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Contributi, approfondimenti, strumenti per la formazione delle funzioni obiettivo/strumentali e dei docenti

Investire sulla formazione del personale della scuola
per sostenere i processi di trasformazione del sistema scolastico

 Caterina Gammaldi

1. Un passaggio di fase

La formazione del personale della scuola, segnatamente quella degli insegnanti, vive oggi una stagione difficile, fra scelte discutibili e contraddittorie, affatto coerenti con il bisogno più volte manifestato di aggredire la questione in un’ottica di sistema e di garantire lo sviluppo qualitativo della scuola, mettendo singoli insegnanti e/o dirigenti, collegi docenti, dipartimenti disciplinari e consigli di classe, reti di scuole nelle condizioni di utilizzare compiutamente gli spazi di ricerca, sperimentazione e sviluppo, coerentemente con le scelte adottate nell’art. 6 del DPR 275/99.
Alcune questioni preliminari di cui tener conto:
a) Art. 5 legge 53/03 Una commissione tutta interna al Ministero della Pubblica Istruzione e all’Università sta rivedendo il decreto attuativo, a suo tempo, emanato dal ministro Moratti; appare difficile una soluzione in grado di restituire alla scuola ruolo e competenze a riguardo. Senza il coinvolgimento della scuola e di chi la rappresenta, la formazione iniziale e in servizio degli insegnanti potrebbe rischiare di essere consegnata definitivamente all’Università, in continuità con le scelte del precedente governo.
b) MPI Sul fronte del Ministero, dopo il tentativo della Direzione del personale di aprire un confronto con le associazioni professionali, attraverso l’istituzione di un tavolo tecnico, per discutere un nuovo approccio alla formazione permanente del personale della scuola, concentrando attenzione e risorse sul tema dello sviluppo professionale (v. documento marzo 2006), non vi sono novità. Non è ancora uscita la nuova direttiva che definisce obiettivi e risorse per il 2007. Il tavolo tecnico non è stato più convocato; si registra una scelta a vantaggio di azioni formative assai discutibili e diversificate e un investimento sulle associazioni disciplinari, a cui è chiesto di lavorare nelle scuole, sul territorio, in accordo con Indire, a seguito di protocolli di intesa, per realizzare attività di formazione, on line e in presenza. sugli apprendimenti di base linguistici, matematici e scientifici (v. in proposito i progetti Insegnare scienze sperimentali, “Poseidon” , “ m@t.bel”)., con espliciti riferimenti in taluni casi al linguaggio e alle scelte culturali delle Indicazioni nazionali, di cui la scuola attende la riscrittura
c) Università In ambito universitario le cose non sembrano funzionare meglio; l’università gestisce i percorsi di formazione iniziale, i corsi abilitanti riservati, i master e i corsi di perfezionamento destinati a insegnanti e dirigenti in servizio o a laureati che vogliano insegnare, prevalentemente su temi professionali. Temi quali la progettazione, le didattiche disciplinari, la documentazione, il coordinamento delle risorse umane, l’orientamento, l’intercultura, il disagio scolastico nelle forme dell’handicap e dell’insuccesso formativo sono sottratti alla ricerca della/nella scuola. Si fa notare che la partecipazione a detti corsi è titolo culturale riconosciuto come credito (e quindi dà diritto a un punteggio); il personale in servizio si avvale della certificazione per ottenere incarichi nella scuola, avanzamenti in graduatorie di istituto, per partecipare a concorsi, per la mobilità; per i più giovani la frequenza di detti corsi rappresenta, spesso, una sponda assai costosa per risalire nelle graduatorie e sperare in un incarico.
