GISCEL
INDICAZIONI
NAZIONALI PER I PIANI DI STUDIO PERSONALIZZATI
L'educazione linguistica tra tabelle di obiettivi e piani di studio
personalizzati
["Università e scuola" a. VII, n.2/R, 2002, pp.6-11]
Cristina Lavinio (Segretaria nazionale GISCEL - Gruppi di intervento
e studio nel campo dell'educazione linguistica, costituiti nell'ambito
della Società di Linguistica Italiana )
N.B.:
l'articolo, scritto in un momento in cui le Indicazioni per la scuola
media non erano ancora disponibili, riguarda la sola scuola elementare.
Se
non ci fosse da essere molto, ma molto, preoccupati per le sorti della
nostra scuola, potremmo persino trovare divertente leggere le Indicazioni
Nazionali per i Piani di Studio Personalizzati nella Scuola Primaria.
E sarebbe facile, a partire da questa lettura, estrapolarne una lista
molto lunga di citazioni, sì da costituire un enorme stupidario,
sintomo di confusione (ad essere generosi) o di conoscenza superficiale,
solo orecchiata, di discipline per le quali si individuano gli "obiettivi
specifici di apprendimento" da tenere presenti "per mantenere
l'unità del sistema educativo nazionale di istruzione e formazione".
Si tratta di obiettivi prescrittivi o vincolanti, più volte ribaditi
come tali benché, qua e là, con qualche attenuazione contraddittoria.
Ma andiamo con ordine, riservandoci di citare in seguito qualcuna delle
perle più evidenti (1), che sono solo il corollario di un disegno
i cui presupposti generali sono ben più gravi e che rischia, come
da più parti si è denunciato, di riportare indietro di almeno
cinquant'anni la scuola italiana. Consideriamo qui il profilo dell'educazione
linguistica emergente soprattutto dalle suddette indicazioni per la scuola
primaria che, corredate dalle relative raccomandazioni (2), accompagnano
in allegato il D.M. n. 100 del 18.9.2002, cioè il Decreto di attuazione
del Progetto Nazionale di Sperimentazione (3).
1.
Presentazione discorsiva e disposizione tabellare degli obiettivi
Le "indicazioni" per la scuola primaria sono aperte da una corposa
e pomposa parte discorsiva in cui vengono esposte innanzitutto le ragioni
"culturali", "gnoseologiche ed epistemologiche", "etiche"
e "psicologiche" che inducono a chiamare "primaria"
la vecchia scuola elementare; si passa quindi agli obiettivi generali
del processo formativo e agli obiettivi specifici (ma nazionali) di apprendimento.
Questi ultimi si pongono/impongono come il punto di riferimento comune
per la confezione dei "piani di studio personalizzati", che
dovrebbero essere invece a carico delle generiche, se non misteriose,
"determinazioni professionali delle istituzioni scolastiche"
oltre che, ovviamente, dei singoli docenti. Dopo un paragrafo dedicato
al "Portfolio delle competenze individuali dell'alunno" e un
accenno a "vincoli e risorse", si presentano in tabelle di due
colonne, disciplina per disciplina (4), gli obiettivi specifici di apprendimento
che, non ci vuole molto a capirlo, costituiscono la preoccupazione principale
del documento (5). Sono differenziati, inoltre, tenendo conto di tre tappe
distinte entro cui conseguirli: il primo anno, il secondo e terzo (primo
biennio), il quarto e quinto (secondo biennio) della Scuola Primaria.
Gli obiettivi specifici della colonna a sinistra delle tabelle sarebbero,
come ricaviamo anche dalle "raccomandazioni", relativi al 'sapere',
cioè alle conoscenze irrinunciabili, quelli della colonna a destra
relativi al 'saper fare', cioè alle abilità.
