FONDAZIONE CENSIS
Comunicato stampa: Capitolo "Processi formativi" del 36° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2002
L'intensificazione degli investimenti in capitale umano è particolarmente necessaria in un paese come l'Italia che presenta scostamenti significativi nei livelli di formazione iniziale con cui le proprie risorse entrano nel mercato del lavoro.
Prendendo a riferimento l'incidenza percentuale di individui diplomati sul totale di classi di età corrispondenti in piena età lavorativa, i dati Ocse segnalano quote sensibilmente inferiori a quelle dei principali paesi industrializzati: ad esempio, a fronte del 57,0% e del 39,0% di italiani diplomati, nelle classi di età comprese, rispettivamente, tra i 25 e 34 e i 45 e 54 anni, negli Stati Uniti ed in Germania si ha una maggiore presenza di diplomati (88,0% e 85,0% tra i più giovani, e 89,0% e 83,0% per i 45-54enni).
La dotazione di un livello acquisito di istruzione influisce in maniera determinante sulle potenzialità di reddito degli individui: in Italia chi possiede una laurea ottiene un guadagno relativo maggiore del 27,0% rispetto a chi possiede il titolo di studio della scuola superiore, mentre nel Regno Unito è del 59%, in Francia del 50% e in Spagna del 44%.
Inoltre in Italia un diplomato che svolge un lavoro continuativo e a tempo pieno, a tre anni di distanza dal diploma, ottiene una retribuzione media mensile pari a 831 euro; nel caso si tratti di un maschio la retribuzione sale a 889 euro, nel caso di una donna la retribuzione è pari a 764 euro.
La distanza assoluta e relativa cresce se confrontiamo il Mezzogiorno con le regioni del Centro Nord. La retribuzione media al Sud è pari a 771 euro, che diventano 844 nel caso di diplomati maschi e 644 (con una differenza di 200 euro) nel caso di diplomate donne.
Al Nord a fronte di una retribuzione media di 867 euro, gli uomini ottengono 914 euro e le donne 822 (in questo caso la differenza fra uomini e donne è pari a 86 euro).
A fronte di un progressivo aumento del numero di giovani universitari italiani coinvolti, che ha raggiunto la quota di 11.700 unità nel 2000-2001 è necessario evidenziare come la quota complessiva di italiani sul totale dei borsisti Erasmus, nell'intero periodo 1987-2000, risulti la più bassa tra i paesi considerati.
La limitata portata della mobilità internazionale degli universitari italiani viene solo in parte attenuata se si considera l'insieme delle occasioni e delle motivazioni che spingono gli studenti universitari a trascorrere un periodo all'estero. Secondo quanto emerge dall'indagine Eurostudent 2000, solo il 17,0% degli studenti non è mai stato all'estero, e per il 60,4% le ragioni economiche sono state determinanti.
In relazione alla "fuga dei cervelli", una recente indagine Censis-Fondazione Cassa di Risparmio di Venezia ha individuato, nelle sole strutture accademiche e di ricerca pubbliche mondiali, circa 2.600 ricercatori e professori italiani. Di questi, ne sono stati intervistati 737.
Lo studio ha permesso, in primo luogo, di tracciare una mappatura dei principali poli di attrazione: al primo posto vi sono gli Stati Uniti, che attirano il 34,3% dei ricercatori italiani all'estero. Tra questi, prevalgono coloro che sono impegnati in ricerche nel settore della fisica (23,8%) e della medicina (18,9%); il 57,1% degli immunologi contattati lavora negli Usa, così come il 30,8% dei fisici.
Al secondo posto si colloca il Regno Unito, con il 26,0% di italiani e una capacità di attrazione soprattutto nel campo medico (20,6%) ed in particolare nelle neuroscienze (40,9% degli italiani attivi in questo campo lavorano al di fuori dei confini nazionali).
Segue la Francia, con l'11,4% del totale dei ricercatori, tra i quali prevalgono coloro che operano nel campo medico. In particolare, la Francia sembra essere la meta preferita, insieme agli Stati Uniti, dei ricercatori impegnati in studi sul cancro.
Tra le motivazioni che hanno spinto i ricercatori a lasciare il nostro paese al primo posto si collocano le scarse risorse disponibili per l'attività di ricerca (59,8%), seguite da condizioni economiche migliori (56,6%) e dalle prospettive di un più rapido sviluppo di carriera (52,1%).
Ne consegue che per arginare la fuga dei cervelli, si ritenga necessario soprattutto incrementare la spesa per la ricerca (61,9%).
Nel confronto con i principali paesi dell'Unione Europea, la spesa pubblica italiana per l'istruzione, espressa in termini di incidenza sul Pil, si posiziona su livelli intermedi; tuttavia, tra il 1995 ed il 1999, tale quota ha subito un decremento dell'0,1%, attestandosi sul 4,4%.
In termini di incidenza sulla spesa pubblica, l'Italia con il 9,4% rilevato nel 1999, è il paese che convoglia meno risorse sull'istruzione.
L'apprendimento lungo l'intero arco della vita (lifelong learning) è diventato lo strumento centrale per consentire ai cittadini di affrontare le sfide emergenti della complessità, utilizzando nuove risorse comunicative, interpretative e più genericamente relazionali.
Dal monitoraggio 2000-2001 effettuato dal Miur risulta che il tasso di crescita dei Centri Territoriali Permanenti per l'istruzione e la formazione in età adulta, rispetto all'anno scolastico 1999-2000, è pari al 9,6%, per un numero complessivo di 539 centri distribuiti sul territorio nazionale.
Il dato più significativo è quello relativo alla dimensione ragguardevole dell'utenza e alle sue caratteristiche. Nello specifico, gli utenti dei Ctp risultano essere più di 383.000, con un aumento rispetto all'anno precedente che sfiora i 24 punti percentuali.
L'utenza straniera aumenta del 12%, e si redistribuisce tra l'offerta rivolta al complesso della popolazione (corsi di istruzione e corsi brevi, con 31.962 utenti stranieri) ed i corsi di integrazione linguistica e sociale specificamente rivolti agli immigrati (38.246 utenti).
Roma, 6 dicembre 2002
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