EURISPES
LA DISPERSIONE SCOLASTICA
Sintesi per la stampa
Roma, settembre 2002
Definizione
e cause della dispersione scolastica
Nonostante i numerosi interventi ministeriali tesi al
miglioramento della qualità dei programmi, dei metodi, delle strutture
e degli strumenti necessari all'apprendimento e alla formazione, le istituzioni
continuano a confrontarsi con un problema di antica data: la dispersione
scolastica, ovvero l'interruzione del ciclo di studi, che spesso prelude
all'ingresso del giovane nei canali della microcriminalità o in
organizzazioni criminali vere e proprie.
Secondo quanto emerge da uno studio realizzato in collaborazione con i
docenti impegnati nell'attività dei Centri di Informazione e Consulenza
(CIC), l'abbandono scolastico è il prodotto di una combinazione
di fattori socio-economici, culturali e familiari, quali (in ordine di
importanza):
- lacune nella preparazione di base: attribuibili anche alla scarsa motivazione
dell'alunno, sono altrettanto imputabili a metodi di insegnamento inadeguati;
inoltre, la politica delle promozioni indifferenziate, attuata soprattutto
nella scuola dell'obbligo, non aiuta certamente a colmare le lacune nella
preparazione, le quali, sedimentandosi nel corso degli anni, creano i
presupposti per l'interruzione degli studi;
- scarso orientamento all'istruzione superiore nella
scuola media: il passaggio da un ciclo di istruzione all'altro rappresenta
una fase delicata, che richiede allo studente l'approccio con nuovi
contenuti e modalità didattiche; la scuola, invece, spesso tralascia
l'importante compito di informare e preparare i ragazzi ad affrontare
un livello di studi superiore: di qui il senso di smarrimento e di insofferenza
verso l'istituzione scolastica che si registra negli studenti lungo
il crinale dell'accesso al ciclo di studi successivo;
- insufficiente motivazione allo studio: si evidenzia
in particolare negli istituti professionali; benché direttamente
imputabile allo studente, è da ritenersi anche la conseguenza
di un presupposto sbagliato, secondo cui impegno e studio costante sarebbero
necessari soltanto nei licei e negli istituti magistrali. L'istituzione
scolastica dovrebbe pertanto veicolare una diversa immagine di se stessa
innalzando gli standard e gli obiettivi formativi, di modo che anche
lo studente meno motivato venga sollecitato allo studio, inteso come
strumento fondamentale della propria realizzazione personale;
- scarso sostegno e coinvolgimento delle famiglie
nella vita scolastica dello studente: è un atteggiamento che
influenza negativamente la percezione di sé, delle proprie capacità
e possibilità di riuscita nello studio, perché enfatizza
i fallimenti scolastici e minimizza i segnali di ripresa da parte dello
studente;
- eccessivo carico di lavoro e difficoltà di
adattamento ai ritmi di studio: si tratta di disagi avvertiti in particolare
nei licei e negli istituti magistrali; la sensazione dell'incapacità
a tenere il passo con il resto della classe e con le richieste dei professori
può produrre un calo nella motivazione nei soggetti meno tenaci;
- caduta della motivazione allo studio: si verifica
soprattutto nel triennio superiore e interessa in particolare gli istituti
professionali; può essere ricondotta anche all'incertezza dell'inserimento
nel mondo del lavoro, per il quale la scuola non sempre sembra fornire
strumenti opportuni;
- problemi di inserimento nella prima classe di ogni
ciclo di studi: ad ogni passaggio da un ciclo scolastico ad un altro
di livello superiore, i ragazzi vengono a contatto con un gruppo di
compagni nuovi, ma soprattutto con un nuovo corpo docente. La difficoltà
ad instaurare con questi ultimi una relazione adeguata può acuire
il disagio che l'alunno avverte nel passaggio ad una fase più
complessa ed impegnativa del percorso di studi. Possono derivarne contrasti
con il docente e ritardi nel processo di apprendimento;
- difficoltà nell'acquisizione di una corretta
metodologia di studio: è attribuibile da un lato alla scarsa
volontà dello studente, dall'altro alla mancanza di un adeguato
supporto didattico che possa aiutare l'alunno ad orientarsi nella molteplicità
di richieste cui si trova a dover rispondere, considerando l'elevato
numero di docenti e le relative, differenti modalità di intendere
il processo di apprendimento;
- difficoltà relazionali con la classe: subentrano,
in particolare, quando l'alunno possiede caratteristiche che lo differenziano
dal resto del gruppo. Gli studenti stranieri, gli appartenenti a comunità
nomadi ed i portatori di handicap sono i soggetti che più facilmente
e più frequentemente vivono una condizione di esclusione e di
isolamento dal resto della classe, subendo spesso vere e proprie discriminazioni.
