RIFORMA DEI CICLI E NUOVI CURRICOLI
INTERVENTO al Convegno CIDI-Brindisi, 26/04/01
Claudia Zezza dirigente V Circolo Didattico Brindisi
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Vorrei innanzitutto sottolineare l’importanza
di questo convegno con cui il CIDI formalmente si costituisce nella nostra città,
con il preciso intento di avviare un dibattito e un confronto, oggi
assolutamente necessario, perché la rivoluzione del sistema scolastico in atto,
richiede operatori attenti, in grado di affrontare il cambiamento e quindi
auspica l’esistenza di luoghi in cui confrontarsi e scambiarsi esperienze ed
opinioni, in cui combattere il senso di ansia e di inadeguatezza che proviamo di
fronte a cambiamenti di così vasta portata.
Entrando
nel merito della discussione sui nuovi curricoli, mi pare opportuno sottolineare
che una radicale rivisitazione del sistema scolastico italiano è stato da anni
considerato universalmente un problema ineludibile e ultimamente sollecitato
anche da organismi internazionali; che la scuola italiana segnasse il passo
rispetto allo sviluppo tumultuoso nel campo tecnologico e scientifico è un
dato, come è innegabile che sia un pericoloso dato oggettivo quello riguardante
il tasso di dispersione scolastica nel nostro Paese. Nessuna persona animata da
onestà intellettuale potrebbe pensare che la soluzione al ritardo e alle
inadeguatezze della nostra scuola possa essere ricercato nella riproposizione
della scuola tradizionale selettiva, perché erroneamente ritenuta migliore;
c’è chi individua la soluzione nel privato, ma certo chi lo fa, ed è
superfluo sottolinearlo, lo fa pensando ad una scuola per pochi eletti.
Quello
che invece costituisce la grande sfida che lo Stato democratico si trova ad
affrontare è la possibilità di conciliare due finalità, di norma considerate
contrastanti e cioè da una parte garantire il diritto allo studio di tutta la
popolazione, dall’altro fornire livelli di istruzione e di formazione elevati,
scuola di massa quindi che riesca ad essere nel contempo scuola di qualità.
Bisogna allora dare atto a questo governo di avere avuto il coraggio di
accettare la sfida e di tentare una soluzione che, badate bene, non è il frutto
teorico di pensatori isolati avulsi dalla scuola reale, ma
è l’elaborazione e la sistemazione razionale del meglio di dibattiti e
ricerche condotte nel corso degli anni all’interno delle nostre scuole. Mi
pare quindi pretestuoso scagliarsi in modo pregiudiziale contro la riforma,
perché, che si giunga o meno ad un rinvio,il problema esiste e va affrontato
con tempestività se non si vuole aggravare il ritardo del Paese, con le
conseguenze inevitabili anche sul piano dello sviluppo economico
.Fatta questa prima osservazione, vorrei sottolineare la grande portata
innovativa che la riforma dei cicli contiene e che consiste nell’aver
finalmente pensato ad un percorso unitario dai 3 ai 18 anni, nell’aver tentato
di porre fine alla frammentazione, alla ripetitività e alla separatezza dei
diversi ordini di scuola.
Come Preside di scuola media per 11 anni ho ampiamente sperimentato le
difficoltà dei passaggi dalla scuola elementare alla media e da questa alla s.
superiore. Nonostante tutte le riunioni di commissioni di continuità, di scambi
di informazioni e di attività di orientamento, gli ordini di scuola continuano
a vivere in gabbie separate, dove poco o nulla si sa di quello che avviene
nell’ordine precedente e successivo e, quel che è peggio, spesso poco
interessa, preoccupati come si è, di seguire soltanto il proprio percorso, con
l’inevitabile risultato di tempi morti, inutili ripetizioni di programmi e
contenuti, con problemi di adattamento degli alunni a diversi modelli
organizzativi e diversi metodi didattici, tutto, è evidente, causa di frizione
e ritardi. E se ne avessi avuto bisogno, la mia esperienza quest’anno nella
scuola elementare mi conferma dell’idea che un ciclo più lungo è
pedagogicamente più efficace, perché consente di realizzare un percorso
cognitivo più disteso, in cui non viene penalizzato in partenza chi necessita
di tempi più lunghi per acquisire determinate competenze.
Già all’indomani della L. 339 del 92 sulla Continuità Educativa
questi problemi erano stati espressi, evidenziando la necessità di raccordo, ma
al di là di episodiche collaborazioni e burocratiche elaborazioni di fascicoli
personali mai letti, poco è stato fatto per armonizzare gli stili educativi e
unificare le strategie didattiche, nulla per elaborare insieme un curricolo
longitudinale che garantisse un percorso formativo organico e lineare.