Ma un semplice sguardo ai contenuti di queste colonne fa venire molti
dubbi sulla chiarezza dei criteri con cui si è proceduto a tali
distinzioni: si tratta piuttosto di due elenchi in cui sembra regnare
il caos più totale. E' come se fossero nati dal rimescolamento
fortuito di schegge impazzite prelevate (quando non si tratta di pesanti
aggiunte 'inedite') da precedenti documenti provvisti di ben maggiore
senso e coerenza. Mi riferisco in particolare alle Indicazioni curricolari
per la scuola di base formulate dalla "Commissione per il riordino
dei cicli" nominata dal Ministro De Mauro, chiamando a farne parte
esperti e operatori scolastici, rappresentanti di associazioni e dei genitori,
ecc. e che era riuscita, seppure con tutte le mediazioni del caso (tenuto
conto della sua composizione ampia e non di parte) a formulare un testo
perfettibile, sì, ma non così grottesco. Di quella Commissione
facevano parte - ed è opportuno ricordarlo - anche i vari Bertagna
che possono essere considerati i corresponsabili primi di questa (contro)riforma
morattiana, che a parole ha azzerato tutto il lavoro precedente, tranne
che ripescarne frammenti più o meno estesi qua e là, calandoli
in un contesto in cui perdono, se non tutto, moltissimo del loro senso
originario.
Il disorientamento che si prova nel guardare alle due tabelle, dove ci
aspetteremmo di trovare veramente (dato che ciò è dichiarato)
da una parte conoscenze, dall'altra abilità, trova una qualche
spiegazione nel fatto che, come scopriamo leggendo le "raccomandazioni",
le abilità vengono concepite in maniera inconsueta: non sarebbero
che "il sapere che accompagna il fare qualcosa con perizia".
Le abilità sono esse stesse, dunque, un sapere. Si riferiscono
- leggiamo - al saper fare: non solo al fare, ma "al sapere le ragioni
e le procedure di questo fare": definizione stramba e strabica che,
per esempio, indurrebbe a pensare che per saper andare in bicicletta (un
saper fare, sino a prova contraria) occorra sapere tutto sull'equilibrio
e su come è fatta una bicicletta. Oppure che, nell'uso di una lingua,
non esistano abilità orali prima di sapere come funziona la comunicazione
orale, quali sono gli elementi che la caratterizzano. Sarà forse
perciò che la prima conoscenza in assoluto ad essere inventariata
per la prima classe è la "comunicazione orale". Ma sbaglia
chi potrebbe aspettarsi, a questo punto, cose come destinatario, contesto
ecc. Citando più estesamente questo obiettivo, leggiamo invece
"Comunicazione orale: concordanze (genere, numero), tratti prosodici
(pausa, durata, accento, intonazione); la frase e la sua funzione in contesti
comunicativi (affermativa, negativa, interrogativa, esclamativa)",
in un guazzabuglio in cui, a ben vedere, più che la comunicazione
interessano alcuni fatti grammaticali che i "fanciulli" (6)
dovrebbero imparare a riconoscere ed etichettare (7) da subito. E in attesa
che le quattro abilità (ascoltare, parlare, leggere e scrivere)
emergano più decisamente nel secondo biennio della primaria. Solo
a quel punto, infatti, gli obiettivi saranno ripartiti e ascritti alle
diverse abilità di base; seguite però da una lunga lista
di "abilità grammaticali" terminologicamente inedite,
ma ampiamente coincidenti con gli esercizi di cui abbondano da sempre
i libri scolastici di grammatica.
2.
