira prevalentemente a costruire un forzato consenso
e una superficiale condivisione.
E’ sotto gli occhi di tutti (e soprattutto degli
insegnanti) come l’elaborazione delle Indicazioni nazionali per i
piani di studio personalizzati sia invece avvenuta, per la
prima volta, senza nessuna garanzia di pluralismo culturale, di trasparenza
delle scelte, di confronto aperto con il mondo della scuola.
E’ certamente corretto e doveroso approfondire nei collegi dei docenti
i contenuti di una legge dello Stato (e scoprirne, magari, i clamorosi
silenzi su temi di forte interesse per la scuola primaria quali il
tempo scuola, le funzioni di tutor, gli istituti comprensivi), ma
è scorretto inserire in questa riflessione solo i contenuti delle
bozze (semplici bozze!) delle Indicazioni nazionali, delle Raccomandazioni
e dei modelli organizzativi imposti alla sperimentazione (DM 100/2002),
quasi che fossero il frutto “naturale” della
legge di delega n. 53/2003.
Non è culturalmente onesto trasformare la formazione in servizio -
che è ricerca, problematizzazione, confronto di
ipotesi, riferimento a fonti pluralistiche - in un accesso
pilotato, prevalentemente in rete, a materiali informativi che si
vorrebbero “autenticati” da qualche autorità scientifica (o in forza
della legge…).
Un “sillabo” della riforma e dei piani personalizzati è
lontano mille miglia dalla libertà di insegnamento e dall’autonomia
culturale e progettuale della scuola che è oggi pienamente tutelata
dalla Costituzione che fa “salva l’autonomia delle scuole” (Legge
Cost. n. 3 del 18-3-2001).
Se si intende coinvolgere gli insegnanti
in un processo di riflessione culturale, pedagogica e didattica, se
si vogliono recuperare motivazioni, interesse e partecipazione (oggi
del tutto “rimosse” dai docenti) è indispensabile valorizzare l’autonomia
dei collegi dei docenti nella progettazione della formazione in servizio,
rispettare le disposizioni contrattuali in materia di aggiornamento,
assicurare il pluralismo delle fonti culturali e attivare rapporti
di partenariato con le sedi universitarie e di ricerca, promuovere
la connessione tra nuove indicazioni curricolari e le migliori esperienze
realizzate nella scuola elementare e dell’infanzia (ivi compreso l’apporto
di tutte le associazioni professionali qualificate).
Un’attenzione particolare merita la questione dei formatori e delle
nuove figure di supporto alla progettazione e all’innovazione all’interno
delle scuole. Scelte così delicate devono coinvolgere pienamente gli
insegnanti, sia per le modalità di accesso
alle nuove funzioni, sia nei percorsi formativi. Per
non parlare delle funzioni “tutoriali” che devono riguardare tutti
i docenti, rispettando criteri di pari responsabilità professionale
all’interno dell’equipe docente.
Dirigenti scolastici e formatori dovranno assicurare un alto profilo
culturale e metodologico alla prossima formazione in servizio, alimentandola
con il gusto della ricerca ed il legame “autentico” con l’elaborazione
pedagogica e la storia della scuola di base italiana.
Se poi si volesse derubricare questo indispensabile
processo culturale ad un’azione meramente informativa si eviti almeno
di trasformare tutto ciò in una risibile campagna pubblicitaria destinata
a suscitare effetti controproducenti proprio verso chi la promuove.
Roma 24 maggio 2003
La Segreteria nazionale