Se privi di sostegno adeguato da parte degli adulti, questi ragazzi
possono decidere di risolvere il conflitto abbandonando la scuola;
- aspettative eccessive da parte dei genitori: favoriscono
in molti casi (e soprattutto negli studenti liceali) l'insorgere di
ansie e del timore di non essere all'altezza. La combinazione di un
approccio costruttivo agli insuccessi scolastici e di un comportamento
responsabilizzante da parte dei genitori creerebbe invece, negli alunni,
le basi per un atteggiamento positivo dinanzi alle difficoltà
scolastiche;
- divario tra età anagrafica e classe frequentata,
causato da ritardi e ripetenze: in questo caso, lo svantaggio psicologico
nei confronti dei compagni di classe e del corpo docente può
acuire le difficoltà di apprendimento già manifestate
dal ragazzo e produrre irritabilità, insofferenza e comportamenti
inadeguati;
- scarsa continuità didattico-educativa tra
scuola media inferiore e superiore: il cambiamento nei metodi di insegnamento
e nelle discipline oggetto di studio rientra tra i fattori che, disorientando
lo studente, possono incidere negativamente sul rendimento scolastico.
- condizione economica non elevata della famiglia di
provenienza: contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l'abbandono
scolastico non è un fenomeno limitato ai ceti meno abbienti;
pertanto, tra le cause di dispersione scolastica, il basso status economico
della famiglia di origine riveste un'importanza minore.
La situazione nazionale
Secondo i dati rilevati da una ricerca della Uil Scuola
(2001), oggi in Italia l'8,1% degli studenti delle scuole medie superiori
viene bocciato almeno una volta, mentre il 5,2% non supera, al primo tentativo,
l'esame di maturità. Nelle scuole medie inferiori la metà
di coloro che affrontano l'esame di licenza non va oltre il giudizio "sufficiente".
La maggior parte degli studenti ripetenti delle scuole medie superiori
vive nelle Isole: il 10,2% degli studenti della Sicilia e della Sardegna
viene bocciato almeno una volta. La percentuale scende nel Nord-Ovest
(8,3%) e nel Centro (8,1%), assestandosi sui valori più bassi al
Sud (7,5%) e al Nord-Est (7%).
La Sardegna detiene il primato nella classifica nazionale del maggior
numero di bocciati, con una percentuale del 15,2%; seguono la Valle d'Aosta
con il 9,8%, la Liguria con il 9,2%, poi il Lazio e la Sicilia con l'8,8%.
La maggiore frequenza nelle bocciature si registra in quattro città
sarde: Cagliari (16,1%), Oristano (15,5%), Sassari e Nuoro (14,2%). Nella
classifica seguono Caltanisetta (11,1%), Livorno (10,7%), Rieti (10,3%),
Massa, Palermo e Catania (10%). I migliori risultati si evidenziano a
Macerata (4,4%), Cuneo (4,5%), Piacenza (5%), Terni (5,2%) e Alessandria
(5,3%).
La tipologia di istituto che presenta il maggior numero di ripetenti è
l'istituto d'arte, in cui il 22,4% degli studenti, ovvero un quinto del
totale, deve ripetere l'anno scolastico almeno una volta. Una situazione
simile caratterizza gli istituti tecnici ed i licei artistici (20,5%),
gli istituti professionali (17,2%) e quelli magistrali (16,8%); i licei
si discostano invece nettamente da questi dati negativi.
