Convegno
Provinciale CIDI
Brindisi, 26-27 aprile 2001
Fernando Cocciolo – Relazione d’apertura
Vorrei introdurre
i lavori di questo Convegno Provinciale del CIDI di Brindisi, partecipandovi,
e condividendo con voi, una personale soddisfazione: quella di vedervi numerosi,
di vederci numerosi, in un momento così delicato e complesso (difficile
– diciamolo pure) per ciascuno di noi. Per ciascuno di noi come professionisti
che nella scuola operano con funzioni diverse, ma difficile anche per il sistema-scuola
nel suo complesso, coinvolto com’è in un processo di cambiamento di cui nessuno
di noi, credo, ha vissuto l’eguale.
Probabilmente
avevamo visto giusto: tante sollecitazioni di colleghi ed amici, tante manifestazioni,
esplicite e implicite, di bisogni professionali forti, realmente avvertiti,
tanta volontà di capire il nuovo, e di confrontarsi col nuovo, meglio se con
i ferri del mestiere affinati e aggiornati; ma anche tanto disagio e tanta
ansia di inadeguatezza – più o meno artificiosamente indotta -, e tante inutili
formalistiche incombenze; tante incomprensioni e tanti rifiuti; tante disilluse
rinunce!
Il gruppo,
per dir così, “storico”, fondatore (ormai tanto tempo fa) del CIDI a Brindisi
e gli altri amici che si sono via via aggiunti con il contributo prezioso
del loro impegno professionale non hanno voluto sottrarsi né a quelle sollecitazioni
né alla riflessione su quelle rinunce. Di qui la rinnovata presenza dell’Associazione,
che vuole rappresentare, nella nostra provincia, una opportunità reale di
analisi e di elaborazione culturale, ed offrire, a chi ne senta l’esigenza,
la possibilità di discutere, di confrontarsi, di lavorare insieme in maniera
libera, aperta, seria, responsabile.
Mi è capitato
di osservare in più d’una circostanza che si continua forse a pensare all’autonomia
come a una riforma certamente vasta e complessa (e complicata) ma che, in
fondo, si realizzerà da sé, secondo schemi organizzativi ormai tracciati e
attraverso l’instaurarsi di una “nuova”, diffusa ritualità didattica. Spero
che questa mia personale impressione non abbia un reale fondamento. Ma se
qualche fondamento dovesse avere, credo che sarebbero probabilmente proprio
gli insegnanti le prime vittime di un sistema che finirebbe non solo per riprodurre
il modello burocratico da cui in teoria si dovrebbe uscire, ma anche per ripristinare
quella rigidità dell’organizzazione didattica e degli impianti disciplinari
che l’utilizzazione autonoma e “creativa” degli strumenti della flessibilità,
della responsabilità e dell’integrazione consentirebbe invece di intaccare.
Si tratterebbe,
evidentemente, di una autonomia di bassissimo profilo.
E allora
è proprio su quei concetti, che sono poi i punti-chiave dell’esercizio
dell’autonomia scolastica (appunto la flessibilità, la responsabilità,
l’integrazione), che bisognerà lavorare, e lavorare sodo, come d’altronde
sta confermando l’esperienza in corso del monitoraggio nazionale dei Piani
dell’Offerta Formativa, a cui partecipo come componente del Gruppo Regionale
di Ricerca e di Valutazione; perché quei concetti costituiscono – come dire?
- le condizioni stesse dell’esercizio dell’autonomia, e quindi dobbiamo
giocarceli non come parole presto destinate a finire nel ripostiglio delle
formule vuote del nostro lessico scolastico, ma nella realtà quotidiana del
nostro fare scuola, nella concretezza del nostro mestiere, negli ambiti specifici
in cui, prioritariamente, si esercita la nostra professione docente: i saperi,
i curricoli, la didattica, l’organizzazione della didattica.
