Uno, nessuno e centomila

Questo romanzo ebbe una gestione lunga e faticosa. Uscì a puntate sulla "Fiera letteraria" tra dicembre 1925 e giugno 1926, ma Pirandello fa riferimento già nel 1912 ad un romanzo "il più amaro di tutti, profondamente umoristico, di scomposizione della vita". Ciò sta a dimostrare che è stato a lungo sulla scrivania del Nostro, come una piccola miniera da sfruttare. Adesso ha fatto riferimento il Pirandello, plagiando se stesso, nello scrivere la novella "Stefano Giogli uno e due" (1909) o in un articolo di rivista "Ricostruire" (1915) o in una novella pubblicata sul Corriere della Sera "Ritorno" (1923). Si trovano gli stessi nomi, le stesse situazioni, gli stessi temi, certe sensazioni irritanti, addirittura battute; in tutte le composizioni il Pirandello si proponeva di scomporre la personalità per avere, alla fine, la rilevazione del nulla, il quell'essere tanti significava essere nessuno.

Vitangelo Moscarda, il protagonista, da un'occasione incredibilmente modesta (il naso) scopre di non essere per gli altri quel che credeva d'essere: è centomila, secondo gli altri. Se poi prova a sapere chi è veramente quell'estraneo che vive in lui, scopre che non è nessuno, che è un cambiare indefinito.

Riportata in una visione generale questa esperienza, il Pirandello afferma che non vi è né una essenza oggettiva né soggettiva, ma mille forme, apparenze relative, illusorie, contingenti; ognuno è quello che sembra, ma in realtà non è nessuno.

 


[ Menu principale ] [ Pagina precedente ]