MCE-FIMEM
INDICAZIONI NAZIONALI PER I PIANI DI STUDIO PERSONALIZZATI
LA RISPOSTA DEL M.C.E ALLA CONSULTAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI PROFESSIONALI
AVVIATA DAL MINISTRO MORATTI SULLE “ INDICAZIONI NAZIONALI PER I
PIANI DI STUDIO PERSONALIZZATI NELLA SCUOLA PRIMARIA”
Il
sistema dell’istruzione riveste un’importanza cruciale per
lo sviluppo di ogni Paese democratico, per la formazione delle giovani
generazioni, per un reale esercizio della cittadinanza. Riteniamo perciò
che il funzionamento del sistema e i cambiamenti che lo investono interroghino
la società tutta, richiedano il coinvolgimento il più possibile
attivo di una pluralità di soggetti, meritino grandi investimenti
umani, culturali e finanziari.
Nel corso di questi mesi è stata forte l’impressione che
si sia in più occasioni guardato alla scuola e al sistema dell’istruzione
più come a un terreno sul quale operare risparmi che non al quale
destinare investimenti. Ciò, se raffrontato alla corposità
degli obiettivi formativi, generali e specifici, non può che alimentare
una forte preoccupazione.
In
una società attraversata da dinamiche di trasformazione profonde,
dove mutano le condizioni e i soggetti dell’inclusione sociale,
si rafforzano sia la necessità di garantire a tutti e a tutte l’accesso
all’istruzione sia l’esigenza di elaborare ed acquisire il
sapere che oggi appare essere più che mai condizione sine qua non
per l’esercizio pieno della cittadinanza.
Già da alcuni anni è emerso con evidenza quanto sia urgente,
alla luce di queste esigenze, un cambiamento della scuola italiana finalizzato
a rinnovare le condizioni dell’adempimento del dettato costituzionale,
a vedere nella scuola una garanzia della promozione umana, culturale e
sociale di ogni persona, una agenzia di inculturazione capace di garantire
integrazione e solidarietà, di elaborare cultura di pace, di funzionare
come un laboratorio sociale di convivenza multiculturale e di partecipazione
democratica.
Il
buon esito dei processi di riforma della scuola si nutre del protagonismo
dei suoi attori e, fra questi, in primis di quello degli insegnanti.
La professionalità docente ha bisogno di uscire da una deriva impiegatizia
per acquisire nuova consapevolezza professionale da un lato e di vedere
riconosciuto socialmente il proprio ruolo dall’altro. Vi sono invece
nei Piani di Studio Personalizzati, nel portfolio e nella stessa legge
delega, alcuni elementi che a nostro avviso possono preludere a processi
di indebolimento della professionalità docente. Ci riferiamo in
particolare:
alla formazione iniziale e in servizio, al ruolo dell’insegnante
tutor, alla valutazione e alla compilazione del portfolio.
Sulla
formazione dei docenti:
a) siamo per un rapporto organico tra Università e scuola viva
che connetta in un circolo virtuoso ricerca sul campo ed elaborazione
accademica. Riteniamo che debbano essere studiate le forme attraverso
cui implementare questo rapporto anche riconoscendo e valorizzando il
contributo che su questo terreno l’associazionismo può dare
sia nella formazione iniziale che nella formazione in servizio;
b) non condividiamo l’enfasi sugli aspetti disciplinari che la legge
delega propone per la formazione iniziale per due ordini di ragioni: il
primo attiene alla delicatezza dei processi di insegnamento/apprendimento
come relazione educativa che richiede articolate competenze psico-pedagogiche;
il secondo attiene alla lettura della complessità che si giova
assai più delle aree di confine, delle competenze trasversali,
delle metacognizioni che non di una conoscenza rigidamente organizzata
in discipline.
Sul
tutoraggio:
uno degli elementi che caratterizzano il percorso storico del Movimento
di Cooperazione Educativa è il sostegno ad una professionalità
docente vissuta in una dimensione di ricerca, imperniata sulla pari dignità
tra i docenti, su una reciprocità fondata sulla cooperazione anche
in presenza di percorsi esperienziali o di competenze diverse.
Per limitare la possibilità che il tutoraggio e l’insegnante
prevalente portino a frammentare la funzione docente e delegarne la responsabilità,
riteniamo sia necessario valorizzare il più possibile la collegialità,
ad esempio stabilendo che sia il collegio dei docenti a interpretare il
tutoraggio indicando criteri e modalità di attuazione in armonia
con la progettualità d’istituto.
