Raffaele Spada
pittore

 

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Massimo Guastella

DALLA GREMBART AD AFFRESCARE IL CIELO

La produzione pittorica di Raffaele Spada

Personalità schiva, per di più non incline al protagonismo o al business artistico e non particolarmente amante dell'esposizione dei suoi quadri e tantomeno del parere critico («il critico d'arte è una figura che non ha senso, a meno che non si tratti di uno storico dell'arte, che ha pertanto conoscenze specifiche», afferma in un'intervista), Raffaele Spada ha attraversato i due decenni di fine inizi secolo/millennio in piena libertà creativa, scevra da ogni condizionamento che non fosse guidato dall'essere innanzitutto se stesso, come dichiarava nell'intervista, sopracitata, rilasciata a Giancarlo Sergio («Espresso Sud», dicembre 1998).

Ancorato al fare “buona” pittura, padroneggiando le tecniche, Raffaele Spada in quel clima degli anni ottanta, dominato dal postavanguardismo in arte e dal postmodernismo più in generale, rifugge ibridazioni o ancor peggio ovvi eclettismi stilistici e scansa quelle che lui stesso definisce «false chimere» ossia le fascinazioni delle mode del momento; viceversa non manca di tenere presente i riferimenti dei suoi esordi scolastici salentini (Giorgino e Gabrieli) e continua ad assorbire, sin dagli anni giovanili trascorsi all'accademia romana, taluni ammonimenti per lo più riconducibili ai Maestri che occupano le pagine dei libri di Storia dell'arte (potrebbero trovarsi i suoi nutrimenti in Botticelli, Tiziano, Gericault, Cezanne, Ensor, Gentilini). Che si tratti di prestiti iconografici diretti o solo spunti di riferimento per una rielaborazione concettuale, resta nella sua pittura la marcata propensione a rinnovarsi cercando nei modelli del passato la linea guida.

Su queste basi Raffaele Spada si impegna a costruire una propria originalità espressiva, avviata con le Cosmogonie (fine anni ottanta e primi anni novanta) e seguita dal ciclo Grembart - letteralmente «arte del grembo», termine coniato solo più tardi, nel 1997, dal filosofo cileno Sergio Vuskovic Rojo, suo mentore.Spada si convince del progressivo esaurimento della figurazione oggettiva, avvertita retorica nella versione di rappresentazione diretta della realtà, dopo svariate esperienze affatto naturiste e paesaggiste (dagli ultimi anni cinquanta agli anni ottanta), tuttavia decisive nello sviluppo stilistico susseguente. Verso il 1991 la via alternativa è definitivamente affrontata per trame compositive non di evasione astratta o formalista ma di esplosione iconica. Il suo Big Bang dà origine a un rinnovato spazio/quadro entro cui, per cicli pittorici consecutivi, accoglie la tensione a indagare e articolare individualmente il racconto esistenziale. Ciò costituisce, oramai in un arco cronologico più che ventennale, la cifra caratterizzante la produzione dell'artista salentino, cadenzata in successive varianti sino alle più recenti pitture del ciclo Affrescare il cielo , a sua volta distinguibile in distinte tematiche affrontate dal 2004, Nuvole , Terra del sogno, Notturno celeste , Ricamo di Aracne, Ipotesi, la cui vivacità inventiva, particolarmente intensa, prosegue coerentemente.

L'opzione figurativa, dal forte impatto visivo, è di marca dichiaratamente neo surreale – latamente daliniana, credo di poter osservare, con qualche cenno miroriano ad esempio in Merce cosmica n. 2 del 2004. Il sostrato surreale talvolta vira in soluzioni neobarocche (penso ad oscillazioni anche ventennali, dalle Fughe di festa del 1988 o al più recente Notturno di festa, che s'inserisce nel ciclo Affrescare il cielo ) non calamitate dal territorio d'appartenenza (il Barocco leccese, per intenderci) bensì ancora una volta alla lezione della Storia dell'Arte, ispirate ai grandi cicli decorativi tardomanieristi e sei-settecenteschi.

Si osservano composizioni che restano soprattutto pittura, materia cromatica disposta sul supporto mediante quei dettagli formali, linee di contorno, stesure descrittive, svirgolate di pennello, campiture di colori accesi, accostamenti tonali, che si devono ai virtuosismi raggiunti agevolmente dalla manualità esperta.

