FNISM
INDICAZIONI
NAZIONALI PER I PIANI DI STUDIO PERSONALIZZATI
OSSERVAZIONI DELLA FNISM su: Profilo educativo, culturale e professionale
dello studente alla fine del Primo Ciclo di Istruzione (6 14 anni); Indicazioni
Nazionali per i Piani Personalizzati delle Attività Educative nelle
Scuole dell'Infanzia; Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Personalizzati
nella Scuola Primaria; Indicazioni Nazionali per la Scuola Secondaria
di Primo Grado
I
nostri rilievi riguardano alcuni aspetti contenuti nelle Indicazioni Nazionali
nel contesto di riforma definito dalla Legge-delega 53/03. Ci scusiamo
del carattere frammentario delle osservazioni dovuto alla ristrettezza
dei tempi in cui abbiamo dovuto richiedere il parere delle sezioni cercando
di dare voce alla pluralità delle posizioni presenti nella nostra
associazione.
PERSONALIZZAZIONE
DEI PERCORSI
-
La Fnism condivide e approva la prospettiva –più volte affermata
nei documenti ministeriali- di definire piani di studio personalizzati,
tuttavia rileviamo che da tale principio ci si allontana quando, ad es.
a proposito del profilo di studente in uscita dalla scuola secondaria
di 1° grado, si fa riferimento a “l’uomo e il cittadino
che è giusto attendersi da lui al termine del Primo Ciclo di istruzione”(
Profilo educativo, culturale e professionale dello studente alla fine
del Primo Ciclo di Istruzione 6 14 anni § Le articolazioni del profilo).
Se per un verso è necessario che siano definiti obiettivi formativi
di tipo cognitivo e comportamentale, non è condivisibile che tali
obiettivi siano presentati come modelli statici per cui diventa più
rilevante la capacità degli studenti di adeguarsi ad essi che la
capacità della scuola di sviluppare le potenzialità di ciascuno
rispettando tempi e modalità dei percorsi individuali di crescita
e di formazione e salvaguardandone i caratteri di originalità.
- Nei documenti troviamo numerosi spazi di opzionalità delle scelte,
a partire dall’età d’inizio della scuola fino ai percorsi
integrativi, spazi che dovrebbero favorire la “personalizzazione”
dei percorsi ma cui non corrispondono elementi strutturali di supporto,
visto che si abbrevia il complessivo percorso scolastico, si riduce il
monte-ore obbligatorio per tutti, anche a fronte di un aumento nel numero
delle discipline e delle educazioni, e si apre ad integrazioni curricolari
anche esterne alla scuola. L’ impianto del sistema rinvia allora
a un contesto regolativo di tipo più economicistico che pedagogico,
in cui l’ampliamento dell’offerta formativa non corrisponde
a una responsabilizzazione forte della scuola in termini di progettualità
educativa per cui, stabiliti gli obiettivi, si ampliano i possibili percorsi
affinché tutti li raggiungano. Scegliendo un’opzionalità
delegata sostanzialmente all’utenza, si possono attivare nuove forme
di esclusione, di marginalizzazione e precarizzazione sia degli studenti
che degli insegnanti, rinunciando all’apporto di culture e scelte
valoriali di sviluppo della persona e riducendo l’impegno della
scuola nei confronti del decondizionamento e delle pari opportunità
per tutti.
PORTFOLIO
E VALUTAZIONE
-
Il ricorso al Portfolio delle competenze individuali degli alunni prospetta
un utile strumento di raccolta di materiali documentali sul percorso formativo
che accompagna lo studente nelle varie fasi della scolarità. Tuttavia
esso potrebbe avere un carattere puramente informativo o al contrario
diventare uno strumento burocratico formale e allora, per gli studenti,
finirebbe con l’influirebbe su tutto l’iter scolastico, mentre
per gli insegnanti costituirebbe un aggravio di adempienze e infine aprirebbe
ulteriori terreni d’ingerenza alle famiglie, coinvolte nella sua
costruzione. Riteniamo che tale strumento vada sperimentato e sottoposto
a verifiche prima di assumere un carattere vincolante, che il suo ruolo
sia definito autonomamente dalle singole scuole e, soprattutto, che sia
collocato nel contesto di nuovi parametri valutativi e autovalutativi
che riguardano gli studenti ma anche gli istituti scolastici e tutto il
sistema dell’istruzione.