Pensiamo a quella che è stata fino ad oggi la scuola elementare:
la categoria magistrale ha a suo tempo rifiutato una specializzazione
e una separazione netta di competenze, a favore della collegialità
e corresponsabilità di scelte educative e di una certa flessibilità
e rotazione nella gestione delle attività. La stessa organizzazione
in ambiti disciplinari prevista dalla L148, è sempre stata intesa
come un dispositivo funzionale alla relazione educativa e ai processi
di apprendimento e non come modalità di gestione burocratica.
Organizzare una categoria su basi completamente diverse richiederà
tempi non indifferenti e formazione: ci sono insegnanti, nuovi e meno
nuovi, che non hanno mai affrontato determinate discipline. Tutto questo
va messo in conto se non si vuol fare sprofondare la scuola elementare
nel caos.
E’
proprio la consapevolezza della centralità della funzione docente
che vive e rinnova il suo senso nella dimensione del cambiamento, ad indurci
ad esprimere anche in questo contesto la nostra preoccupazione per la
volontà da più voci espressa di definire in modo tendenzialmente
permanente come è proprio di una legge, una materia così
fluida e delicata tanto più in un momento in cui l’intero
sistema è oggetto di significativi interventi.
Sull’autonomia
degli istituti scolastici:
il sostegno e la valorizzazione della professionalità può
darsi solo in un quadro di realtà che assicuri le condizioni del
pieno sviluppo della autonomia degli istituti scolastici in termini di
risorse, di forme dell’organizzazione, di progettualità educativa,
di assunzione della responsabilità anche nel rapporto con gli altri
soggetti che nel territorio hanno competenze e potestà sull’istruzione,
di chiarezza, rispetto e collaborazione tra scuola e famiglie. Perché
questo rapporto sia funzionale e produttivo di effetti positivi per la
qualità della scuola è necessario salvaguardare l’equilibrio
tra i soggetti, anche in termini di risorse. In altri termini, la scuola
deve essere messa in condizioni di una interazione paritetica proprio
per realizzare le sue finalità istituzionali; tanto più
alla luce del fatto che la modifica del Titolo V della Costituzione ha
ricollocato la scuola tra i soggetti costituzionali riconosciuti, interpretando
in pieno la attribuzione della autonomia funzionale delle scuole.
Anche su questo terreno rileviamo dei rischi: l’esiguità
delle risorse, l’incertezza relativa alla struttura e alla composizione
del curriculum, l’ambiguità nella definizione di compiti
e ruoli tra scuola e famiglia nei processi di valutazione.
Noi pensiamo che l’autonomia vada sostenuta e sviluppata dando ampio
spazio e valore alla progettualità. Auspichiamo perciò che
venga salvaguardata la possibilità degli istituti di progettarsi
come contesti di apprendimento.
Sui
Piani di Studio Personalizzati.
abbiamo un’idea unitaria e organica di curriculum.
Pensiamo che un’ottica di giustapposizione di elementi considerati
“generali” ad elementi considerati “locali” sia
fuorviante e che la scuola debba insegnare a individuare i nessi tra locale
nazionale o globale, a riconoscere la dimensione sovraindividuale e sovranazionale
che è presente anche nei microprocessi, a evidenziare nella cultura
materiale, nella mentalità, nella lingua e in ogni espressione
culturale gli esiti dei processi di incontro/scontro tra culture diverse
che caratterizzano la storia dell’umanità.
L’integrazione
dei soggetti portatori di handicap ha insegnato molte cose alla scuola,
migliorandone la qualità. Fra queste, una riguarda i tempi: la
possibilità di contare su tempi distesi, rispettosi del percorso
evolutivo e dei ritmi individuali, è emersa come fattore di primaria
importanza nei processi di integrazione e di apprendimento di ogni bambino/a,
ragazzo/a. Dai documenti emerge invece una precisa tendenza alla riduzione
complessiva del tempo scuola. A noi pare che nella società attuale
ci sia bisogno di più sapere, di più istruzione, di più
scuola di qualità garantita a tutti e a tutte.
Abbiamo
un’idea dell’apprendimento basata sulla dimensione sociale
che riconosce, valorizza e permette l’interazione degli stili e
delle competenze individuali, promovendo la co-evoluzione di ogni soggetto
e del contesto di apprendimento.
La nostra idea di individualizzazione a favore della qualità dell’insegnamento/apprendimento
presuppone l’attenzione al contesto perché è l’ambiente
di apprendimento che consente di individualizzare attraverso le opportune
forme di mediazione didattica. Mentre la personalizzazione ci fa pensare
più alla scuola come mero contenitore di una serie di rapporti
individuali, ipotesi che, rispetto alla prima, ci sembra meno rispettosa
delle migliori pratiche in atto nelle scuole che chiedono invece di essere
riconosciute e valorizzate.