Se al centro
del sistema c’è, come obiettivo fondamentale –lo sentiamo ripetere in continuazione-
il successo formativo dell’alunno, cioè – traduciamo chiaramente – il suo
diritto ad apprendere, allora che cosa significa per la scuola dell’autonomia,
e che cosa comporta per noi, per la nostra cultura professionale (i nostri
valori, i nostri miti, le nostre aspettative, i nostri atteggiamenti, i nostri
comportamenti) il passaggio da programmi ministeriali da applicare a indicazioni
nazionali da interpretare? quali modificazioni “culturali” renderà necessarie
l’introduzione della quota di curricolo locale? quali cambiamenti “professionali”
comporterà il passaggio dal tradizionale rapporto immediato (nel senso di
«non mediato») tra programma e docente al rapporto, necessariamente mediato,
tra indicazioni nazionali, scuola e docente? E ancora: se centralità
dell’alunno significa focalizzazione sull’apprendere e, conseguentemente,
centralità della didattica, quale riflessione pensiamo sia necessario
fare sui modi dell’organizzazione didattica, sulla utilizzazione flessibile
delle risorse, sulla costruzione di contesti di apprendimento e di comunicazione
educativa significativi per ciascuno, capaci cioè di rispondere in maniera
differenziata alle diversità?
In quest’ottica,
anche l’altro concetto-chiave dell’autonomia, l’integrazione, assume una precisa
valenza educativa: il citatissimo e raccomandatissimo rapporto con il territorio
a questo deve servire, prima di tutto: a sfruttarne l’enorme potenziale in
direzione formativa, a utilizzarne le risorse in funzione della significatività
degli apprendimenti dei nostri alunni.
Ma una comunità
territoriale è dinamica nella misura in cui è capace di partecipare, di interagire,
di integrarsi: lo sappiamo bene. L’autonomia delle istituzioni scolastiche
[lo dirà il Provveditore] è parte di un sistema di autonomie che ha,
tutto insieme, la responsabilità della pianificazione e della realizzazione
dell’offerta formativa su un territorio. Ma uscire dalla logica della progettazione
in parallelo ed entrare in una logica di concertazione non è facile per nessuno:
poter guardare, per esempio, all’ente locale come a un partner progettuale
e non semplicemente come a un fornitore di servizi non sarà –forse-
un sogno irrealizzabile, ma rappresenta certo, per tutti, un salto
“culturale” rilevante sulla strada della reciproca valorizzazione, perché
finalmente si possa cominciare –anche qui da noi- a dare valore alle congruenze
piuttosto che continuare a rivendicare le differenze.
Dovremo imparare
tutti a passare dalla logica del chiedere alla strategia del fare, del fare
insieme, con una intenzionalità progettuale e con un impegno comune di realizzazione
calibrati sui bisogni di istruzione, di formazione, di occupazione, di cittadinanza
delle persone. Tanto più perché esiste, oggi, un complesso di funzioni e di
compiti per i quali Stato, Regioni, EE.LL., istituzioni scolastiche, enti
di formazione professionale, imprese, associazioni sono espressamente chiamate
ad interagire e a integrarsi: si tratta dell’interazione e dell’integrazione
finalizzate ad una alfabetizzazione primaria efficace e di qualità; a una
effettiva e proficua fruizione dell’obbligo scolastico prolungato; a una reale
attuazione, per tutti, dell’obbligo formativo; a un consistente potenziamento
dell’Istruzione e della Formazione Tecnica Superiore; a una
decisa ristrutturazione e a un organico consolidamento dell’Educazione degli
Adulti, in una prospettiva di lifelong learning e di lifewide learning;
a un pieno riconoscimento della complementarità dell’apprendimento formale,
non formale e informale; infine, a un forte impulso a far crescere la domanda
di formazione, promovendo e sostenendo, in particolare, il coinvolgimento
delle fasce a forte rischio di emarginazione.
Per anticipare
una possibile, facile obiezione, aggiungo subito che a quelle pur auspicate
concertazioni i 10.000 enti pubblici che sono le scuole dell’autonomia partecipano,
per ovvie ragioni, da una posizione di oggettiva debolezza. E’ questa, d’altronde,
una delle ragioni per cui le reti di scuole diventano strutturalmente importanti:
si tratta cioè di cercare di riequilibrare una situazione fortemente squilibrata;
non solo perché è bello lavorare insieme!
Va anche
detto -tra parentesi- che alla promozione e al sostegno delle reti di scuole,
per ambiti specifici di intervento -
reti che costituiscono sia a Brindisi che in provincia realtà ormai in via
di consolidamento - il Provveditorato agli Studi (a cominciare
dal Provveditore per finire con chi vi parla) ha dedicato e continuerà a dedicare
un impegno particolare, confortato per altro da talune significative ed apprezzate
realizzazioni delle Istituzioni Scolastiche.