Dai piani di studio al profilo
Ma
facciamo ancora uno sforzo per scovare la logica che presiede alla definizione
degli obiettivi specifici di apprendimento. Ci si avverte "che l'ordine
epistemologico di presentazione delle conoscenze e delle abilità
[…] non va confuso con il loro ordine di svolgimento psicologico
e didattico con gli allievi". Dunque ci sarebbe un "ordine epistemologico"
(benché, come si è già intravisto, tale epistemologia
sia poco rigorosa nella sua fondatezza teorica), valido "solo per
i docenti" e teso a disegnare "una mappa culturale, semantica
e sintattica", da padroneggiare nei dettagli e tradurre in azione
didattica. Dove? Lungo il curricolo, si potrebbe dire. No, è meglio
evitare la natura intimamente eversiva della Programmazione curricolare
così come dei Programmi, dato che essi inducevano, nel trasferimento
dal 'nazionale' al 'locale', ad essere "trasgressivi", "disobbedendo"
(sic!) (8) alle loro indicazioni (9). Si passa invece ai piani di studio
personalizzati che, anno per anno, dovrebbero portare lo studente, alla
fine del primo ciclo, e cioè a 14 anni, a condividere i tratti
essenziali del Profilo educativo, culturale e professionale (10) stabilito
dal Ministero.
In questo Profilo troviamo peraltro - è onesto dirlo - delle cose
piuttosto sensate, almeno quanto alle abilità linguistiche elencate
sotto il titolo di "strumenti culturali per leggere e governare l'esperienza"
(anche se collocate dopo le abilità che confluiscono nelle competenze
utili a "svolgere funzioni di giuria ed arbitraggio nelle discipline
sportive di base"). Ma sarebbe stato altrettanto onesto dichiarare
che si tratta di una messe di obiettivi saccheggiati a piene mani dalle
"indicazioni curricolari" formulate dalla Commissione demauriana.
Solo che, anche qui, lo zampino dell'attuale temperie ha lasciato il segno,
precisando ed evidenziando in due belle parentesi centrali che si tratta
di dare rilievo soprattutto alle vecchie "analisi grammaticale"
e "analisi logica", senza rendersi conto che esse sono lontane
dall'essere state espunte dalla scuola e dai libri di testo (11) e che
andrebbero invece ricondotte a maggiore sensatezza, come suggerivano implicitamente
i programmi per la scuola elementare del 1985, assorbendole nell'ambito
delle 'riflessioni sulla lingua'.
Del resto, affermare, come si è sempre fatto negli ultimi decenni,
che nello sviluppo linguistico il saper fare viene prima del sapere metalinguistico,
non ha mai significato espungere la grammatica. Non a caso, nello stesso
documento di sintesi dei lavori della Commissione suddetta, dopo avere
dichiarato la preminenza, più che opportuna con bambini dai 6 ai
10 anni, dell'educazione agli usi della lingua, inclusi quelli creativi
e letterari (e dunque educazione al parlato e all'ascolto, al leggere
e allo scrivere), si dava poi ampio spazio a una riflessione sulla lingua
tesa a "costruire la capacità di guardare alla lingua come
a un oggetto degno di attenzione e analisi; costruire una mentalità
problematica e un atteggiamento scientifico nell'analisi di fenomeni linguistici
e testuali; dare consapevolezza delle principali funzioni e strutture
della lingua; contribuire allo sviluppo delle abilità linguistiche
nei loro aspetti più complessi e consapevoli ecc.". Dentro
queste affermazioni, che venivano supportate da obiettivi di apprendimento
(ma da conseguire tra il terzo e il quinto anno) come "conoscere
le parti del discorso, modi e tempi verbali; essere consapevoli della
centralità del verbo nelle frasi e saper distinguere predicati
che esprimono la caratteristica di un soggetto e predicati che mettono
in relazione il soggetto con altri elementi ecc.", c'era già
moltissima grammatica, ma da fare e costruire a scuola in modo ragionevole
(12) e tenendo conto delle capacità cognitive dei bambini. E' sconfortante
vedere che cosa questo progetto è diventato oggi nei documenti
ministeriali, che con la loro confusione sembrano rispecchiare e alimentare
la confusione in cui si trova l'intero mondo della scuola.
3.