Nella
struttura e nei contenuti degli obiettivi specifici prescritti, molte
sono le cose che ci colpiscono. Una loro presentazione articolata e non
superficiale richiederebbe diversi strumenti e forme della comunicazione.
Ci limiteremo, in questa sede, a pochi accenni.
Nella nostra esperienza, il laboratorio di informatica si connota come
ambiente di apprendimento suscettibile di stimolare e implementare modalità
cooperative e co-evolutive. I documenti in esame sembrano proporre l’informatica
essenzialmente – e perciò riduttivamente – come veicolo.
Nei documenti non troviamo menzionata l’osservazione del cielo.
Da molti anni il Movimento di Cooperazione Educativa propone l’astronomia
come campo che non separa discipline e pratiche diverse. In quest’ottica
chi fa astronomia a scuola fa matematica, geometria, disegno, educazione
corporea, antropologia, poesia … e opera per lo sviluppo di un senso
ecologico dell’abitare la Terra.
Le indicazioni relative alla storia suscitano rilevanti problemi in ordine
alla loro fattibilità e coerenza. Ci sembrano connotate da un’ottica
fortemente eurocentrica che sottace il contributo recato da altre civiltà
alla genesi e allo sviluppo della cultura europea. Esse sembrano proporre
un’organizzazione del sapere di tipo secondario anche per la Scuola
Primaria e per questo ci sembrano scarsamente rispettose dei tempi e delle
modalità necessarie alla costruzione di conoscenze significative,
generalizzate e utilizzabili per la comprensione del mondo e la generalizzazione
storica.
Abbiamo sperimentato negli anni il valore epistemologico e formativo dell’opzione,
accolta nei Programmi del 1985, che aveva portato a considerare storia,
geografia e studi sociali come un’area unitaria, anche sulla base
dell’assunzione del valore d’uso pedagogico e didattico del
concetto antropologico di cultura. Su questa base il principio del riconoscimento
e della valorizzazione delle esperienze individuali e delle diversità
culturali, ha potuto inverarsi in molti percorsi di educazione interculturale.
Orizzonte educativo di importanza cruciale in una società chiamata
ad elaborare anche sul piano della cultura, della mentalità e del
senso comune il dato dell’accentuarsi della sua composizione multietnica.
In questo contesto la scuola e la sua capacità di integrazione
dei figli di migranti, profughi, nomadi diventa banco di prova della tenuta
democratica del Paese, della sua capacità di rinnovare le forme
della convivenza civile e di declinare la cittadinanza nella garanzia
dell’esercizio di diritti positivi da parte di tutti i soggetti
che lo abitano. Come dobbiamo leggere l’assenza di ogni riferimento
all’educazione interculturale nei documenti in esame?
Infine,
condividiamo la necessità di garantire in un quadro nazionale il
diritto all’istruzione, tuttavia riteniamo vadano ricercate le forme
per non operare in modo centralistico; infatti, proprio per realizzare
quel diritto, è necessaria una grande attenzione alle specificità
territoriali, sociali e umane. La valorizzazione dell’autonomia
sta in questo quadro ed è anche in rapporto a questo che riteniamo
che la valutazione nazionale debba riguardare le competenze, il “come
si impara” piuttosto che i contenuti specifici.
Sul
profilo
Proponiamo alcune osservazioni sui tempi:
ci pare di intravedere nelle scansioni previste - i bienni e il primo
anno della Scuola primaria categoricamente preposto all’apprendimento
della lettura e della scrittura- un'idea di sviluppo e di apprendimento
lineare che procede speditamente per tappe chiaramente definite e consequenziali.
Noi pensiamo invece che ci sia bisogno di continuità-coerenza-evolutività
di procedure metodologiche, di modalità di lavoro, di strumenti,
così che ci sia congruenza tra evolutività dei contenuti
e sviluppo della personalità che, essendo caratterizzata da discontinuità,
arresti, punti di crisi, è bisognosa di un contesto flessibile
che accompagni e contenga tale andamento.
In un quadro che vede l’abolizione della legge sull’obbligo
scolastico, con il grave effetto di porre il nostro Paese in controtendenza
rispetto all’Europa, il terzo anno “orientativo” della
Scuola Secondaria di I° grado si configura come strumento di canalizzazione
verso il sistema dei licei o della formazione professionale. I tempi previsti
per questa opzione ci preoccupano fortemente. Prefigurano una situazione
in cui una scelta fondamentale per il progetto di vita dovrà esser
fatta quando i ragazzi e le ragazze sono poco più che dodicenni.
Non potrà che essere, nel migliore dei casi, una scelta che conferma
gli orientamenti dei genitori e, in generale, una scelta che confermerà
le situazioni socio-economiche di partenza a livello familiare e ambientale.
