Una scuola meno


Mi pare che Mario Carolla, nella sua introduzione, abbia messo sul tappeto i problemi più scottanti che pesano sulla scuola pubblica e che, di fatto, rendono - per così dire - "precario" tutto il sistema dell'istruzione e della formazione. Dico "precario" non solo nel senso di "incompiuto" (anzi, visto dove ci porterebbe la "compiutezza", tutto sommato sarebbe preferibile la "incompiutezza"!). Precario sta diventando, secondo me, il concetto stesso di scuola pubblica; precaria sta diventando l'idea stessa di scuola pubblica: e lo sta diventando attraverso un'operazione, talvolta nascosta e sotterranea, altre volte del tutto palese, di sistematica sottrazione.
Mi limiterò soltanto a due o tre spunti di rapida riflessione.

Quando ebbi modo di leggere il Libro Bianco sulla scuola, che stasera Alba Sasso presenta, mi ritrovai molto in quel titolo, "Una scuola meno", dato ad un paragrafo. Quel titolo corrisponde esattamente alla mia idea di sottrazione.

Il Libro bianco denuncia esplicitamente in che cosa consista il "meno": "meno istruzione, meno cultura, meno obbligo scolastico, meno partecipazione, meno autonomia, meno collegialità".
Vorrei aggiungere: meno possibilità di scelta, meno capacità di scelta.

Mi spiego: il sistema duale, appena edulcorato dal ripristino di elementi della riforma Berlinguer, si fonda su una sottrazione: appunto la sottrazione della opportunità reale, da parte di un tredicenne (di un tredicenne!) di scegliere, o anche solo di immaginare, un proprio progetto di vita. Perché con meno istruzione, meno cultura, meno obbligo scolastico, meno partecipazione, meno autonomia la conseguenza più seria è che non si è in grado di scegliere proprio niente: non a tredici anni né a quindici né a diciotto. Altro che progetto di vita! Altro che auto-orientamento consapevole! Altro che libertà di scelta, soprattutto!

Io temo che la canalizzazione precoce, che pensavamo di esserci lasciata alle spalle non solo formalmente ma ormai anche nella pratica reale - e non l'altro ieri ma qualche decennio addietro, con l'istituzione della scuola media unica - assuma oggi, in relazione agli scenari di riferimento, significati e conseguenze estremamente gravi. Ecco perché questo particolare aspetto della "sottrazione" mi sembra uno snodo cruciale, una specie di "punto di raccolta" delle molte cose discutibili di questa riforma; e non solo di essa ma di ciò che la precede, che la sta precedendo, e di ciò che l'accompagna.

Voglio dire: non si tratta solo di meno personale, meno ausiliari, meno insegnanti, meno insegnanti di sostegno! meno segretari, meno dirigenti, e meno risorse. Non è solo questo: si tratta innanzitutto della sottrazione di una effettiva possibilità di scelta, indotta dalla incapacità oggettiva a scegliere da parte di una persona - bambino/a quasi - che, a parole, sarebbe "al centro dello sviluppo educativo". Proprio così: al centro dello sviluppo educativo!

Mi dispiace di non avere tempo sufficiente per commentare alcuni punti, anche soltanto due o tre punti iniziali, dell'intervento del Ministro Moratti al Senato, venti giorni fa: se sarà possibile, potremmo accennarvi nel corso del dibattito. Ma voi conoscete un sistema educativo che programmaticamente pone al proprio centro la persona e poi chiede a questa persona, a tredici anni, di decidere consapevolmente - cioè liberamente - circa il proprio progetto di vita e di lavoro?
Confesso che, per quanti sforzi di immaginazione abbia potuto fare, non sono riuscito ad individuarne nemmeno uno, che avesse almeno qualche connotato di serietà. Sicché alla fine ho dovuto concludere che un miracolo simile potrà farlo soltanto la scuola italiana riformata: un po' di Inglese, un po' di Informatica, un po' di Impresa, magari meno italiano e meno matematica - tanto per andare ancora più giù nelle graduatorie OCSE - e il nostro "fanciullo" potrà scegliere per il meglio!

In compenso, però - e scusate se è poco - è pronto un contatto diretto gratis (!!!) via e. mail tra ciascuno dei 700.000 docenti italiani e i genitori dei loro alunni: così scuola e famiglia potranno dialogare sul serio, finalmente. In parentesi: ve la immaginate - poniamo - una insegnante di Ed. Artistica o di Ed. Musicale - mediamente 220-230 alunni, e mille cose da fare, per limitarsi soltanto agli impegni scolastici - in presa diretta permanente via posta elettronica con i genitori dei suoi alunni?

Ma torniamo al punto. Questo senso di precarietà e di sottrazione, che mina l'idea stessa di scuola come servizio pubblico efficace e di qualità, contribuisce, per altro verso, ad innalzare decisamente - si diceva non tanto ironicamente in una lettera ad un giornale - la soglia della crisi depressiva degli insegnanti; e non solo degli insegnanti.

Non bastassero i tagli di 34.000 posti, a fronte, per altro, di un aumento di 30.000 unità del numero degli alunni, l'anno scorso; non bastasse che, essendo TROPPI rispetto al numero degli alunni in situazione di handicap, gli insegnanti di sostegno vengano tagliati pure loro; non bastassero le 18 (o 24) ore in cattedra per tutti (cosa che, nel rimarcare una assoluta ovvietà, in realtà dimostra la miopia culturale con la quale si continua a guardare alla professione docente); non bastasse il licenziamento previsto per gli insegnanti utilizzati in altri compiti per motivi di salute: tutto questo, e altro ancora, a fronte di che cosa? Lo sapete benissimo:

  • di stipendi non bassi ma bassissimi, credo agli ultimi gradini in Europa;
  • di uno status sociale e di un riconoscimento professionale che eufemisticamente potremmo definire "modesti";
  • di responsabilità, funzioni e compiti professionali nettamente aumentati, e con esplicita richiesta di massima qualificazione. Massima qualificazione sull'educativo (qual è il ruolo, la parte che svolgo nel processo di formazione dei miei alunni, di ciascuno dei miei alunni?); e massima qualificazione sul piano tecnico-professionale (di quale sviluppo delle competenze tecnico-professionali, cioè metodologiche, didattiche, comunicativo-relazionali, epistemologiche, organizzative, ecc., ho bisogno per promuovere, sostenere e valutare efficacemente il processo di apprendimento dei miei alunni?).

