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Professione docente: evoluzione e rivincita di un mestiere tradito |
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Professione docente: evoluzione e rivincita di un mestiere tradito di Luisa Ribolzi, università di Genova Premessa Nel momento in cui il sistema scolastico italiano è investito da un processo globale di trasformazione, si pone con particolare urgenza il problema della formazione iniziale e in servizio del personale docente, che va affrontato tempestivamente e in una prospettiva organica, collegandolo anche ad un'ipotesi di contratto, perché non è possibile parlare di adeguamento dei profili professionali separatamente dai bisogni della riforma, ma nemmeno dalle ipotesi di modificare le condizioni di lavoro. Ritenere che la scuola vada male solo perché gli insegnanti non assolvono bene i loro compiti, oltre che riduttivo, è sostanzialmente ingiusto: tuttavia, è necessario affermare che questo è il problema centrale per il rinnovamento del sistema formativo, ed è grave che la "questione insegnante", dibattuta a parole, non sia in realtà mai stata considerata una priorità nelle politiche educative, a di stabilire le caratteristiche degli insegnanti, il numero di insegnanti da preparare per ciascun livello e area disciplinare (o da aggiornare, se sono già in servizio), le modalità del loro contratto di lavoro, che deve tenere conto di una atipicità della professione che non consente semplificazioni populistiche. Per compiere una riflessione su questo complesso problema, mi sembra opportuno partire da alcune riflessioni, sia di tipo quantitativo sia invece più legate alle trasformazioni culturali in atto. 1. Nel 1997, nei quindici paesi dell'Unione Europea erano presenti circa quattro milioni e mezzo di insegnanti, pari al 2.7% della popolazione attiva [1]: nella maggior parte dei paesi, il valore è compreso fra il 3.2% dell'Italia e il 2.6% dell'Inghilterra e della Finlandia, con le sole eccezioni della Germania (2%) e del Belgio, dove la particolare struttura tripartita del sistema linguistico porta il totale al 5.1%. Se consideriamo i paesi in lista d'attesa, il totale supera i sei milioni, e la percentuale sulla popolazione attiva è appena leggermente superiore. Si tratta quindi di un gruppo professionale anche numericamente di assoluto rilievo, pur senza tenere conto di due fattori che ulteriormente lo qualificano: · dal punto di vista del livello di qualificazione, se si considerano gli occupati forniti di un titolo di studio di terzo livello, il peso percentuale degli insegnanti cresce consistentemente: in Italia, si può stimare che circa un laureato su quattro lavori nella scuola; · dal punto di vista dell'importanza del ruolo sociale degli insegnanti, per non tornare un'ennesima volta a parlare dell'importanza della formazione nella società basta sulla conoscenza, mi limito a citare Piaget, che non credo possa essere considerato un "mercificatore" della scuola, secondo cui "l'intelligenza organizza il mondo organizzando se stessa" [2], e questo capacità si sviluppa solo attraverso un rapporto educativo, non solo ma principalmente, con gli insegnanti. Nonostante ciò, il tema del ruolo sociale dell'insegnante e della sua collocazione fra le professioni - cioè fra quei lavori che sono caratterizzati da un lungo periodo di preparazione specialistica, da un campo definito di conoscenze, dall'esistenza di un codice etico, da un rapporto economico oltre che etico che li lega al cliente, da un elevato grado di autonomia nell'esercizio della professione, a cui in genere si viene ammessi dopo un controllo dei requisiti posseduti, dalla possibilità di modificare le condizioni di lavoro, contrattando in base alle capacità"[3]- è tuttora apertissimo, e non è il caso di rifugiarsi in una mitica età dell'oro E' quindi opportuno, a mio parere, distinguere tra le professionalità e la professionalizzazione degli insegnanti: 1.2.1 il primo termine è, per così dire, statico