A proposito di federalismo

La Legge costituzionale n° 3 del 2001, attraverso le modifiche apportate al Titolo V della Costituzione, nel momento della sua attuazione (ancora da definire) segna alcune trasformazioni circa le responsabilità che Stato e Regioni rispettivamente assumono nel regolamentare il sistema dell'istruzione e della formazione professionale.

Il tema del federalismo, derivante da tale legge costituzionale, è questione che ha sollevato un ampio dibattito non solo per le trasformazioni a esso collegate e che interessano vari settori, ma anche perché connesso alla cosiddetta "devoluzione" contenuta nel disegno di legge costituzionale approvato in prima lettura al Senato.

Per quanto riguarda la nuova formulazione del Titolo V della Costituzione, va rilevato che le modifiche concernenti il sistema dell'istruzione, si inscrivono nel più ampio contesto dei diritti civili e sociali fondamentali sanciti dalla Costituzione, che vanno pertanto garantiti (principi fondamentali, art. 3, art. 9; titolo II, rapporti etico-sociali, art. 33, art. 34, art. 35; Legge n° 3 del 2001 art. 3, lettera m).

È importante quindi salvaguardare da un lato l'unità e l'identità culturale del Paese e l'uguaglianza dei cittadini e dall'altro il diritto allo studio in quanto diritto di cittadinanza; la presenza di indirizzi generali dello Stato può favorire una legislazione regionale in sé coerente, per quanto diversificata regionalmente, concorrente rispetto allo Stato e non sostitutiva o prevaricatrice e, dunque, antagonista. L'unitarietà dell'azione legislativa di competenza delle Regioni è salvaguardata se e in quanto - pur in piena autonomia - è capace di integrazione e sostegno nei confronti dell'azione dello Stato così da tendere entrambe a una valorizzazione complessiva degli effetti provenienti sia dalla legislazione esclusiva di questo sia dalla legislazione concorrente di quelle.

In tema di diritti civili e sociali - e il diritto allo studio è tra questi - è perciò necessario avere garanzie e certezze sulle norme generali e sulla potestà regolamentare delle Regioni, per evitare che l'intreccio tra le modifiche al Titolo V e il disegno di legge delega Moratti, approvato al Senato, produca effetti implosivi, soprattutto in relazione alla potestà legislativa delle Regioni su istruzione e formazione professionale: è anche per questi motivi che i protocolli d'intesa siglati tra Miur e alcune Regioni riguardanti la spendibilità dell'obbligo scolastico nella formazione professionale destano preoccupazione, proprio perché operanti in assenza di un quadro normativo istituzionale certo, al punto da risultare lesivi di una legge dello Stato, la n° 9 del 1999, tuttora in vigore, che prevede l'assolvimento dell'obbligo scolastico nel sistema dell'istruzione; altra cosa è l'obbligo formativo per il quale è auspicabile un'integrazione tra i due sistemi dell'istruzione e della formazione professionale.

Vi è d'altronde da sottolineare che se i rischi per l'autonomia delle Istituzioni scolastiche risiedono nel fatto che la potestà regolamentare delle Regioni può comportare scelte molto diverse nei vari territori con un regionalismo differenziato a seconda dell'orientamento dei governi regionali e se, priva di un quadro anche a livello regionale fondato su principi generali, la legislazione concorrente rischia di essere troppo diversificata, tuttavia l'opportunità di una cornice istituzionale coerente si ritrova proprio nell'autonomia scolastica, sancita costituzionalmente dalla Legge n° 3 del 2001, art. 3.

Stato, Regioni, Istituzioni scolastiche hanno, in rapporto alla Costituzione, competenze diverse che devono potersi integrare: se il primo deve salvaguardare i livelli essenziali, le pari opportunità, i valori comuni, le seconde devono attuare una legislazione concorrente tesa a favorire lo sviluppo delle scuole che, dal canto loro, devono poter dare piena attuazione al Dpr 275/99 anche attraverso una loro specifica responsabilità rispetto alle scelte curricolari.

Quale federalismo scolastico, allora? Certamente quello attento a non ridurre gli spazi di autonomia delle Istituzioni scolastiche, così come potrebbe accadere con il mancato avvio del decreto legislativo n. 112/98 (decentramento amministrativo), che garantisce i sistemi dell'istruzione e della formazione professionale, rispettando le specificità dei rispettivi ambiti e configura l'autonomia scolastica in un sistema di autonomie. Non certo quello previsto nel disegno di legge costituzionale 1187 votato al Senato (modifiche dell'articolo 117 della Costituzione) che stabilisce, tra l'altro, di assegnare alle Regioni competenza legislativa esclusiva in materia di "organizzazione scolastica, gestione degli Istituti scolastici e di formazione; definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione".

Che senso avrebbe la presenza in Italia di 20 sistemi scolastici regionali, diversi l'uno dall'altro, con 20 modalità diverse di concorso e di accesso ai ruoli per docenti e dirigenti, con percorsi scolastici, scansioni dei cicli e durata dell'obbligo diversi, e con programmi definiti regionalmente? Che senso avrebbe la presenza di tante scuole regionali di fronte a una tradizione storica unitaria di quasi un secolo e mezzo, nel quale la scuola italiana ha alfabetizzato il Paese ed ha contribuito a elevare la qualità della vita di tutta la popolazione. Che senso avrebbe questa separazione di fronte a una lingua comune, a un patrimonio culturale comune antico di secoli e di valore universale, e nell'incontro-confronto con le altre culture europee? E come si potrebbero garantire su tutto il territorio nazionale esiti formativi omogenei? Si faranno al riguardo analisi comparate tra le Regioni? In questa proposta di "devoluzione", tra l'altro, tutto fa pensare a un drastico ridimensionamento dell'autonomia delle Istituzioni scolastiche, divenuta oggi una precondizione per la ricerca di una qualità scolastica più elevata e adeguata ai bisogni formativi delle bambine e dei bambini, delle ragazze e dei ragazzi di questo Paese, a fronte di un mondo che diventa sempre più piccolo.

6 dicembre 2002
La Segreteria Nazionale del CIDI