- Quanto alla valutazione degli studenti, non ci entusiasma trovare tra
le prospettive nuove di valutazione interna-esterna, proposte vecchie
come la valutazione della condotta che viene trattata come una disciplina,
nonostante le Indicazioni contengano ripetuti richiami ad interventi di
recupero e di sostegno. Affermando “Si dispone la ripetenza del
secondo anno del biennio quando l’allievo mantenga debiti negli
obiettivi formativi di due discipline (comportamento compreso) che siano
già stati registrati l’anno precedente” di fatto si
realizza il passaggio di competenze dal docente tutor al Consiglio di
classe rispetto al quale la formulazione adottata annulla qualsiasi ambito
di discrezionalità e non resta che la vecchia ripetenza dell’anno.
SCUOLA-FAMIGLIA
-
Risulta ambiguo il rapporto di stretta contiguità tra scuola e
famiglia, che rinvia a un modello di famiglia in grado di assolvere a
tutti i suoi compiti verso i figli e ad esso subordina scelte che attengono
direttamente alla responsabilità della scuola e che dovrebbero
garantire la formazione dei giovani anche quando la famiglia non assolve
ai propri compiti o addirittura è all’origine dei problemi
comportamentali e di sviluppo dei giovani. Alla scuola la Costituzione
affida il decondizionamento e l’acculturazione di base di tutti
i cittadini, la costruzione di soggetti ben inseriti nel patto di cittadinanza
(cui peraltro fa riferimento l’Educazione alla cittadinanza inserita
nel Piano) e che presuppone due istituzioni –scuola e famiglia-
ciascuna con un ruolo distinto e ben definito e capaci di dialogare in
maniera autonoma e rispettosa delle reciproche competenze.
- Poco spazio troviamo nelle Indicazioni per una scuola che si ponga come
luogo in cui sviluppare capacità critiche e di elaborazione, in
cui esercitare alla convivenza, favorire una cultura del confronto che
non può limitarsi al contesto “locale, nazionale, europeo”
che torna ripetutamente nei documenti. Nelle Indicazioni c’è
una scarsa apertura alle culture diverse, cui tra l’altro appartengono
molti dei bambini/e e ragazzi/e presenti nelle nostre scuole. Né
è sufficiente o realistico l’invito a coltivare, ove possibile,
la lingua madre accanto all’italiano, all’inglese e alla 2°
lingua comunitaria. C’è in definitiva una scarsa attenzione
all’approccio interculturale che è invece necessario per
fondare la convivenza sulla conoscenza e il rispetto reciproci.
- Nei Piani di studio torna, accanto all’insegnamento della religione
secondo le intese con la Cei, troviamo un costante rinvio a una visione
confessionale della religione. Così nelle Indicazioni Nazionali
per i Piani Personalizzati nelle Scuole dell'Infanzia troviamo tra gli
“Obiettivi specifici di apprendimento” in cui non ci si limita
al senso del mistero e ad una religiosità di vasto respiro ma si
interferisce con scelte e orientamenti che attengono alle responsabilità
personalissime delle famiglie e si impoverisce il ruolo della scuola pubblica
come luogo di sviluppo della sensibilità religiosa e terreno d’incontro
di credenze e di scelte diverse.
SCUOLA-TERRITORIO
-
Torna spesso nelle Indicazioni l’obiettivo di un “radicamento
nelle tradizioni di appartenenza” (Indicazioni Nazionali per la
scuola dell’Infanzia), siano esse culturali, simboliche (cfr.Educazione
alla cittadinanza), culinarie (cfr.Educazione alimentare). Ciò
costituisce certamente un valore positivo, a condizione che si inserisca
in una più ampia educazione alla mondialità che ne rappresenta
il contrappeso e che colloca le culture singolari in una coscienza dialogica
plurale e policentrica cui non troviamo richiami nelle Indicazioni.