Questioni - come vedete - di natura non soltanto sindacale. O, se volete, questione di "alto" sindacato; ma soprattutto questioni che chiamano in causa le associazioni professionali e disciplinari degli insegnanti: per contrastare ed attenuare la confusione o l'indifferenza o il sonno o la resa incondizionata della categoria.

Consentitemi allora di citare - proprio tagliandoli con l'accetta, se ho ancora pochi minuti -
due aspetti che mi sembrano piuttosto importanti ai fini del nostro discorso e sui quali dobbiamo essere molto attenti. Mi rendo conto che sto procedendo per assiomi più che per argomentazioni estese, come sarebbe necessario: spero mi scuserete. Due aspetti che mi paiono importanti, dunque.

Il primo riguarda l'autonomia delle scuole: che non è stata una conquista da poco, e che bisogna salvaguardare da ogni tentativo di snaturamento: per compressione o per deflagrazione, frammentazione. Dovremmo avere sempre ben presente che le scuole sono ormai soggetti istituzionali autonomi, costituzionalmente definiti. In quanto tali, esse operano, sono chiamate a operare, in maniera "politicamente" attiva, come parti di un sistema che ha, tutto insieme, la responsabilità della pianificazione e della realizzazione delle opzioni formative su un territorio, e la cui funzionalità e produttività dipendono in misura rilevante dalla "qualità" dell'interazione tra i suoi componenti.

Ora, ci si può chiedere: quali sono i livelli reali dell'autonomia scolastica? A che punto siamo arrivati? E ancora: si vuole davvero che le scuole, le singole scuole, continuino ad essere, in qualche modo e in qualche misura, effettivamente autonome?

Se vi sembra una domanda retorica, a risposta scontata, proviamo quest'altra: noi, noi insegnanti noi dirigenti noi operatori, l'autonomia delle scuole la vogliamo davvero? Cioè: facciamo davvero tutto per realizzarla, per utilizzarne le opportunità, per ampliarla? Che fanno in questa direzione i Collegi dei docenti, che fanno i dirigenti? In che modo - per fare un esempio - usiamo lo strumento della flessibilità? che cosa c'è nei POF riguardo alla quota del 15%? che si fa sui curricoli? E ancora: qual è il livello di integrazione con gli EE.LL.? qual è il grado di organicità del sistema?

E infine: che si fa per contrastare questa sorta di resa complessiva strisciante, di cui tutti sembriamo lamentarci? che si fa per non lasciarsi andare a questa specie di cedevolezza un po' acritica nella quale molti di noi confessano di vivere la quotidianità del loro lavoro? Che si fa?

Per queste ragioni, e per altre ugualmente importanti, gli amici del CIDI stanno lavorando; e poiché sappiamo che anche altre associazioni professionali di docenti sono attente a simili temi, proporremo loro - lo faremo ufficialmente nell'ormai prossimo 2° Convegno del CIDI, il 9 e 10 dicembre - di lavorare insieme: con l'obiettivo e la volontà di discutere, di riflettere, di operare concretamente per lo sviluppo della professione docente: per una professionalità critica, impegnata, competente, capace di salvaguardare la dignità della scuola pubblica nella nostra provincia e di elevarne il livello qualitativo. Per quanto ci sarà possibile.

E qui giunge a proposito il secondo punto cui volevo far cenno e che riguarda una particolare connotazione che va assumendo la cosiddetta "formazione" degli insegnanti.

Alba Sasso mi corregga se sbaglio e mi rassicuri se la mia preoccupazione è campata in aria, perché vorrei sinceramente che così fosse. Ma che cos'è questa impostazione unidirezionale, supponente, esclusivamente "discendente", che stravolge letteralmente il senso stesso di un processo di formazione? Tutte le iniziative ministeriali di formazione, quelle a distanza in primo luogo, sono rigidamente centralistiche, del tutto decontestualizzate, impostate indirizzate realizzate e diffuse senza possibilità di interlocuzione alcuna né sul progetto né sull'impostazione né sui contenuti né sui metodi: comunicazione monodirezionale allo stato puro, senza possibilità di interazione e di scambio critico. Un'altra pesante sottrazione!

Gli insegnanti che, per una ragione o per l'altra, sono costretti a sottoporsi a questa "formazione" sono, appunto, soggetti passivi di comunicazione: al massimo possono dar fuori di testa per la miriade di problemi tecnici che qualsiasi collegamento elettronico con MIUR o INDIRE o INVALSI immancabilmente comporta. Per il resto sono soggetti passivi: e questo, secondo il mio punto di vista, è il contrario esatto di qualsiasi concezione appena appena decente di formazione.
Assicuro che ne riparleremo.
Per ora mi fermo qui. Grazie.

Intervento di Fernando Cocciolo, presidente CIDI Brindisi, alla Presentazione del Libro Bianco sulla Scuola (Brindisi, 25.11.2002, Auditorium Ist. Magistrale "Palumbo").
Partecipanti: on. Alba Sasso, Mario Carolla, Fernando Cocciolo, Michela Almiento, Lorenzo Caiolo, Pietro D'Errico.