Finalmente i nuovi curricoli recepiscono questa istanza e la
concretizzano portando a sintesi consequenziale quanto già espresso nei
Programmi per la S.M del 79, della S.E. dell’85 e degli Orientamenti della
scuola dell’infanzia del 91. E’ qui la grande suggestione pedagogica dei
nuovi curricoli, che portano con sé una forte connotazione sociale e politica,
poiché affrontano il problema della scuola per tutti in cui ciascun alunno
trovi realizzato il suo diritto ad apprendere attraverso un percorso che cerca
di prevenire ripetenze, abbandoni nonché la dispersione “in presenza”,
caratterizzata dallo sperpero di potenzialità, dall’azzeramento di competenze
acquisite, magari a fatica, da inutili traumi e dissipazioni intellettive, tutte
cose inevitabili in un percorso scollegato.
I programmi in vigore nella scuola dell’obbligo contenevano già un
forte richiamo gnoseologico delle discipline, viste come risorse per strutturare
il pensiero del discente, nei nuovi curricoli questa ispirazione viene
esplicitata, sottolineando il valore fondamentale dello sviluppo di
competenze.Tale approccio sistemico richiede tempi distesi e un luogo scuola in
cui ci sia spazio e tempo per prestare attenzione a tutti i fattori educativi,
alla comunicazione, alle diverse esperienze, al confronto di diverse
professionalità.
L’insegnante di matematica di fronte ad un insuccesso dell’alunno se
si confronta solo con i suoi colleghi di scuola media, ad esempio, sarà portato
a convincersi che la propria disciplina richieda per essere compresa di capacità
di cui l’alunno è sprovvisto, ma se lavorasse a fianco agli insegnanti della
scuola elementare forse scoprirebbe che ci sono altri modi per insegnare la
matematica e le sue capacità di diagnosi delle difficoltà di apprendimento e
di terapia di recupero ne uscirebbero fortemente potenziate, così come
risulterebbero arricchiti dall’incontro con gli insegnanti disciplinari i
docenti della scuola dell’infanzia che potrebbero cogliere lo sviluppo e le
conseguenze del loro operare all’interno dei campi d’esperienza. Ma, e qui
entriamo in quello che è forse l’aspetto più debole dell’impianto
riformatore, le innovazioni
implicano una radicale riorganizzazione e rifondazione dello stile di
insegnamento, quando non una vera e propria riqualificazione del personale
docente. I docenti saranno chiamati in
prima persona a elaborare i curricoli, a selezionare i contenuti essenziali
secondo criteri di significatività culturale, di congruenza psicologica e di
pertinenza pedagogica, dovranno essere in grado di acquisire pienamente lo
statuto epistemologico delle discipline, senza dimenticare mai di stabilire un
rapporto edificante con l’alunno.
Quello stretto nesso tra saperi e competenze di cui si parla a proposito
degli alunni, deve avere il suo corrispettivo nella preparazione culturale e
professionale degli insegnanti, ma si sa che le competenze del docente non si
acquisiscono tout-court con l’immissione in ruolo, ma sono frutto di un
continuo costruirsi, richiedono la capacità di mettersi in discussione,
l’attitudine critica ed autocritica, per evitare il rischio di una didattica
sclerotica e routinaria.
Il docente avrà la responsabilità culturale di elaborare i percorsi,
di integrare il curricolo nazionale e dovrà per questo essere in grado di
interpretare la domanda che viene dall’extrascuola, se non vuole rischiare di
limitarsi a proporre computer e seconda lingua comunitaria, il che tra l’altro
rimanda alla necessità di risorse professionali non sempre presenti nella
scuola, o triti progetti che mirano ad essere più un ampliamento contenutistico
che occasioni per una formazione più rispondente alle necessità della società
reale.
Occorre allora pensare in modo serio alla necessità di accompagnare il
processo di riforma con un ampio piano di sviluppo professionale e di
rimotivazione della professione
docente e forse questo delicatissimo problema dell’adeguamento professionale
di docenti e dirigenti consiglia una certa prudenza, se non si vuole rischiare
di far naufragare una buona riforma per l’impreparazione o la mancata adesione
consapevole dei soggetti formatori, senza con ciò nulla voler concedere alle
posizioni pregiudiziali di dissenso, generate più da motivazioni politiche che
pedagogiche.
Un ultimo rilievo di carattere per così dire autobiografico vorrei infine fare: nella maggior parte delle Regioni il piano di dimensionamento della rete scolastica, prevedendo il riordino dei cicli di cui si parla ormai da anni, ha istituito per lo più istituti comprensivi, che costituiscono sicuramente un utile occasione per sperimentare quel curricolo verticale di cui si diceva; nella nostra provincia invece, ahimè, seguendo una logica ragionieristica quando non puramente clientelare, sono state selvaggiamente dimensionate le scuole medie, unendole spesso astrattamente tra di loro, in modo da destabilizzare piuttosto che innovare, con il risultato di ritardare ulteriormente la ricerca di forme organizzative nuove, pur sapendo che a breve si dovrà di nuovo metter mano alla definizione della rete scolastica, provocando nuovi sussulti e tensioni che non gioveranno alla ricerca della qualità dell’offerta formativa nel nostro territorio, ma qui apriremmo un triste capitolo sulla credibilità degli amministratori degli EE.LL., chiamati dal nuovo assetto normativo a decidere su questioni scolastiche di cui ben poco conoscono e questo purtroppo è un altro punto interrogativo che raffredda gli entusiasmi e che non può essere taciuto..