d) Scuole/USR Le scuole registrano una diminuzione delle risorse finanziarie loro assegnate per la formazione; più complessivamente il territorio sconta l’utilizzo di risorse per azioni formative gestite direttamente dagli Uffici Scolastici Regionali, o affidate a scuole polo e a soggetti “accreditati” localmente su input che, solitamente, provengono dal centro, nella logica piramidale che ritenevamo superata con il conferimento dell’autonomia alle scuole e le potenzialità inscritte nell’art. 6 del DPR 275/99. La maggior parte dei colleghi trova inutile la formazione in servizio realizzata nella scuola in cui lavora, salvo i casi in cui ad essa corrisponde un riconoscimento in termini economici o di incarichi su funzioni o su progetti nell’ambito del Piano dell’Offerta Formativa. Le scelte individuali al di fuori del contesto scolastico sono, invece, residuali, anche perché non riconosciute come credito da spendere professionalmente.
e) Regioni/Enti locali Più recentemente anche le Regioni, le Province, le Comunità montane, i Comuni hanno impegnato risorse nella formazione del personale della scuola o del personale di supporto alle sue esigenze (mediatori culturali, animatori, bibliotecari, documentaristi etc.), o dei funzionari dei settori istruzione, non sempre in sintonia con quel che sarebbe utile alla scuola per lo sviluppo dell’innovazione, nella logica di accompagnare la trasformazione del sistema scolastico, ovvero di una progettazione partecipata. La scelta recente di un accreditamento regionale (entro il 2007) dei soggetti, che svolgono formazione sul territorio, per accedere a risorse messe a disposizione per progetti locali, non sembra favorire i soggetti associativi, la loro naturale vocazione a sostenere i processi formativi, in quanto presuppone il possesso di requisiti e di strumenti contabili e gestionali, ovvero di una struttura organizzata.
f) Indire/IRRE Va tenuta presente anche tutta la partita relativa alla formazione a distanza gestita da Indire d’intesa con il Ministero sul fronte dei dirigenti scolastici, dei neo-assunti, dei docenti in servizio, del personale ATA… nella prospettiva dell’ANSAS (Agenzia Nazionale per il Sostegno all’Autonomia Scolastica). Esprimiamo alcune preoccupazioni per scelte che potrebbero andare ancora una volta a vantaggio di una formazione centralistica, eterodiretta, che non nasce e si sviluppa nella scuola dell’autonomia.
g) Associazioni degli insegnanti Da ultimo, e non per importanza, il tema delle associazioni professionali degli insegnanti, distinte in disciplinari e “generaliste” e che, pur se soggetti qualificati, non sono messe nelle medesime condizioni per sviluppare la propria attività formativa. Le scelte contrattuali riguardo al mancato riconoscimento dell’attività di ricerca delle associazioni, le disparità di trattamento in rapporto all’utilizzo della qualifica a livello nazionale e locale, l’accesso limitato alle risorse finanziarie messe a disposizione dal centro e/o dai livelli regionali, la diminuzione degli spazi di agibilità delle scuole, non ultima la questione relativa al fatto che le attività formative frequentate presso le sedi associative (corsi, gruppi di ricerca didattica) non sono riconosciute come credito, determinano situazioni assai diverse nei rapporti con il ministero, Indire, IRRE, Università, USR, enti locali, fino alle scuole e alle loro reti.