L'educazione linguistica mortificata
Certo,
si dirà, l'educazione linguistica così come
è stata definita in decenni di riflessione teorica, ricerca-didattica
e di dibattito, recepita nelle sue linee portanti in testi ufficiali e
istituzionali come i Programmi della scuola media del 1979, quelli della
scuola elementare del 1985, più tardi nei programmi Brocca ecc.,
con tutta la sua trasversalità e centralità, difficilmente
può essere liquidata. Del resto, anche i documenti allegati al
D.M. n.100, non fanno che ribadirne l'importanza e centralità,
se da subito leggiamo che la scuola primaria "promuove nei fanciulli
e nelle fanciulle l'acquisizione di tutti i tipi di linguaggio" (13).
E continuiamo a trovare, ovviamente, obiettivi di educazione linguistica
disseminati tra le varie discipline, sia quando si riferiscano, più
o meno tangenzialmente, a linguaggi specifici (es.: i grafici, le carte
fisiche e tematiche della geografia, da imparare a leggere; così,
come le immagini, i gesti, i colori per "arte e immagine", i
suoni per la musica, la videoscrittura per "tecnologia e informatica"),
sia quando, soprattutto nella colonna delle abilità, troviamo una
serie di indicazioni relative a cose che si devono fare passando per l'uso
della lingua (i vari descrivere, ragionare ecc., molto frequenti soprattutto
per scienze da una parte e matematica dall'altra), senza trascurare di
inserire in qualche caso i riferimenti alle terminologie delle discipline
(per esempio, tra le abilità indicate per la storia nel secondo
biennio, troviamo "conoscere e usare termini specifici del linguaggio
disciplinare"). Né manca ovviamente, la "lingua straniera",
che si inserisce a pieno titolo entro un'educazione linguistica intesa
come educazione alla gestione di più lingue e linguaggi. La presenza
di una lingua diversa dall'italiano a partire dal primo anno della scuola
primaria non è del resto una novità assoluta (14), dato
che era prevista già nel riordino dei cicli precedentemente programmato.
Solo che qui essa coincide sempre e solo con l'inglese (una delle tre
i della propaganda berlusconiana sulla scuola), mentre sarebbe stato più
sensato mantenere la possibilità di introdurre anche altre lingue
europee in alternativa all'inglese.
Si afferma a un certo punto, nelle "Indicazioni", che dovrebbe
essere privilegiata "ove possibile, la coltivazione dell'eventuale
lingua madre che fosse diversa dall'italiano" (un residuo per l'attenzione
alle lingue, anche extracomunitarie, presente in documenti prodotti durante
il Ministero De Mauro) ma la cosa non è affatto sviluppata e si
è ben lontani dal sottolineare che, in una scuola che vede ormai
la presenza di un numero molto alto di alunni provenienti da famiglie
di immigrati, lo stesso italiano è sempre più una lingua
di contatto. Considerarlo tale comporterebbe del resto minare alle basi
le preoccupazioni più evidenti che hanno guidato la definizione
dell'elenco degli obiettivi specifici di apprendimento.
Insomma, per quanto una lettura estesa degli allegati permetta di scoprire
che contengono qua e là numerose aperture nelle direzioni più
varie, è più che fondata l'impressione di un loro notevole
e progressivo riduzionismo: l'educazione linguistica si riduce all'italiano
(e all'inglese), l'italiano si riduce a obiettivi metalinguistici, teorizzati
come sempre indispensabili anche per lo sviluppo delle abilità.
E si tratta in fondo della riproposizione di forti preoccupazioni ortografiche
e grammaticali, per quanto ammantate di una terminologia linguistica aggiornata,
ma usata in modo confuso e improprio.
4.
Obiettivi di italiano: tra distorsioni e sciocchezze
Resta
ora lo spazio per fare solo qualche esempio. Nel primo anno, si indicano
tra gli obiettivi della prima colonna (le conoscenze) "alcune convenzioni
di scrittura: corrispondenza tra fonema e grafema, raddoppiamento consonantico,
accento, parole tronche, elisione, troncamento, scansione in sillabe".