In tal modo Raffaele Spada elabora multiformi, atemporali paesaggi di una natura inafferrabile, inesplorata, dispersa nella coscienza individuale, così come appaiono nello sguardo in prima persona posto dall'autore. Sui dipinti, a tecnica mista, echeggiano risonanze interiori, esito di associazioni psichiche. Trasfigurazioni, frammentate e cristallizzate, destrutturate e ristrutturate, viaggiano verso assunti visionari, onirici, testimoniati dalle morfologie planetarie agli abissi marini o agli spazi celesti: da merci e angoli cosmici, draghi colorati nei parchi giochi, feste su prati, pianeti, miti, metropoli e strutture sottomarine, quadrighe, codici stellari, nuvole, terre sognate. Un assortimento simbolico, suggerito nei titoli delle opere, che declina una singolare visionarietà filtrata dall'intelletto senza rattrappire la sconfinata immaginazione.

L'evocazione non trova immediati riscontri nell'esame iconografico le fonti sono, com'è facile intuire, puramente mentali e perciò dense di connotati soggettivi e perciò criptati. Il solo filo conduttore è l'itinerario trascendentale all'interno del caleidoscopico sentimento dell'artista che ritorna in una sorta di liquido amniotico primigenio. Lui afferma: «la Grembart vuole essere un ritorno al grembo originario idealizzato dal mare e da finestre che si aprono sul cosmo dove il chimico-elettrico blu contiene strutture e pieghe che, fluttuanti, viaggiano verso l'ignoto».

Le sue opere, un ciclo appresso all'altro, ricompongono, senza soluzione di continuità, gli episodi concepiti da un animo addensato da sogni e visioni di un universo remoto.

Sulle tele si espandono le stesure pittoriche, simili ad aggregazioni coralline dai colori squillanti, che prolungano, in un contraccambio lirico, la natura con i suoi arcani verso i luoghi contemplativi dove si raccolgono i segreti dell'esistenza umana. Si delinea una pittura che predilige seguire le pulsioni, tradotte nella elaborazione di una identità linguistica. La volontà intima di Raffaele Spada non rinuncia a dettare, a narrare, mediante concrezioni-colori-metafore, macro o forse microcosmi.

Una produzione centellinata la sua, aspetto che può costituire un difetto o un pregio, secondo se lo si valuta sotto un aspetto prettamente mercantile oppure di mera qualità del manufatto. Quel che appare evidente è che da sempre opera fuori da schemi di sistema dell'arte, ritenuti da tempo inevitabilmente sorpassati.

Nel suo processo creativo, le opere, intimamente avvertite, sono licenziate quando le percepisce criticamente interpreti compiute del suo discorso pittorico. Ed è quel che accade nel mentre le conduce a ultimazione, quando vi riconosce il superamento della contingente fase creativa. Sul momento traguarda altre esecuzioni, un nuovo repertorio di immagini. Con ritmo incalzante, che tuttavia non è conseguente alla elaborata e paziente esecuzione pittorica, Spada asseconda la personale urgenza di esprimere composizioni totalmente rinnovate. Lo rimarcano gli avanzamenti che caratterizzano interamente il suo itinerario artistico e l'evoluzione del suo linguaggio anno dopo anno.

Come l'architetto che progetta una costruzione, lui si lancia verso un nuovo cosmo da ricreare. Forme rinnovate, in un riordino compositivo e in un espressionismo cromatico, tonalmente acceso dagli squarci di abbacinante luce mediterranea che si porta dentro. Ulteriori riflessioni sulle tele nascono dall'esigenza di fornire risposte al suo ruolo di artista che si fonda su necessità di valore spirituale. Non è un caso se spesso sono interpellati filosofi per interpretare il senso della sua produzione al confronto con lo Zeitgeist , che è per Raffaele Spada, prendendo a prestito le parole dell'amico filosofo Sergio Vuskovic Rojo «un'esperienza di pittura e di vita», all'interno di un sistema culturale entro cui confluiscono e agiscono insieme tutte le esistenze individuali e le aspirazioni, i desideri della collettività.