2) Ripartiamo dalla formazione continua, in un’ottica di sistema
Il Cidi ha sempre considerato questo settore strategico, radicando la propria iniziativa formativa al “fare scuola”, attraverso seminari, convegni, corsi di aggiornamento, laboratori di ricerca – azione, gruppi di ricerca didattica. Un’attività che non è venuta meno neanche nella difficile ultima fase, né in quella che oggi potremmo dire di transizione, in cui sembra compromesso il rapporto cultura della scuola/formazione del personale.
Sempre più appare necessario un investimento nazionale (strutturale, culturale, professionale) in questo campo, per meglio corrispondere alla crisi di identità degli insegnanti, compromessa anche dall’uscita e dalla contemporanea entrata di migliaia di docenti, immessi in ruolo dopo lunghi anni di precariato. C’è una consapevolezza diffusa della difficoltà a gestire efficacemente problematiche culturali, educative, professionali; si vive la propria dimensione professionale in una condizione di minorità, essendo carenti le politiche a sostegno dei bisogni formativi di chi si occupa di educazione.
La formazione in servizio, infatti, non è ancora un diritto esigibile su tutto il territorio nazionale e un dovere per il personale; non vi sono, di fatto, condizioni e strumenti che garantiscano la formazione di tutto il personale, superando la frammentarietà della proposta formativa complessiva.
L’autonomia, strumento importante per il rinnovamento democratico della scuola, trova ancora poco praticati o residuali gli spazi e i tempi di una formazione in servizio centrata sulla scuola, sul suo sviluppo, pur se sono di molto cresciute le opportunità di scambio fra docenti impegnati in attività di formazione centrate sulla ricerca curricolare, nelle singole scuole e in rete, sulla progettualità europea e, in ambito regionale, nelle azioni coerenti con lo sviluppo della dimensione locale.
Le ricerche mostrano ancora un utilizzo prevalente dei tradizionali corsi di aggiornamento, di poche ore, collocati in spazi pomeridiani, ancorché residuali, con metodologie tradizionali, per lo più seminariali, ovvero lezioni frontali, su contenuti dettati dalla moda del momento o dall’interesse di pochi insegnanti.
Non ci sembra mutato nemmeno, negli anni, il rapporto delle scuole con i soggetti e gli esperti, che erogano formazione; la scelta è spesso casuale, discrezionale, condizionata a livello locale dai soggetti più forti e dalle scelte dell’Amministrazione scolastica periferica.
Alle scelte compiute, a riguardo, negli anni scolastici fra il 1997 e il 2000, anche per impulso del MPI, non ha corrisposto negli anni successivi un impegno in continuità con quella proposta (CFI). Abbiamo assistito progressivamente al ritorno di una formazione in servizio centralizzata, in presenza e on line, anche se erogata a livello locale, coerente con gli impegni sottoscritti con il processo avviato con la legge 53/03 e i decreti attuativi, funzionale più alla diffusione dell’informazione che alla formazione professionale del personale della scuola.
La mancanza di istituti contrattuali che riconoscessero, nei fatti, la partecipazione dei docenti ad attività di formazione in servizio l’ha trasformata in un optional, mantenendo l’obbligo di partecipazione solo per quelle attività che avessero al centro le novità introdotte (si veda in proposito l’attività formativa proposta sulla legge 53 e sui decreti attuativi) .
La partecipazione ai corsi di questo tipo è divenuto nel tempo un atto dovuto, per impadronirsi del nuovo lessico o per utilizzare nuovi strumenti e procedure, raccomandati o introdotti nel campo della progettazione didattica e della valutazione (Unità di Apprendimento, PECUP, Portfolio etc.).
A riguardo possiamo ritenere che, qualora prevalesse questa modalità, sarebbe compromessa l’autonomia culturale e professionale dei singoli insegnanti, in quanto decisori e protagonisti nei processi innovativi.
In questo ambito vogliamo segnalare anche le difficoltà che i docenti incontrano riguardo alla fruizione del diritto alla formazione, anche in presenza di precise norme contrattuali.