In generale, le pagelle denunciano una preparazione non brillante degli
studenti delle scuole superiori: il 44,9% di essi ottiene un giudizio
"sufficiente", il 24% "buono", il 16,2% "distinto"
e soltanto il 14,9% ottiene "ottimo".
Per quanto concerne l'esame di maturità, Agrigento detiene il primato
negativo del maggior numero di bocciati, seguita da Mantova, Enna, Reggio
Calabria e Cosenza.
La Ricerca della Uil Scuola non manca tuttavia di registrare alcuni elementi
moderatamente positivi, come ad esempio l'attestarsi su livelli "fisiologici"
del fenomeno della dispersione nelle scuole elementari. Anche nelle scuole
secondarie superiori i valori relativi all'a.s. 2000-2001 restano pressoché
stabili rispetto all'anno precedente, mentre invece assumono particolare
rilevanza negli istituti professionali e nelle scuole medie.
Un'indagine campionaria sulla dispersione scolastica è stata realizzata
dall'Ufficio di Statistica del Ministero dell'Istruzione relativamente
all'anno scolastico 2000-01.
La rilevazione riguarda gli studenti di elementari, medie e superiori
che si sono ritirati con atto formale entro i termini di legge (esclusi
quelli che si sono trasferiti ad altra scuola), gli alunni non valutati
agli scrutini finali a causa dell'elevato numero di assenze, e i ragazzi
che sono usciti dal circuito dell'istruzione dopo l'assolvimento dell'obbligo
scolastico senza però aver conseguito la licenza media.
L'indagine è basata su un'analisi dei comportamenti di disagio
e disaffezione, che sono gli indicatori più comuni della dispersione
scolastica, e mostra, per quanto riguarda la situazione della scuola elementare,
un picco di abbandono dello 0,05% riguardante gli alunni "mai frequentanti
sebbene iscritti": nella quasi totalità dei casi si tratta
di alunni nomadi, le cui famiglie decidono di trasferirsi altrove o di
non mandare più i figli a scuola senza darne avviso.
Il dato risultante dagli indicatori di abbandono in senso stretto, nei
cinque anni di corso, è dello 0,07%, pari a quello dell'anno scolastico
1999-2000, con una flessione dello 0,10% rispetto all'anno scolastico
1990-91, più evidente nelle Isole (- 0,36%) e al Sud (- 0,16%).
Una situazione simile si riscontra nelle scuole medie, con valori però
più elevati: nell'a.s. 2000-01, lo 0,31% degli iscritti (rispetto
allo 0,39% dell'anno precedente) ha abbandonato, con una variazione di
-1,09% nell'arco del decennio. I valori più bassi della dispersione
nelle scuole medie statali si registrano al Nord (0,09%), mentre quelli
più elevati si evidenziano nelle Isole (0,67%) e al Sud (0,55%);
bisogna tuttavia sottolineare che, rispetto all'a.s. 1990-91, in queste
due macroregioni si è registrata una variazione di -2,08% nel primo
caso e di -2,01% nel secondo. La maggiore concentrazione di abbandoni
(0,22% nazionale) si verifica tra gli alunni "mai frequentanti sebbene
iscritti", con punte dello 0,49% nelle Isole e dello 0,40% al Sud.
Nella scuola secondaria superiore, gli studenti non valutati perché
ritirati ufficialmente nell'a.s. 2000-2001 sono stati il 2,8% degli iscritti
(contro il 3% dell'anno precedente); a questi si aggiunge l'1,8% riferito
a studenti non valutati per altri motivi (salute, assenze, mancata frequenza).
Per l'anno scolastico in questione, la dispersione risulta più
pesante negli istituti professionali (8,7%) e negli istituti d'arte (6%).