Non è che l'ortografia rivestita di inesattezze, dato che, si può
obiettare, non è detto che ci sia sempre una sistematica corrispondenza
biunivoca tra fonema e grafema, come la formulazione potrebbe indurre
a far pensare (15). Anche se poi scopriamo che, per le classi seconda
e terza, più esplicitamente, sono riprese le "convenzioni
ortografiche (accento monosillabi, elisione, scansione nessi consonantici,
uso della lettera "h", esclamazioni, sovrabbondanza di gruppi
di grafemi…)". Tra le conoscenze da possedere alla fine della
Scuola primaria compare la "punteggiatura", collocata, come
accadeva un tempo nella peggiori grammatichette scolastiche, in corrispondenza
del "livello fonologico" (16). Di punteggiatura si parla comunque
anche per gli anni precedenti: per il primo anno sono citati i segni di
punteggiatura 'forte', tra cui la virgola (!?); e per il primo biennio
i "segni di punteggiatura debole (17) e del discorso diretto all'interno
di una comunicazione orale (sic!) e di un testo scritto".
Analogamente, molto ci sarebbe da ridire su quelle antinomie che, per
ben due volte (dunque non si tratta di un refuso) vengono citate al posto
delle antonimie, laddove si elencano, tra le conoscenze da conseguire
nel primo biennio, le "relazioni di connessione lessicale, polisemia,
iper/iponimia, antinomia fra parole sulla base dei contesti" e, tra
le conoscenze per il secondo biennio, le "relazioni di significato
fra parole (sinonimia, iper/iponimia, antinomia, parafrasi), in rapporto
alla varietà linguistica: lingua nazionale e dialetti, scritto
e orale, informale e formale". Ammesso e non concesso che si tratti
di conoscenze da fornire ai poveri "fanciulli", ci si aspetterebbe
per lo meno che le relazioni di antonimia (cioè tra parole di significato
contrario, come amico/nemico, caldo/freddo ecc.) non venissero confuse
con le antinomie, cioè con le contraddizioni logiche. E troppo
lungo sarebbe soffermarsi sulla farraginosità delle formulazioni
suddette (per esempio, che differenza c'è tra la sinonimia e la
parafrasi, se si citano ambedue come "relazioni di significato tra
parole"? (18)).
Insomma, è inutile perdere tempo a commentare un insopportabile
pasticcio di obiettivi minuti mescolati indistintamente ad altri pretenziosi
(19) o ad altri che, più importanti e seri in sé, sono lì
come per caso, resi asfittici e impoveriti da quanto li circonda. C'è
solo da confidare nel buon senso degli insegnanti, che sono abituati ormai
da anni ad avere come punto di riferimento gli ottimi programmi per la
scuola elementare del 1985 e che sono in genere, proprio nella scuola
elementare, particolarmente attenti a quella centralità dell'alunno
che invece, in questi documenti ministeriali, pur essendo ancora sbandierata
a parole, è completamente tradita.
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NOTE:
1.
Come quella "grammatica e sintassi" indicata, per l'italiano,
tra gli obiettivi per il terzo anno: un obiettivo globalmente ambizioso
(come è possibile considerarlo specifico?) e formulato in maniera
discutibile, dato che la sintassi è una parte della grammatica
e si sarebbe dovuto parlare, semmai, di "morfologia e sintassi".
2. E' un corposo documento di almeno 60 pagine, il cui titolo esteso recita:
Raccomandazioni per l'attuazione delle "Indicazioni Nazionali per
i Piani di studio personalizzati nella Scuola Primaria".
3. Questo D.M. riguarda anche le scuole per l'infanzia, per le quali sono
state formulate analoghe "indicazioni nazionali per i piani personalizzati"
e relative "raccomandazioni per l'attuazione".
4. Per carità, non materia, per le ragioni che apprendiamo nelle
"raccomandazioni" parallele!
5. Seguono le tabelle per 'educazioni', che trovano poi "la loro
sintesi nell'unitaria Convivenza civile".