Non è così che si promuove l'autonomia dei soggetti , né
la loro responsabilità, né la crescita umana, culturale,
sociale alla quale hanno diritto.
Concordiamo
con quanto viene dichiarato negli obiettivi formativi laddove affermano
che il senso del limite, l’autonomia e la responsabilità
individuali, l’idea di bene comune e l’etica pubblica si coltivano
attraverso l’organizzazione cooperativa, la distribuzione di compiti
e di incarichi, l’elaborazione di regole condivise che permettono
al gruppo che apprende di strutturarsi, di viversi e di comportarsi come
una comunità in rapporto ad altre comunità. Vediamo invece
nella reintroduzione del comportamento come elemento specifico e determinante
nella valutazione una palese contraddizione con questi principi.
Chiediamo maggior chiarezza intorno al rapporto tra scuola e famiglia,
tra ruolo degli insegnanti e ruolo dei genitori perché a questo
proposito riscontriamo nei testi la permanenza, pur in forma attenuata
rispetto a precedenti formulazioni, di significativi elementi di ambiguità.
Noi consideriamo che rispetto al percorso di apprendimento la scuola,
e nella fattispecie gli insegnanti, siano i soggetti responsabili e titolari
della valutazione. L’educatore, nella nostra visione, è un
mediatore tra i soggetti del gruppo non tra la singola famiglia e il gruppo
di apprendimento. Da questo punto di vista tutti gli insegnanti hanno
pari valore e dignità.
Vediamo nella attribuzione ad un singolo insegnante del gruppo docente
il compito della valutazione, o anche in una prevalenza rispetto a questo
compito, uno stimolo a delegare un aspetto strutturale della funzione
docente, un formidabile innesco di processi di deresponsabilizzazione.
Sulla
continuità
Ci sembra che vi sia una eccessiva accentuazione della specificità
della Scuola Media con il rischio che i richiami alla continuità
educativa assumano un significato più esortativo che strutturale.
Non condividiamo uno schema che finisce col contrapporre una scuola elementare
pre-disciplinare e una scuola media disciplinarizzata. Lo statuto epistemologico
delle discipline non smette di esistere e far valere le sue istanze a
seconda dell’età dei discenti: ciò che si modifica,
nel passaggio graduale dell’età evolutiva, è la modalità
della mediazione didattica che deve tener conto del rapporto con l’esperienza
e dei processi astrattivi possibili. Né condividiamo una visione
troppo meccanica dei processi di costruzione delle rappresentazioni della
realtà. Molte volte nel nostro lavoro abbiamo rilevato forme anche
molto precoci di problematizzazione e di distanziamento dall’oggetto
fin dalla scuola dell’infanzia; abbiamo visto emergere modalità
notevolmente evolute di pensiero ipotetico-deduttivo negli alunni della
scuola elementare; abbiamo constatato i vantaggi che derivano dalla capacità
della Scuola Media di accogliere ed elaborare la compresenza di modi conoscitivi
immediati, vicini alla percezione globale del sé e del mondo, e
l’apprendimento con caratteri fortemente simbolizzati che fanno
esplicito riferimento a corpi disciplinari.
Infine notiamo l’assenza di riferimenti agli istituti comprensivi
che tuttavia rappresentano una realtà assai rilevante, non solo
dal punto di vista quantitativo, ma anche e soprattutto perché
già comincia ad emergere la loro connotazione di contesti atti
a promuovere forme efficaci di contrasto della dispersione scolastica.
Essi rappresentano quindi una realtà da salvaguardare, da guardare
con interesse, dalla quale attingere e diffondere le pratiche che migliorano
la qualità della scuola e la avvicinano all’assolvimento
della sua funzione istituzionale.
La
scuola italiana può contare sugli insegnanti e sulle insegnanti
MCE, sulla loro sensibilità ai temi dell’inclusione e della
promozione della cittadinanza, sullo sforzo di mettere al centro dei processi
di apprendimento ogni bambino/a, ragazzo/a, sul vivere il proprio lavoro
in una dimensione di ricerca, sull’attenzione critica verso ogni
cambiamento. Aspetti questi che costituiscono gli elementi fondanti della
responsabilità e dell’etica professionale cui da oltre cinquant’anni
si ispira il Movimento di Cooperazione Educativa nel suo operato, in piena
autonomia di ricerca e libertà di valutazione. Ci piace pensare
che essi possano ancora costituire una risorsa per la scuola italiana.
Auspichiamo che questa consultazione preluda ad una stagione di riconoscimento
dell’associazionismo pedagogico e di occasioni di interlocuzione
che consentano un ulteriore approfondimento, magari attraverso modalità
interattive che favoriscano maggiormente lo scambio dialettico.
SEGRETERIA
NAZIONALE M.C.E.
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