Il rischio di abbandono è presente soprattutto nel primo anno di
corso, su tutto il territorio nazionale: risulta disperso infatti il 6,7%
degli iscritti, con punte del 9,6% nelle scuole delle Isole e dell'8,5%
in quelle del Sud. Nell'a.s. 2000-2001, la dispersione scolastica nelle
Isole ha fatto registrare valori al di sopra della media nazionale in
ognuna delle tipologie di scuola secondaria superiore (tranne al liceo
scientifico), con una differenza di ben +3,8 punti percentuali negli istituti
tecnici e di +3 punti negli istituti d'arte. Accade l'opposto al Nord
e al Centro, dove i valori sono sempre al di sotto della media nazionale,
oppure la superano, ma in misura decisamente trascurabile (come nel caso
del liceo classico e scientifico al Nord e del liceo classico al Centro).
Anche al Sud, la situazione si presenta sostanzialmente in linea con la
media italiana, tranne al liceo artistico, dove la dispersione scolastica
fa registrare +3,5 punti percentuali in più rispetto ai valori
nazionali.
Secondo i dati diffusi nel dicembre 2001 dal Ministero dell'Istruzione,
e relativi alle scuole statali e non statali del territorio nazionale,
i valori più alti della dispersione si registrano nelle regioni
meridionali e insulari: al Sud, la percentuale dell'abbandono scolastico
nelle medie corrisponde allo 0,51% (contro lo 0,31% della media nazionale);
alle superiori, la percentuale è dell'1,15%, mentre il dato italiano
si attesta sullo 0,88%; nelle Isole, lo scarto rispetto ai valori nazionali
è ancora più evidente (0,72% nelle medie e 1,72% alle superiori);
i valori registrati nel Nord-Ovest, nel Nord-Est e nel Centro sono invece
sempre al di sotto della media nazionale, sia nel caso delle scuole medie
che di quelle superiori.
Considerando i dati regionali, in Sardegna si registra la dispersione
massima per le scuole superiori (2,99%, seguita dalla Liguria con l'1,41%
e dalla Campania con l'1,36%); i valori relativi alle scuole medie, invece,
superano la media nazionale in Sicilia (0,79%), seguita dalla Puglia (0,60%)
e dalla Calabria (0,58%).
Secondo un'indagine Eurostat del 1999, la realtà
italiana, confrontata con la situazione europea, mostra ancora una volta
le pecche e l'inefficienza del suo sistema scolastico: esaminando la ripartizione
della popolazione fra i 25 e i 64 anni nei paesi dell'Unione, si osserva
che in Italia oltre la metà della popolazione (54%) ha solo la
licenza media, mentre nel Regno Unito questa percentuale scende al 19%
e in Germania al 14%. Per quanto concerne l'istruzione secondaria superiore,
solo il 34% degli italiani completa gli studi, mentre Austria (68%), Germania
(61%) e Regno Unito (57%) hanno standard pari quasi al doppio. Solo l'11%
della popolazione italiana, infine, consegue la laurea, rispetto al 27%
dell'Olanda, al 17% di Spagna e Danimarca e al 16% del Lussemburgo.
L'indagine Eurispes
L'Eurispes, in collaborazione con il Master Europeo
in Gestione di Impresa Cinematografica e Audiovisiva ha svolto un'indagine
campionaria su 800 studenti delle scuole medie e del biennio superiore.
La ricerca ha preso in esame il rapporto degli intervistati con l'istituzione
scolastica nel suo complesso, nell'intento di individuare nuclei problematici
in cui possano annidarsi potenziali fenomeni di dispersione scolastica.
Dall'indagine Eurispes emergono alcuni segnali che, per la loro esemplarità
e la loro valenza conoscitiva, possono efficacemente inserirsi nel dibattito
nazionale sulla modernizzazione dell'istituzione scolastica e sulla necessità
di adeguare la qualità dell'offerta formativa alle richieste dell'utenza
e del mercato del lavoro.
In merito al significato dell'esperienza scolastica, i ragazzi sembrano
esprimere un'opinione contraddittoria: ne avvertono l'importanza (come
occasione di crescita e come investimento per il futuro), ma anche l'onere,
se è vero che il 33,8% di quegli alunni che pure si dichiarano
consapevoli dell'utilità della scuola per il loro avvenire, guarda
con una sorta di invidia a coloro che abbandonano la scuola, giudicandoli
"liberi", forse perché sordi al richiamo interiore del
dovere o alle ambizioni inculcate dalla società o dalla famiglia.