e descrittivo, ed indica le caratteristiche del lavoro che sono chiamati a svolgere, e il livello di raggiungimento che di esse ha il singolo insegnante, nel senso in cui si parla di professionalità per qualsiasi lavoro; le teorie che lo definiscono partono dal presupposto che esita un tipo ideale di insegnante, che i funzionalisti fanno coincidere con il modello delle professioni liberali, e che per gli insegnanti è stato legato fino a tutti gli anni Sessanta a motivazioni altruistiche e alla capacità di soddisfare i bisogni sociali definiti come essenziali; 1.2.2. il secondo termine è invece dinamico, ed indica sia il processo di avvicinamento di ciascun insegnante al profilo che gli è proprio, sia il processo di definizione del loro ruolo sociale e politico come categoria, all'interno di un sistema di status, per cui si considera la collocazione degli insegnanti nelle dinamiche sociali in quelle che i sociologi marxisti definivano "strategie di produzione e riproduzione sociale". Il statuto sociale di una professione "si basa sul riconoscimento e il prestigio assegnati dalla società, che affida a un gruppo professionale il controllo ( e il monopolio) di un certo segmento di lavoro, affidandogli un mandato per definire le regole a cui deve rispondere l'esercizio dell'attività"[4]. 2. Questo duplice significato è fonte di ambiguità, come appare chiaramente nel recente bel testo di Cenerini e Drago[5], in cui si parla chiaramente di che cosa dovrebbero sapere e saper fare gli insegnanti, ma anche della loro collocazione sociale, e - cosa relativamente nuovo nel nostro paese - dell'azione che gli insegnanti stessi devono intraprendere per modificarla, e per acquisire uno statuto coerente con l'importanza riconosciuta della formazione. Questa affermazione - "importanza riconosciuta della formazione" - mi sembra, in realtà, da mettere pesantemente in dubbio. A fronte di un riconoscimento formale indiscusso e indiscutibile, esiste una tendenza strisciante alla svalutazione di tutto ciò che ha a che fare con la scuola: perfino i sociologi che se ne occupano, come me, sono considerati un po' meno sociologi di chi si occupa di lavoro, di processi culturali o di teoria sociologica tout court. Ne consegue che gli insegnanti sono considerati non solo semiprofessionisti nell'accezione tecnica del termine, brillantemente definita da Schön come professionista riflessivo[6], ma nel senso di "professionista a metà", dimezzato, incompleto e quant'altro, con un'evidente connotazione diminutiva. Secondo Novoa, nel testo già citato, il livello di prestigio degli insegnati dipende dal fatto che l'insegnante "moderno" è un prodotto dello Stato nazionale[7], il cui progetto di controllo dei sistemi educativi può realizzarsi solo se ciò che determina la costituzione in "gruppo professionale" degli insegnanti è il loro essere dipendenti dallo Stato, e non l'essere una "corporazione". Di qui, la concezione dell'insegnante "burocrate" su cui si sono spesi fiumi di inchiostro. E' innegabile che, a parte l'intenzionalità di questa operazione da parte dello Stato, l'esito soggettivo di questa situazione è che le forme associative tradizionali degli insegnanti (i sindacati) oscillano fra la difesa corporativa dei loro interessi e la difesa dell'insegnamento come funzione pubblica e di utilità sociale, e nessuna delle due posizioni è particolarmente favorevole ad uno sviluppo in senso professionale, se non si capisce prima che è necessario definire le norme per l'esercizio della professione, e tale definizione (su cui si costruiranno le condizioni di lavoro, e, in un circolo a piacere virtuoso o vizioso, il prestigio della professione) va è compito comune dello Stato e delle associazioni degli insegnanti, che però non possono essere i sindacati, almeno all'inizio. 