- Il rapporto tra la scuola e gli altri soggetti del territorio, stando
alla formulazione contenuta nelle “Indicazioni Nazionali per la
Scuola Secondaria di Primo Grado” “…..coerentemente
con l’offerta formativa di istituto, la Scuola Secondaria di 1°
grado è chiamata a proporre, in accordo con le famiglie, scelte
il più possibile condivise dagli altri soggetti educativi nell’extrascuola
(enti locali, formazioni sociali, comunità religiose, volontariato,
la società civile intera)” sembra rinviare a una contrattazione
che non rispetta l’autonomia istituzionale e culturale delle scuole,
il cui compito è di dialogare e di coinvolgere le altre istituzioni,
non di subordinarsi ad esse nelle proprie scelte, tanto più che,
ad esempio, le Regioni avranno un proprio spazio nella quota di curricolo
ad esse riservato. Non condividiamo un’apertura ampia come quella
prefigurata dalle “Indicazioni Nazionali per la Scuola Secondaria
di Primo Grado” in cui le si affida “un processo formativo
continuo cui debbono concorrere unitariamente anche le varie strutture
non formali e informali del territorio”: a ciascuno i propri spazi,
le proprie competenze, senza pericolose commistioni facili da avviare
ma difficili da gestire.
- Per quanto si riferisce al rapporto col territorio, anche rispetto alla
delega alle regioni del segmento successivo al 1° ciclo dell’istruzione
secondaria, c’è la preoccupazione che il profilo educativo,
culturale e professionale dello studente alla fine del 1° ciclo di
istruzione, risulti poco solido, insufficiente per affrontare la canalizzazione
precoce prefigurata dalla legge 53/03 con la scelta tra licei e istruzione
/formazione professionale, tanto più che, in seguito alla possibilità
d’anticipo, tale scelta è tarata su un’età inferiore
ai 6-14 anni indicati dal documento. A questo proposito, la stessa valutazione
sembra svolgere la funzione di preparare la selezione tra quanti si collocheranno
nella dimensione del “fare” e quanti resteranno in quella
del “sapere” (“Indicazioni Nazionali per la Scuola Secondaria
di Primo Grado” § Obiettivi generali del processo formativo,
§ Obiettivi specifici di apprendimento).
- Rispetto alla divaricazione dei percorsi, la Fnism ritiene che si lasci
alla frantumazione regionale un intero settore, di istruzione e di formazione
professionale, che imporrà alle Regioni funzioni sostitutive di
quelle proprie della scuola, con la creazione di un proprio sistema parascolastico,
fonte di duplicati e sperperi e anche, temiamo, di forti diseguaglianze
sul piano culturale e formativo, con gravi rischi per l’innalzamento
dei livelli di istruzione di base e di educazione ai diritti di cittadinanza.
C’è il rischio che si ritorni alla vecchia concezione della
formazione professionale come surrogato e alternativa alla formazione
culturale di base e che circa un quarto degli studenti secondari venga
dirottato su percorsi formativi non ovunque e non egualmente qualificati
e con prospettive di disoccupazione poiché non disporranno degli
strumenti intellettuali e culturali idonei all’apprendimento continuo
in un mercato che richiede alte capacità tecniche e professionali.
INSEGNANTI
-
Per quanto si riferisce al ruolo attribuito agli insegnanti, si delinea
nelle Indicazioni nazionali una netta riduzione della loro autonomia professionale,
con un’ingerenza continua sul loro operato di soggetti esterni alla
scuola. Inoltre si spezza la loro sostanziale parità di ruolo introducendo
figure anomale come quella del tutor che va ben oltre le competenze previste
dall’attuale profilo docente e pone interrogativi circa la formazione,
i tempi di lavoro, i criteri di selezione. Nella scuola primaria scompare
un’articolazione in team che ha influito positivamente sulla qualificazione
di questo segmento a partire dall’introduzione della riforma legata
alla L.148/90 e si ritorna a una figura di docente prevalente che ci si
augurava ormai superato. Troviamo così l’insegnante coordinatore
dell’équipe pedagogica nella scuola dell’infanzia,
il coordinatore-tutor nella primaria, il docenter-tutor nella secondaria
di 1° grado, che gestisce una pluralità di rapporti con gli
altri soggetti, interni ed esterni, coinvolti nel processo formativo,
che “entra in contatto con gli allievi e che svolge anche la funzione
di tutor dei medesimi, in costante rapporto con le famiglie e con il territorio,
anche in ordine alla scelta delle attività opzionali facoltative.….”