Questo atteggiamento si accentua nel passaggio dalle medie al primo anno
delle superiori: chi non studia viene definito una persona libera dal
5,2% degli alunni di prima media e dal 16,9% degli intervistati in prima
superiore; lo stesso giudizio viene espresso riguardo a chi abbandona
la scuola dal 7,6% degli intervistati in prima media, ma la percentuale
sale di ben 12,7 punti in prima superiore. Chi non studia fa del male
a se stesso per l'80,5% degli alunni di prima media, ma in prima superiore
la percentuale precipita al 68,4%. Questi dati concordano con l'incremento
del numero dei ripetenti e della dispersione scolastica che si registrano
nelle fasi di passaggio da un ciclo di studi ad un altro.
Bisogna tuttavia sottolineare che, nel passaggio dalla prima alla seconda
superiore, aumenta la percentuale di alunni che giudicano autodistruttivo
il comportamento di chi si sottrae allo studio (+7 punti) o abbandona
la scuola (+7,3); parallelamente, queste scelte vengono considerate sempre
meno come espressioni della libertà individuale: scende, infatti,
dal 20,3% al 15,6% il numero di chi reputa "libero" chi non
studia e crolla dal 16,9% al 6,2% la percentuale di chi considera l'abbandono
scolastico come una forma di emancipazione da doveri imposti dall'esterno
e mai interiorizzati.
Sembra dunque che, superata la fase critica e disorientante dell'accesso
al ciclo di istruzione successivo (con la mole di lavoro e responsabilità
aggiuntive che questo comporta), gli studenti si incamminino verso una
progressiva armonizzazione del loro rapporto con l'istituzione scolastica:
in questo senso, definire la scuola come "tappa obbligatoria"
(una tendenza che cresce in modo quasi costante dalla prima media alla
seconda superiore), non significa considerarla una specie di fato, oscuro
e inspiegabile, che si abbatte su ogni singolo indistintamente, bensì
come uno step formativo, un dovere introiettato e considerato come un
momento, seppure faticoso, di un progetto a lunga scadenza.
Non a caso, tra la prima media e la seconda superiore, cresce senza soluzione
di continuità anche la percentuale di chi considera la scuola un
investimento per il futuro: dal 21,8% si sale al 38,5%; mentre diminuisce
sempre più il numero di chi sostiene che la scuola sia un luogo
dove maturare e istruirsi: dal 67,9% si scende al 38,5%.
Quest'ultimo segnale non deve spaventarci e indurci a pensare che l'istituzione
scolastica stia perdendo la sua funzione di supporto alla costruzione
dell'identità personale e sociale: più semplicemente, i
ragazzi tendono ad assegnare soprattutto alla scuola dell'obbligo quel
ruolo di educazione all'intersoggettività che in seguito, durante
l'adolescenza, viene demandato ad esperienze extra-familiari ed extra-scolastiche;
all'istruzione secondaria superiore, invece, i ragazzi sembrano chiedere
una forma di conoscenza funzionale al loro avvenire professionale, e non
un sapere puro e fine a se stesso. Questa visione economico-razionale
dell'istituzione scolastica - che in seconda superiore riscuote la stessa
percentuale di consensi dell'istruzione intesa come veicolo di crescita
e maturazione - fa pensare che gli studenti non siano refrattari ad una
maggiore integrazione e ad una più marcata armonizzazione tra la
scuola, il mondo del lavoro e le richieste del mercato.
In questa direzione si orienta anche quel 29% del campione che effettuerebbe
esperienze lavorative già durante il percorso dei propri studi,
coerentemente con il quadro politico e culturale attuale in cui si inserisce,
ad esempio, la proposta dell'alternanza tra periodi di studio e periodi
di lavoro (contenuta nella legge delega sulla riforma della scuola). Non
è escluso che simili iniziative, che creano un ponte tra sistema
educativo e mercato del lavoro, e accentuano la valenza occupazionale
dell'istituzione scolastica, possano produrre un rafforzamento della motivazione
allo studio ed un argine al fenomeno della dispersione.