3. A questo elemento di fondo, si aggiungono altri caratteri di svalutazione: certamente, e al di là delle considerazioni sul "valore aggiunto" portato dalle donne all'insegnamento delle donne[8, il processo di femminilizzazione subito dalla professione docente fa parte di questi elementi, dando della scuola una visione "privata" e di cura da un lato, e di occupazione a tempo parziale subordinata alla vita famigliare, dall'altro. Questa visione tende a permanere, anche se il processo di femminilizzazione della scuola europea si è consolidato, e la percentuale di donne si è assestata intorno agli anni Sessanta, crescendo poi molto lentamente. Il tasso di femminilizzazione è particolarmente alto nella scuola primaria (secondo i dati di Eurydice, nel 1997 il valore massimo era in Italia, con il 94%), e scende al salire dei livelli di educazione, assestandosi introno alla metà nella scuola secondaria superiore. Tale processo di femminilizzazione, però, è a sua volta una conseguenza della scelta di considerare l'insegnamento come un lavoro pagato parte in tempo e parte in denaro, il che lo rende poco appetibile a chi intende svolgerlo come unico lavoro: inoltre, la quota di tempo destinata alla "manutenzione" della professionalità, che non influisce se non scarsamente sulle condizioni di lavoro, diviene insostenibile se collegata all'orario a tempo parziale. Infine, l'appiattimento delle carriere, la mancanza di selezione in entrata e nel corso del lavoro, e fino a pochi anni fa, anche la mancanza di procedure specifiche di qualificazione, rendono poco appetibile il lavoro di insegnante nella scuola italiana. 4. La situazione del corpo docente in Italia è, si è detto, particolarmente problematica. Una lettura dei dati di stock e di flusso relativi al personale docente mostra che l'Italia sta vivendo una situazione di paradosso: a fronte di un eccesso di docenti che si può negare solo chiudendo volutamente gli occhi, si manifesterà nel giro di otto anni una carenza di docenti, particolarmente forte per le aree scientifiche e tecnologiche, già presente in alcune zone del paese e accresciuta dalla concorrenza del mercato del lavoro. Questi i riferimenti numerici: · Il sistema scolastico italiano occupa attualmente (a.s.2001/2002) 747.384 insegnanti di ruolo, su un numero di posti previsti pari a 698.398, e 65.040 insegnanti di sostegno su di un numero di posti previsti pari a 60.720. Ad essi si aggiungono 92.015 insegnanti a tempo determinato[9]. Il numero di posti previsto dall'organico è più basso, circa 760.000 (tav.1). Nei prossimi otto anni (periodo necessario perché i nuovi corsi di laurea per maestri e per docenti della scuola secondaria producano dei laureati, che entreranno gradualmente in servizio dopo due anni di praticantato non prima del 2009), usciranno dalla scuola per pensionamento circa 60.000 insegnanti, a cui potrebbero corrispondere, secondo stime basate su di un rapporto pensioni / dismissioni pari al 25%, 240.000 cessazioni. Ferme restando le previsioni degli organici, servirebbero circa centomila nuovi insegnanti. Tav.1 - Posti previsti in organico e insegnanti in servizio, a.s.200-2001
Fonte: Serie storiche.cit. · L'orario di servizio di un docente delle scuole elementari è attualmente di 748 ore l'anno per la scuola elementare, e di 612 per la scuola media e secondaria superiore. Il rapporto insegnanti / alunni è rispettivamente di 9.41, 8.62 e 9.05[10]: il rapporto ottimale sarebbe invece, se si considerano i posti in organico, 10.88, 10.51 e 10.19. Ciò significa che attualmente un maestro elementare fornisce 7039 ore/alunno l'anno, un insegnante delle medie 5275 e un insegnante delle secondarie 5538. Una prima possibilità per recuperare personale si avrebbe agendo solo sul rapporto insegnante alunni, senza toccare l'orario di lavoro, i valori salgono rispettivamente a 8138, 6432, 6236[11], e il totale di ore erogate aumenta di conseguenza. Il che significa che, mantenendo costante l'orario di servizio e aumentando il rapporto insegnanti alunni semplicemente ai livelli previsti dall'organico, si recupererebbero risorse da stimare con più precisione, ma tali da consentire un cospicuo aumento retributivo.