E’ sul complesso
di queste connotazioni, in parte già presenti nel profilo professionale dell’insegnante,
in parte nuove e, per così dire, da metabolizzare, che si formerà l’identità
culturale e progettuale di una scuola; per cui il P.O.F. dovrà caratterizzarsi
e definirsi sempre meglio non come il prodotto di una progettualità soltanto
interna ma come elaborazione di una interazione intelligente con il contesto
locale. E la qualità di quello che facciamo dovrà essere valutata
sull’efficacia e sull’utilità della nostra azione didattica e organizzativa,
sulla nostra capacità di sviluppo professionale, sull’assunzione di responsabilità,
individuali e collettive, che i diversi soggetti, nella specificità delle
rispettive competenze, avranno saputo condividere.
Lo so bene:
sono pienamente consapevole che si tratta di una visione dell’autonomia (e
del complesso di riforme che l’autonomia si porta dietro) nient’affatto semplicistica
o “ristretta”, non banalmente funzionalistica (formale efficientistica verificabile
quantificabile: documentabile – si fa per dire –… a distanza). Ma se l’autonomia
non è solo cosmesi, se non vogliamo che sia solo cosmesi, allora abbiamo l’obbligo
professionale e pedagogico [si può dire ‘pedagogico’? si può dire ancora?]
di chiederci che cosa possiamo fare perché le opportunità che l’autonomia
offre – poche o tante che siano, più o meno significative, più o meno praticabili
– vengano comunque sfruttate nella maniera più accorta e responsabile, ma
più originale, più creativa, più “pensata” in funzione dei bisogni formativi
dei ragazzi e delle specifiche, peculiari esigenze del nostro territorio,
puntando forte sulla capacità di elaborazione culturale e di progettazione
formativa delle scuole e sulla valorizzazione professionale ( educativa, didattica,
di ricerca, di sperimentazione, di valutazione, di organizzazione…) degli
insegnanti.
Ecco: a questo
processo di crescita il CIDI di Brindisi intende contribuire, ponendosi esplicitamente
come struttura di servizio per gli insegnanti, ma realizzata, organizzata
e gestita dagli insegnanti stessi, resa viva dagli insegnanti stessi; come
luogo in cui siano possibili confronti, scambi, opportunità di apprendimento
professionale “insieme”, non isolanti né riservate, non necessariamente formali
o istituzionalizzate.
Ormai abbiamo
bisogno non solo di aggiornamento ma di servizi professionali per lo sviluppo
professionale; non tanto di corsi di aggiornamento e di comunicazione discendente
quanto di costruire ambienti di apprendimento professionale; non solo di acquisire
e socializzare i risultati della ricerca teorica ma anche di partecipare alla
loro costruzione.
Abbiamo bisogno di crescere professionalmente insieme, creando e utilizzando opportunità di interazione e di scambio al di là della singola scuola, attraverso un continuo collegamento tra insegnanti di scuole diverse; abbiamo bisogno di confrontare idee ed esperienze con “amici critici”, nello spirito dell’ “amico critico”; di costruire, sperimentare e mettere in rete pratiche didattiche di qualità; di organizzare archivi didattici; di disporre di informazioni, di analisi valutative, di strumentazione aggiornata. Abbiamo bisogno di spazi attrezzati e dedicati; di reti tecnologiche e di interazione reale, però sorrette, sia le reti tecnologiche che le situazioni di interazione reale, da un impianto culturale e progettuale di profilo alto.
Dobbiamo
cercare di andare oltre l’aggiornamento: dal momento che la formazione non
è merce a buon mercato – come qualcuno, purtroppo, continua a
ritenere - dobbiamo puntare
sulla
ri-definizione
della professionalità docente nella scuola dell’autonomia e sulla costruzione
di contesti per livelli alti di professionalizzazione.
E’ necessario
farlo; possiamo farlo con il sostegno di tutti: possiamo tutti contribuire
perché le scuole diventino, esse stesse, esse per prime, laboratori di sviluppo
professionale. La ripresa del CIDI, con questo convegno, è nata così: dal
bisogno comune di cominciare a riflettere insieme sui processi innovativi
che stanno rifondando il sistema-scuola nel nostro paese. Ma davanti a noi,
e dentro di noi, le sfide sono quelle di sempre: la sfida della dignità
e della qualità del nostro lavoro, della dinamicità, della molteplicità, della
creatività, dell’autonomia. Se volete, della democrazia, cioè del rispetto
e della valorizzazione delle persone.