La concezione "utilitaristica" della scuola come investimento
sembra riscuotere maggiore successo tra i ragazzi che tra le ragazze.
Il 60,3% delle studentesse assegna all'istruzione un valore eminentemente
sociale e civile, di contro al 40,5% degli studenti maschi: una percentuale
- quest'ultima - di poco superiore a quel 37,3% di ragazzi che apprezza
soprattutto i vantaggi futuri del percorso scolastico. Coerentemente con
la loro visione etico-normativa della scuola, le studentesse esprimono
con più facilità dei ragazzi giudizi negativi su chi non
studia e sui fenomeni di dispersione scolastica.
Problematico appare il rapporto con gli immigrati, che suscitano reazioni
positive nel 59,4% degli intervistati e negative in un buon 38,9% dei
casi. Nel complesso, le ragazze sembrano molto più sensibili dei
ragazzi al confronto culturale con gli stranieri: la maggioranza di loro
(il 50,9%), infatti, sottolinea l'importanza che gli immigrati rivestono
per la conoscenza di stili di vita diversi dal nostro, e il 20,7% li definisce
un arricchimento per la nostra cultura; segue un 16,8% che si ritiene
minacciato dal punto di vista lavorativo, mentre solo il 6,5% del campione
femminile considera lo straniero un pericolo.
L'opinione degli studenti maschi, invece, sembra polarizzarsi intorno
a due posizioni contrapposte: gli immigrati rappresentano in pari misura
un pericolo (15,6%) ed un arricchimento per la nostra cultura (15,9%),
e la percentuale di chi si dichiara incuriosito dalla diversità
di cui lo straniero è portatore (il 29,2%) non si discosta molto
da quel 26,3% di chi sottolinea la presunta insidia occupazionale rappresentata
dall'immigrazione.
Nel complesso, dunque, le sacche di resistenza al confronto interculturale
sono notevoli; se a queste si aggiungono gli episodi di razzismo/discriminazione
nei confronti di alunni stranieri, a cui il 19,3% degli intervistati dichiara
di aver assistito, si ottengono sufficienti elementi di valutazione per
interpretare il fenomeno della dispersione scolastica tra gli immigrati.
Per quanto riguarda il grado di motivazione allo studio espresso dagli
intervistati, si sono registrati alcuni segnali negativi. Un buon 13,1%
degli studenti ha infatti dichiarato che, potendo scegliere, preferirebbe
smettere di studiare e cominciare a lavorare; questa risposta presenta
un certo grado di definizione ed esprime una qualche articolazione progettuale,
pertanto risulta più attendibile - e dunque più facilmente
interpretabile come preludio alla dispersione scolastica - di quella fornita
dal 10,4% del campione, che vagheggia la più totale inattività.
Un dato confortante emerge dall'analisi dei principali motivi di scelta
della scuola superiore: il 38,9% dei ragazzi segue le proprie inclinazioni
e passioni, il 25,9% pianifica gli studi secondari in base alle prospettive
occupazionali ed il 16,4% in base ai futuri studi universitari. Solo un
trascurabile 0,7% dichiara di aver subìto imposizioni esterne,
presumibilmente familiari. Dunque sembrerebbe difficile, stando alle risposte
fornite dal campione, poter includere le interferenze genitoriali ed il
boicottaggio delle naturali predisposizioni dei figli nell'eziologia del
fenomeno della dispersione.
I genitori non mancano, tuttavia, di esercitare la propria influenza sulle
modalità di prosecuzione degli studi, anche se non in modo imperativo,
e soprattutto sui ragazzi, dei quali il 24,5% segnala la presenza di condizionamenti
familiari. Le ragazze, invece, dimostrano una maggiore risolutezza ed
una autonomia più spiccata dei ragazzi nella scelta della scuola
superiore: il 63,7% di loro dichiara di non subire alcuna influenza (di
contro al 57,9% dei ragazzi), mentre il 17,1% indica un condizionamento
familiare; il consiglio degli amici, per loro, ha meno importanza che
per i ragazzi, anche se non di molto (il 10,7% di contro all'11,6% del
campione maschile); più degli studenti maschi, inoltre, tendono
ad attribuire credibilità agli esperti, cioè agli insegnanti,
di cui ascoltano volentieri i suggerimenti sull'indirizzo scolastico.