· Si tratta di una semplificazione, che coincide con il valore medio fra elementari e medie, calcolando il medesimo orario di servizio per le scuole comprensive. ** in migliaia · Pensare ad un mantenimento del numero attuale degli insegnanti, a parità di condizioni di lavoro, appare attualmente poco realistico, dal momento che si sta manifestando, e non va sottovalutata, una crescente difficoltà di reclutamento: per la sola scuola elementare, sono in servizio quest'anno oltre ventimila docenti con più di trent'anni di anzianità, a cui fa sistematicamente riscontro un assoluto sotto dimensionamento degli iscritti ai corsi di laurea per maestri: (1998/99: posti offerti 7.375, immatricolati 3.792; 1999/2000 posti offerti 7450, iscritti 2567, 2000/2001 posti offerti 7342, immatricolati 2972: in tre anni, su 22167 posti offerti si sono iscritti 9.331 studenti, meno di un terzo). I dati vanno ovviamente stimati in modo più analitico, regione per regione e classe di insegnamento per classe di insegnamento. E' quindi +opportuno prevedere al più presto un sistema di incentivi per convincere un numero molto più elevato di adesso di laureati a scegliere l'insegnamento: in alternativa, o forse in aggiunta, bisognerà pensare a una trasformazione delle condizioni di lavoro (più ore, stipendio maggiorato, incentivo di carriera). Inoltre, credo che si debba evitare un eccesso di rigidità nel percorso, prevedendo la possibilità di conseguire la laurea specialistica per l'insegnamento in modo facilitato anche dopo una laurea specialistica diversa o dopo altre esperienze di lavoro. In ogni caso, il tema della formazione iniziale può essere affrontato solo in raccordo con i progetti di riforma dell'università, e con il chiaro quadro delle necessità per territorio, rapportato all'offerta universitaria (calcolata su base regionale, anche se in modo non rigido), e in raccordo con il tipo di contratto che si intende offrire agli insegnanti. Si deve in particolare elaborare un'ipotesi di praticantato, inteso come fase di transizione fra la formazione e l'assunzione di un pieno ruolo docente, che tenga conto delle esperienze straniere e venga programmata da subito in collaborazione con la scuola sul territorio. · Quanto alla formazione in servizio, calcolando circa 900.000 insegnanti in servizio, di ruolo e non, su posti normali o di sostegno, ne resteranno un servizio in otto anni almeno 650.000: il che significa che è necessario innanzitutto provvedere a riqualificare questa folla di persone, dotandole delle necessarie competenze per il nuovo sistema, ma anche formare le nuove leve, da valutare in circa 100.000 insegnanti (se si mantiene il numero previsto di posti di ruolo). A parte l'entità numerica, che richiederà il massiccio ricorso alla formazione a distanza, il coinvolgimento delle reti di scuole presenti sul territorio e uno scaglionamento nel tempo a partire dalle urgenze più immediate, è necessario tenere presenti altri elementi: ü gli insegnanti in servizio hanno una preparazione molto differenziata per livello: anche se la maggior parte sono laureati, soprattutto fra i più giovani, resta in servizio un contingente notevole di docenti in possesso di solo diploma; ü gli insegnanti in servizio hanno una preparazione molto differenziata per anno di conseguimento del titolo: gli insegnanti in servizio da più di 20 anni erano circa il 45%, il che significa che - a parte forme anche sporadiche di aggiornamento, comunque non obbligatorie - quasi la metà degli insegnanti in servizio ha completato la sua preparazione da più di vent'anni, e questo in un periodo in cui l'obsolescenza delle competenze è particolarmente rapida, soprattutto nei settori tecnologici e scientifici. Inoltre, il possesso di competenze disciplinari e "trasversali" è anch'esso fortemente differenziato; ü infine, anche la competenza acquisita sul lavoro non solo è differenziata, come è ovvio, ma non è mai stata sistematizzata o valutata. E' quindi probabile che un piano organico e capillare di formazione in servizio debba tenere presente una serie di variabili nella popolazione, a cui si aggiunge il problema fondamentale, che è quello di definire il profilo professionale degli insegnanti nella scuola autonoma, e delle competenze che ad esso sono collegate. 2. Per concludere questo, che - mi si perdoni il gioco di parole - è solo un approccio molto iniziale al tema, mi sembra che per poter parlare di "evoluzione e rivincita", si debba innanzitutto ricordare che ogni provvedimento deve segnare un passo graduale, ma in una direzione ben chiara. Se l'obiettivo è quello di una rivalutazione del mestiere di insegnare, che rendendolo desiderabile garantisca che i migliori, e non solo i masochisti, le persone "con la vocazione" o chi non ha altre alternative entrino nella scuola, garantendole il necessario e indispensabile supporto, bisogno ricordare che al di là dei limiti della categoria, gli insegnanti hanno finito con il diventare capro espiatorio di colpe non loro, vittime in parte consenzienti di un sistema formativo e contrattuale anacronistico, anche se protettivo[12], che non ha saputo attualizzare né le forme, né i metodi né i contenuti della formazione alla professione docente. Venticinque anni fa, io stessa scrivevo: "La funzione di stimolo e di promozione delle possibilità di crescita personale è tra le prevalenti nella nuova figura dell'insegnante, che deve perciò aggiungere alle sue competenze di esperto nella materia di insegnamento anche la capacità di coadiuvare le attività dei ragazzi, di condurre il lavoro di gruppo, di leggere criticamente l'influsso dei mezzi di comunicazione di massa, di promuovere momenti di formazione sociale contrastando le dinamiche selettive oggi prevalenti. Tale trasformazione negli atteggiamenti non solo non è promossa, ma è ostacolata dall'istituzione., dovrebbe disporre di maggiore esperienza dei processi formativi, di conoscenza del contesto sociale e dei vincoli che ne derivano, di competenza nell'ambito della propria disciplina, di capacità di gestire i conflitti che sorgono fra le persone e i gruppi, in modo da essere in grado di programmare e di innovare il proprio intervento educativo in collaborazione con i colleghi in classi o gruppi di lavoro. Ma non ci sembra che l'attuale sistema di formazione lo abiliti a tale difficile compito" [13].