3) Lo sviluppo professionale
Il tema in questione rientra, come è noto, nei capitoli della “gestione del personale”, della “valorizzazione delle risorse umane” per meglio corrispondere all’esigenza di avere docenti motivati e coinvolti nei processi di trasformazione del sistema scolastico, personale riconosciuto nelle competenze professionali necessarie a questo scopo.
L’autonomia scolastica avrebbe dovuto rendere possibile una diversa gestione del personale, meno burocratica di quella che si è consolidata nel tempo, basata su titoli, graduatorie, anzianità…
In realtà, nonostante timidi tentativi di rispondere all’esigenza sopra richiamata, le proposte sono naufragate nel cattivo utilizzo degli istituti contrattuali proposti a riguardo. Sembra essersi accentuata, anche per effetto di una maggiore differenziazione dei compiti e degli incarichi nella scuola, la gerarchia e la conflittualità fra insegnanti, con riflessi sulle scelte in materia di formazione continua nelle singole scuole .
Ad esempio, non sempre corrisponde alle funzioni strumentali al POF, alle figure di staff, un profilo culturale coerente con l’idea che, pur se la funzione è assegnata ai singoli, le azioni vanno legate allo sviluppo delle singole unità scolastiche; talora gli insegnanti che dichiarano di preferire il lavoro d’aula si sentono emarginati dalle proposte formative loro formulate da chi ha la funzione strumentale al Piano dell’Offerta Formativa o coordina un progetto europeo o un’azione prevista da un POR . Lamentano il mancato riconoscimento anche economico del valore del difficile lavoro di mediazione culturale, a vantaggio di attività progettuali e organizzative. Una prima conseguenza è rappresentata dal ritenere estranee le scelte formative proposte da chi ha la funzione di rappresentare i loro bisogni formativi, con una ricaduta qualitativamente poco significativa sulla scuola.
La recente indagine IARD sulla condizione professionale sottolinea, a riguardo, come alla soddisfazione per i contenuti del lavoro (insegnamento e relazione educativa) spesso si contrapponga la frustrazione derivante da regole impiegatizie e indifferenza istituzionale nei confronti dei risultati della propria attività.
Un aspetto, quello del mancato riconoscimento sul piano sociale ed economico, che contrasta con il bisogno diffuso di valorizzazione della propria professionalità. In buona sostanza si può ritenere che la produttività scolastica, richiamata nelle norme dell’autonomia, segnale di efficacia e di efficienza del sistema non passa per la totalità degli insegnanti in servizio”, dialoga poco con gli immessi in ruolo negli ultimi anni, disegnando una categoria ancora soggetta a una cultura burocratica e procedurale.
Un utile, recente riferimento al tema dello sviluppo professionale, che avrebbe potuto essere occasione per uno sviluppo della formazione in un’ottica di sistema, è contenuto nel documento del marzo ’06 della Direzione generale del personale, definito un processo di sistematico e progressivo consolidamento e aggiornamento delle competenze del personale della scuola al fine di realizzare, attraverso la crescita dei singoli e la loro valorizzazione professionale, il miglioramento dell’istituzione scolastica nel suo complesso e, conseguentemente, dei risultati degli studenti
Il percorso in tal senso ci sembra utile ma accidentato sia perché., come dicevamo all’inizio il rapporto del MPI con le associazioni professionali si è arenato, sia perché la formazione in servizio non sembra rappresentare quella leva che potrebbe garantire lo sviluppo necessario al sistema scolastico, nelle diverse stagioni della vita professionale, ovvero quando ci si prepara a diventare insegnanti, in ingresso e in servizio, in una logica di formazione permanente coerente con le finalità della scuola e i processi di riforma messi in atto.
Oggi, più di ieri, si accede alla formazione in ingresso dopo esperienze diverse di formazione iniziale e numerosi anni di precariato, un percorso formativo che coincide con l’anno in cui si ottiene la conferma in ruolo, che giunge talora tardivo, e complessivamente poco significativo, se rapportato all’esperienza accumulata negli anni. Si entra nei ruoli fra 30 e i 50 anni, spesso senza aver partecipato ad esperienze di formazione significative. La proposta formulata dall’Amministrazione dell’anno di formazione per i neo-assunti in ragione di una “verifica delle competenze acquisite durante il percorso di formazione iniziale e di un consolidamento delle medesime attraverso l’applicazione in situazione didattica” non tiene conto dell’esperienza maturata in precedenza, in situazione di precariato.

Roma 29 Gennaio 2007

Formazione

 

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