Ma si può presumere che gli altri insegnanti non facciano nulla
di tutto ciò e si limitino alla pura trasmissione di conoscenze?
In ogni caso, con la prevalenza così netta di un docente, si nega
di fatto il valore della collegialità e della corresponsabilità
dell’intero corpo docente, e si fa leva su un solo insegnante -dotato
certamente di capacità e competenze ma anche di limiti- per cogliere
le potenzialità degli studenti anche in ambiti che possono essere
lontani dalla sua sensibilità.
- Con l’autonomia scolastica si era avviato un sistema basato su
prestazioni ampie ed articolate della funzione docente cui sono connesse
prospettive di riconoscimento delle differenze rispetto all’organizzazione
del lavoro. Ci chiediamo quali sviluppi potranno esserci alla luce delle
Indicazioni e della riforma. Nella legge 53/03 si afferma di voler valorizzare
i docenti, di fatto però si torna ad un profilo professionale tutto
definito e saldato nell’autoreferenzialità universitaria,
negando il ruolo della scuola come luogo di crescita professionale e una
relazione tra scuola e università in cui realizzare l’incontro/confronto
tra la ricerca disciplinare e la didattica applicata, tra la teoria e
la riflessione sulla dimensione operativa. L’art.5 configura una
preparazione essenzialmente universitaria, con un’abilitazione all’insegnamento
conseguita attraverso studi teorici, senza contatto con la realtà
del “fare scuola”, poiché non si fa riferimento, accanto
all’approfondimento disciplinare, ad altri ambiti di professionalizzazione
metodologico-didattica. Inoltre si prevede che l’accertamento dei
requisiti e la verifica dell’adeguatezza della preparazione personale
siano a carico delle università, rimanendo sempre sul piano teorico-culturale.
Non c’è accertamento di aspetti attitudinali che possono
anche essere rinviati a una fase successiva alla prima formazione, ma
che non possono essere elusi nella preparazione ad una attività
fondamentalmente centrata sul rapporto con persone, con una forte rilevanza
degli aspetti relazionali e comunicativi. Riteniamo che il tirocinio debba
avvenire, almeno in parte, all’interno della laurea specialistica,
ad es. nel biennio di specializzazione, anche per consentire eventuali
correzioni delle scelte compiute da parte dei futuri insegnanti mentre
non ci sembra accettabile la sua trasformazione in prestazione professionale
con la stipula di contratti di formazione lavoro.
- Per quanto si riferisce alla formazione in servizio, riteniamo che non
possa essere affidata esclusivamente all’università, tanto
più rispetto a funzioni che non hanno una configurazione precisa,
ma che sono strettamente collegate alle esigenze delle scuole, come ad
es. quella del tutor. All’università rinvia il costante aggiornamento
rispetto ai contenuti disciplinari, metodologici e della ricerca: nessuna
laurea può aspirare a garantire una formazione culturale conclusa,
che non abbia necessità di aggiornamenti e verifiche costanti.
L’obiettivo della valorizzazione della professionalità docente
trova ostacoli anche nella regionalizzazione degli insegnanti della fascia
della formazione tecnico-professionale e proprio nella fase della ridefinizione
del profilo professionale all’insegna dell’unitarietà
della funzione docente, si introduce un dualismo poco rassicurante che
mette in discussione i meccanismi del reclutamento, della formazione iniziale
e in servizio e del rapporto di lavoro nel suo complesso.