[1] Eurydice, Key data on education in Europe, 2000 [2] J.PIAGET, La costruzione del reale nel bambino, La Nuova Italia, Firenze, 1973, pag.400 [3] Poiché non è compito di questa relazione quello di dettagliare il concetto di professione, largamente dibattuto nella letteratura sociologica, mi sono permessa di citare la sintesi da me fatta per gli studenti in L.RIBOLZI, Sociologia e processi formativi, La Scuola, Brescia 1993 [4] A.NOVOA, Histoire et comparation, Educa, Lisbona 1998, p. 149 [5] A.CENERINI, R.DRAGO (a cura di) Professionalità e codice deontologico degli insegnanti, Erickson, Trento 2000 [6] D.SCHÖN, Il professionista riflessivo, De Donato, Bari 1987 [7] Per un approfondimento si può vedere il testo fondamentale di M.ARCHER, Social origins of educational systems, Sage Publications, London 1979, o il più recente A.GREEN, Education and State formation, MacMillan, London 1990 [8] Il tema è stato largamente trattato dalla sociologia anglosassone femminista: mi limito a ricordare il testo di Kathleen CASEY, I answer with my life. Life histories of women teachers working for social change, Routledge, London 1993 [9] Fonte: MIUR, il chi è della scuola italiana: gli insegnanti, dicembre 2001; MIUR, Serie storiche delle principali grandezze del sistema scolastico statale, giugno 2001 [10] Dai dati riportati in MIUR, 2001, non è chiaro se gli insegnanti di sostegno sono esclusi da questo rapporto, o se lo sono, come parrebbe solo dal rapporto fra posti in organico e studenti. [11] Restano però esclusi dal computo circa 60000 insegnanti di sostegno inseriti in organico [12]"la responsabilità del vuoto di cultura non è da ascrivere alla categoria degli insegnanti, i quali, di fatto, appaiono le prime vittime di un sistema di reclutamento, di preparazione professionale e di aggiornamento deficitari e distorti": il testo (AA.VV. La riforma possibile, Feltrinelli, Milano) è del 1974, e in esso si parla già di assenza di prestigio sociale della professione, passività depressa degli insegnanti e mortificante routine del loro lavoro! [13] RIBOLZI L. Cambiamento della scuola e aggiornamento degli insegnanti, in !Aggiornbamenti sociali", giugno 1976, p. 378 Non si deve perciò parlare più, impropriamente, di "aggiornamento" (che in passato raramente ha messo in discussione la concezione che l'insegnante aveva di sé, e comunque poco poteva fare per migliorare il tipo e la qualità di una formazione di base inesistente), ma di vera e propria formazione per tutto il corso della vita: è in questa luce che va pensato l'interno percorso formativo, in cui certamente la fase iniziale è determinante, e che non può essere semplicemente funzionale alle trasformazioni che sta subendo l'università. La formazione degli insegnanti non può essere, come ha dichiarato una F.O. in una ricerca da me recentemente curata, compito di "uno di loro", bensì di "uno di noi", valorizzando quindi la capacità della scuola di essere fonte di cultura su se stessa. (Relazione tenuta al Convegno "L'educazione e l'istruzione nel XXI Secolo" MI 17/20, aprile 2002) |
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