Anche la variabile della condizione economica dei genitori sembra orientare
la scelta della scuola superiore: i figli provenienti da famiglie di status
medio e alto sembrano più propensi a seguire le loro reali inclinazioni
e passioni personali (rispettivamente nel 44,6% e nel 38,3% dei casi,
di contro al 32,4% degli studenti di bassa estrazione economica); oppure
sono portati a compiere le loro scelte in coerenza con il corso di laurea
che hanno già deciso di frequentare in futuro. I figli di lavoratori
di status basso, invece, sembrano privilegiare considerazioni di tipo
occupazionale (nel 34,7% dei casi, di contro al 21% dei ragazzi di elevata
estrazione sociale e al 21,5% di quelli provenienti dalla classe media);
e lo conferma anche la maggiore frequenza con cui dichiarano di voler
smettere di studiare per cominciare a lavorare.
Tra le aree prese in esame dalla rilevazione, quella del rapporto con
gli insegnanti non sembra lanciare segnali di profondo disagio. Ben 83,9
alunni su 100, infatti, definiscono "amichevole" l'atteggiamento
dei docenti nei loro confronti. È pur vero che la maggior parte
dei ragazzi non si sente sollecitata ad affrontare con gli insegnanti
questioni di carattere personale, ma questo si verifica indipendentemente
dalla maggiore o minore cordialità dei rapporti tra allievi e docenti,
e sembra essere piuttosto collegato al livello di scolarizzazione dei
genitori e al loro status lavorativo: quanto più sono elevate la
condizione socio-economica e la preparazione culturale dei genitori, tanto
meno i ragazzi si dichiarano disponibili ad un dialogo confidenziale con
i docenti, probabilmente perché in famiglia trovano competenze
allargate a cui fare ricorso per risolvere i loro problemi. Sono pertanto,
con una certa prevalenza, i figli di genitori di bassa estrazione economica
e - soprattutto - culturale ad assegnare al corpo docente una missione
extra-didattica ed una funzione vicaria di supporto psicologico.
Per quanto riguarda alcuni segnali critici (numero di assenze, motivazioni
delle assenze e frequenza delle bocciature), si possono notare interessanti
convergenze tra gli alunni di bassa estrazione sociale e quelli provenienti
da famiglie di status economico elevato: sia gli uni che gli altri totalizzano
più di 7 assenze al mese con frequenza maggiore rispetto agli alunni
di ceto medio; più facilmente, inoltre, adducono motivazioni di
scarsa importanza (come la stanchezza o la scarsa voglia) per spiegare
le assenze, e vanno incontro alla bocciatura in un maggior numero di casi.
Questo induce a pensare che le famiglie di ceto medio, a differenza delle
altre, esercitino un controllo efficace sui propri figli, seguendo da
vicino il loro effettivo comportamento scolastico.
Un ultimo dato merita una segnalazione: rispetto alle altre province italiane,
quella di Viterbo registra la più alta percentuale di studenti
che reputano la scuola una perdita di tempo e che vorrebbero smettere
di studiare per cominciare a lavorare; inoltre, gli alunni viterbesi giudicano
autodistruttivo il comportamento di chi abbandona la scuola con minore
frequenza che altrove. Ciò non significa, tuttavia, che questi
giudizi si tradurranno automaticamente in altrettanti casi di dispersione
scolastica: le situazioni di disagio evidenziate dagli alunni sottoposti
alla rilevazione non devono essere considerate deterministicamente come
cause necessitanti ed infallibili dell'abbandono scolastico, bensì,
più semplicemente, come precondizioni che inclinano e predispongono
alla dispersione.
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