LE
EDUCAZIONI
-
Quanto all’introduzione delle “educazioni”, rileviamo
che esse costituiscono un utile richiamo su tematiche diffuse in tutti
i contenuti dell’insegnamento. Ci preoccupa però la confusione
che può essere indotta dall’uso del linguaggio: abbiamo infatti
da un lato dei contenuti disciplinari dei quali vengono precisati obiettivi
cognitivi e capacità e che sarebbero impartiti dagli insegnanti.
Dall’altro lato troviamo le educazioni che rinviano ad approfondimenti
anche di tipo specialistico che, in quanto esulano dalle aree di competenza
dei singoli insegnanti, potrebbero anche essere affidate ad esterni. In
questo caso, potremmo avere educazioni e discipline che non solo procedono
con la logica delle parallele destinate a non incontrarsi mai, ma con
un’inaccettabile dicotomia tra insegnanti relegati nei rispettivi
ambiti disciplinari ed esperti-non-insegnanti con ruolo di educatori.
Sarebbe opportuno ribadire che il ruolo di eventuali esperti è
relativo ad approfondimenti di tipo tecnico-specialistico, mentre agli
insegnanti spetta gestire l’impostazione formativa ed educativa
implicita nelle loro aree disciplinari, tanto più che l’educazione
e le educazioni, proprio per il loro carattere trasversale, non si impartiscono
dalla cattedra, ma si apprendono dalla riflessione sui comportamenti,
attraverso la qualità delle relazioni interpersonali e chiama in
causa il complessivo clima della scuola. In ogni caso, sia per le discipline
sia per le educazioni, risulta restrittiva la delineazione di contenuti
(per molti versi simili a veri e propri “programmi”) da cui
sarà difficile prescindere anche in fase di trasformazione delle
indicazioni in obiettivi specifici di apprendimento, tanto più
per le “educazioni” a meno che non si intenda trattarle a
tutti gli effetti come discipline.
- In particolare, l’educazione all’affettività conferma,
nella sua impostazione, la difficoltà che la scuola incontra ad
affrontare i temi connessi all’appartenenza di genere e all’educazione
sessuale in tutta la sua estensione. Già l’apertura delle
“Indicazioni Nazionali per la Scuola Primaria” e delle “Indicazioni
Nazionali per la Scuola Secondaria di Primo Grado” con la nota relativa
al linguaggio sottolinea le carenze di una cultura che demanda agli insegnanti
il compito di superare nella “concreta azione educativa e didattica”
problemi che ci si limita ad enunciare formalmente e in maniera notarile,
prendendo le distanze dalle difficoltà di un linguaggio dove domina
la falsa neutralità del maschile e una cultura all’insegna
della separazione dei ruoli. I successivi riferimenti all’appartenenza
di genere non presentano alcun tentativo di andare oltre la constatazione
che “alunne e alunni sono diversi” e si rinuncia a connotare
le diversità come valori positivi e a proporne una lettura in termini
storico-culturali. In questa prospettiva l’educazione all’affettività
surroga in maniera edulcorata ma certo insoddisfacente, l’educazione
sessuale. Lascia perplessi ad es. trovare nelle “Indicazioni per
la scuola dell’infanzia” (§ Il sé e l’altro”)
, tra gli obiettivi, “Accorgersi se, e in che senso, pensieri, azioni
e sentimenti dei maschi e delle femmine mostrano differenze, e perché”,
cui sarebbe davvero arduo dare risposte significative. Così anche
per l’espressione “Le principali differenze fisiche, psicologiche,
comportamentali e di ruolo sociale tra maschi e femmine”, formulazione
che nega la problematicità di tale condizione e ripropone ancora
una volta il destino biologico come destino sociale (“Indicazioni
per la scuola primaria”). Anche nei contenuti dell’Educazione
all’affettività per la scuola secondaria di 1° grado
l’approccio ai temi dell’identità personale e della
dimensione sessuale rinvia a un’impostazione moralistica priva della
tensione etica della responsabilizzazione delle scelte che è alla
base dello sviluppo della persona.
Fnism
Federazione Nazionale Insegnanti
|