Una teoria generale della conoscenza
......un buon metodo per affrontare questioni di complessità C è quello di inscriverle entro una complessità C+1, vale a dire in una prospettiva più vasta. Nel nostro caso, occorrerà risalire a una teoria generale della conoscenza, e chiedersi anche se ciò che pretendiamo dall'allievo è dimensionato a una persona della sua età, che vive in questo tempo.
Chiameremo il livello di apprendimento del metodo "Apprendimento 2" (vedi Apprendere ad apprendere, in "Insegnare", n. 11-12-2000, pag. 44).
Anche chisostiene di non avere un metodo ha un metodo. Quale esso sia (giusto o sbagliato, produttivo o inefficace), è stato appreso inconsapevolmente. Ciò rende più difficile cambiarlo (qualora fosse necessario), in quanto si tratterà non tanto di accostareun metodo nuovo (e non ancora sperimentato, non "incorporatro") a un vecchio(sperimentato e incorporato), quanto di sostituire il primo con il secondo. Si tratterà di ragionare su mosi d'agire inconsapevoli, di applicare il pensiero riflessivo all'agire automatico.
Poichè si impara meglio quando si è motivati, e siè motivati quando si intravedono i futuri successi, conviene che l'insegnare aiuti l'allievo a portare alla luce ciò che gli riesce bene di fare ("Fammi capire come fai questa cosa che ti riesce bene").
Ciò consentirà di rendere partecipe l'allievo al nuovo difficile impegno di cambiare qualcosa di sé (il metodo ha a che fare ancghe con il "carattere").
Nell'insegnare un metodo, la difficoltà maggiore la si incontra quandol'allievo si dichiara convinto che egli è "intelligente", e che manca soltanto un piccolo (per lui trascurabile) dettaglio: basterà che lo voglia lui, e si metterà a studiare. Il traguardo, il cambiamento, egli lo vive come a portata di mano, come se la "volontà" fosse una variabile che egli riesce a dominare.
E' da qui che bisogna partire: convincerlo che studiare è proprio ciò che egli non vuole, e che la sua intelligenza è un dato secondario rispetto al dato caratteriale, il quale è primario (primario nel senso che gerarchicamente viene per primo e condiziona le altre variabili). Cambiare la "volontà" è un processo lungo (anche faticoso), a cui l'allievo non può concorrere da solo, in quantoè proprio lui che fa resistenza, è lui l'ostacolo (si fa per dire) al cambiamento. Il passaggio successivo alla presa d'atto della sua strutturale "non volontà" di studiare sarà la scoperta che essa (la non volontà) è coerente a comportamenti ( radicati in lui e manifesti in situazioni anche non scolastiche) che la legittimano; pertanto egli dovrà contare meno sulle sue forze e affidarsi piuttosto ad un esperto (l'insegnante, per l'appunto), per essere da lui consigliato e guidato nel cambiamento.