Centro di Iniziativa Democratica
degli Insegnanti
Ma la sperimentazione è una cosa seria
Le disinvolte modalità dell'iniziativa, i tempi ristretti al di là di ogni limite ragionevole, le ipotesi discutibili che sarebbero al centro di questo "test", l'assoluta reticenza sulle risorse finanziarie e umane disponibili, fanno dubitare sulla opportunità e sulla serietà dell'iniziativa, come è stato evidenziato anche all'interno del Consiglio dei Ministri e nel pubblico dibattito che ne è scaturito. D'altra parte, il Parlamento ha appena iniziato l'esame del disegno di legge di riforma degli ordinamenti, senza riuscire a trovare quegli indispensabili elementi di condivisione almeno sui punti fondamentali, necessari per dare solidità ad ogni processo di riforma, come dimostrano i paesi che si sono cimentati negli ultimi anni in simili imprese. In questo contesto appare controproducente -attraverso l'escamotage della sperimentazione dall'alto- "forzare" i tempi nei confronti dei genitori, delle scuole, degli Enti locali, quasi per mettere tutti di fronte ad un fatto compiuto che dovrebbe legittimare la (presunta) bontà delle (future) scelte legislative. In particolare, i temi della sperimentazione sono talmente delicati che non sopportano improvvisazioni estemporanee. Questioni così controverse, come l'anticipo della frequenza alla scuola materna ed elementare, o il ripristino di una gerarchia tra i "maestri" (ben al di là di quanto oggi è demandato alla piena autonomia organizzativa e didattica delle scuole), o l'attuazione di nuovi indirizzi curricolari di cui è sconosciuta la fonte, meritano ben altre cautele di quelle esibite in questi giorni. La sperimentazione di innovazioni è più che legittima, come dimostrano gloriose vicende antiche e recenti della nostra scuola (il tempo pieno, i bienni unitari, l'organizzazione modulare, gli istituti comprensivi, l'autonomia didattica), ma va preparata con cura, investendo risorse, e soprattutto creando un clima di partecipazione, di fiducia, di motivazione tra gli operatori scolastici e nell'opinione pubblica, verso il miglioramento della qualità della scuola e l'espansione del diritto all'apprendimento per tutti. Bene lo sanno i 3.200 istituti comprensivi che da oltre sei anni sono impegnati in processi di sperimentazione sulla continuità, il curricolo personalizzato, la valutazione formativa (e del cui patrimonio di ricerca nulla si dice nei documenti ufficiali) e altrettanto esigono le scuole dell'infanzia italiane, che dopo gli entusiasmi degli scorsi anni (con i progetti di sperimentazione Ascanio e Alice) si aspettavano proposte assai più convincenti e condizioni reali per una effettiva qualità pedagogica. Questi criteri di qualità, al momento, non li ritroviamo nella affrettata proposta del Ministro, che crea imbarazzo nel paese, preoccupazione, conflitto, incredulità per la totale estraneità di rapporti con la scuola reale, i suoi operatori, la sua cultura. Sperimentare è possibile, ma va fatto "a regola d'arte": richiede il pieno coinvolgimento della scuola, mediante un'informazione preventiva, accurata e capillare sui contenuti del progetto culturale e didattico (i testi appena diffusi vanno considerati una semplice "bozza" aperta alla discussione), un processo decisionale trasparente e consapevole (che veda protagonisti i collegi dei docenti e gli organi collegiali), la massima disponibilità al confronto sulle variabili e le ipotesi organizzative in gioco (che dovranno essere rispettose dell'autonomia delle scuole), un rigoroso approccio valutativo che sappia apprezzare punti di forza e di criticità. Per coerenza, la scelta sperimentale richiederebbe la contestuale disponibilità a sospendere processi decisionali troppo affrettati ed unilaterali (come quelli adombrati nel disegno di legge delega del Governo) per aprire un dialogo vero con le istanze di una scuola che intende impegnarsi nella riforma, ma che chiede rispetto, dignità, investimenti significativi (e non tagli) per la ricerca, la formazione, le strutture, il personale. 9 agosto 2002
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