6. Come nel solito linguaggio pedagogico-burocratico di marca ministeriale
continuano ad essere designati, in modo ottocentesco, i normali bambini,
che diventerebbero fanciulli appena varcati i confini della scuola primaria
(i bambini sarebbero solo quelli della Scuola per l'infanzia).
7. Ma, parlando di riconoscimento, siamo già su un piano di benevola
interpretazione del pensiero di chi ha formulato tali obiettivi e che,
se per caso ha mai sentito parlare un bambino di cinque anni , dovrebbe
essersi accorto che da tempo questo bambino ha imparato a gestire (e bene),
nell'uso linguistico, concordanze di genere e numero e i diversi tipi
di frase indicati.
8. E la disubbidienza, come vediamo di questi tempi, può essere
punita con il carcere duro.
9. Leggiamo tutto ciò, ancora una volta, nelle "raccomandazioni".
10. Risparmiamoci qualunque battuta su questo parlare improprio di profilo
professionale per ragazzi di 14 anni o addirittura per i bambini della
scuola primaria.
11. Cfr. le analisi di testi per le elementari disseminate in vari contributi
del volume a cura di R. Calò - S. Ferreri, Il testo fa scuola.
Libri di testo, linguaggi ed educazione linguistica, Firenze, La Nuova
Italia, 1997 (Quaderni del Giscel n. 18).
12. Alla maniera, per esempio, di M.G. Lo Duca, Esperimenti grammaticali,
Firenze, La Nuova Italia, 1997 o pensando alla grammatica 'ragionevole'
di cui già nel 1977 parlava L. Renzi (L. Renzi, Una grammatica
ragionevole per l'insegnamento, in G. Berruto, a cura di, Scienze del
linguaggio ed educazione linguistica, Torino, Stampatori, 1977, pp. 13-56).
13. Viene però da esclamare: "ohibò! tutti !?";
si ha idea di quanti sono i linguaggi, cioè i codici o le lingue,
naturali o artificiali, esistenti?; o di quanti sono i linguaggi intesi
come varietà interne a una singola lingua, dunque come sinonimo
di 'lingue speciali', in un'accezione che ci permette di parlare di linguaggio
giornalistico, di linguaggi(o) delle scienze, dell'economia, dello sport
ecc.?
14. Come si è invece sbandierato sulla stampa illustrando questa
'sperimentazione' della legge-delega sulla scuola presentata dall'attuale
governo.
15. Infatti, dato uno stesso fonema, esso può essere rappresentato
da più grafemi (come nel caso della lettera c, del nesso ch e della
lettera q, rispettivamente in parole come cane, chiodo, quattro, che iniziano
tutte invece con il medesimo fonema) e, viceversa, lo stesso grafema può
essere ambiguo, dato che può essere usato per rappresentare fonemi
diversi (come nel caso delle lettere c o g).
16. Mentre dovrebbe essere ormai noto a tutti che la punteggiatura è
un modo specifico per segmentare e rendere leggibili i testi scritti,
è funzionale a una loro scansione logico-semantica e poco o niente
ha a che fare con le pause del parlato.
17. Peccato che non siano indicati. Del resto, sarebbe stato un po' difficile,
dato che la virgola era già stata inclusa tra quelli forti.
18. La parafrasi è infatti una equivalenza semantica che, nel caso
si realizzi tra due parole, la fa coincidere con la sinonimia (cfr. L.
Lumbelli - B. Mortara Garavelli, a cura di, Parafrasi. Dalla linguistica
alla ricerca psicopedagogica, Alessandria, Edizioni dell'Orso, 1999).
19. Come, per esempio, la "grammatica e sintassi" già
citata. Ma, curiosando un po' tra gli obiettivi dell' "educazione
all'affettività", compare anche l' "autobiografia",
collocata, tra l'altro, sulla colonna delle conoscenze (per cui si incomincia
a dubitare che i bambini debbano leggere/studiare autobiografie) e che
poi scopriamo corrispondere a quello che, in modo molto più sensato,
si sarebbe potuto chiamare il "raccontare di sé".
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