Raffaele Spada
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Raffaele Spada

Paolo Protopapa

AFFRESCARE IL CIELO

Nuvole, perché? Quale arcano vieta una lettura innocente di questa recente fatica pittorica di Raffaele Spada? E come essa va collocata nel percorso estetico del pittore salentino?
L'impatto con la tela, in prima istanza eminentemente percettivo ed immediato, ti lascia interdetto e stupito, mirabilmente rapito dalla trama fascinosa dei colori che promanano dalle strutture. In particolare il blu elettrico screziato di lievissimi tocchi celeste-turchese fissa lo sfondo vitale delle architetture ed esalta, per contrasto oppositivo, i fluttuanti atolli aerei soffusi di tenero pastello. Se nuvole sono e non concrezioni materiche (tanto rarefatte e surreali ci appaiono), ebbene esse 'danzano' sopra un mare di luce, sono esse stesse grumi, aggregati e masse di plastica-luce cangiante che aprono a mille polisemici sensi.
Spada, con magici tocchi di pennello nei morbidi ondulati dell'affresco, veste il cielo. Letteralmente: affresca il cielo rinnovandolo nelle sue creature primigenie, le nuvole. Cirri e nembi, ma anche grappoli e festoni di corpi scarnificati (per stare alla connotazione puramente naturalistica) e insieme dinamici, significativamente sinuosi entro uno spazio-ritmo ciclico, rivelatori di un presagio estetico che sembra mimare la platonica «immagine mobile dell'eternità».
Una mobilità circolare del tempo (nient'affatto seriale o lineare), la cui paradossale atemporalità traspare nelle 'figure' avvolgenti poste in alto a sinistra e in basso a destra del quadro. La prima figura in alto a sinistra simula, in un intenso èmpito ecumenico, l'ideale abbraccio ad una dolente umanità reificata (sfidandoci con fantastica potenza ad azzardare un ellittico colonnato berniniano); mentre la seconda figura in basso a destra conclude saldamente l'anello di una redenta e meglio pacificata “social catena”, suggerita nei modi leggeri e vaghi di una danzante coralità matissiana. E qui, in quest'ultima partitura tanto emotivamente allusiva della materia in festa, può venire in mente l'adorniana «promessa di felicità» costituita dall'arte in quanto azione plastica tesa a risarcire l'uomo per l'assenza di valore cosmico ed essenziale causata dalla crisi delle certezze.
In tale ottica la creatività spadiana, che si fa specchio luminescente e poetico dell'incessante ritorno alla vita, modella l'energia primordiale della physis (naturamateria-congerie) assegnandole segno e cifra di kòsmos: ordine armonico che solo un angosciato e catartico lavoro compositivo riesce ad ottenere, così riscattando e vincendo l'informe, ineludibile refrattarietà. La bellezza sinfonica del risultato, cioè la compiutezza formale dell'impresa pittorica che fonde perizia tecnica ed efficacia conoscitiva per immagine, non deve sviarci dal valore per nulla rievocativo (imitativodecorativo) dell'opera. Infatti l'artista leccese trasvalutando mestiere e virtuosismo (che pure sono ingredienti essenziali della sua professione) affonda l'intelligenza creativa nel grembo dell'essere. Sì, proprio laddove germina tutto insieme e sincrono l'Essere, e dalla cui rotonda totalità nulla fuoriesce: perfetta circonferenza universale.
Sergio Vuskovic Rojo bene ha colto questo miracolo poetico costituito dalla luce-vita quale «aura sostanziale che si presenta come una qualità insita nella materia». Con l'icastica formula della Grembart il filosofo cileno ha saputo sintetizzare la matura e dinamica originalità di Raffaele Spada, le cui opere «hanno l'energia del fulmine e la capacità di superare il luogo della mente». Poiché, appunto, nessuna ridondanza estetizzante, anche la più maliosa e accattivante, distrae il nostro pittore dall'intento di fondare eticamente l'urgenza di 'ricreare la vita', cioè di incidere de costruttivamente sulla fisicità dell'universo al fine di catturare il senso archetipico del gènesis, oggi così drammaticamente ipotecato dall'oblio di un'umanità smarrita.
Dunque Affrescare il cielo non è per Raffaele Spada giuoco coloristico o cortigianeria fatuamente alla moda, né tantomeno rammemorazione nostalgica di un protettivo “ventre materno” infantilmente preteso. Al contrario: il dolore-del-ritorno (nòstosalgia) è feconda proiezione nel futuro, ansia mai doma di piegare la brutalità inerte della materia ai valori fondativi dell'ethos, spiando con la commozione virginale dell'arte l'incipit aurorale della forma che avviene. Solo così il fulmine dell'intuizione più ardita riesce a lambire l'oltrepassamento sublime del lògos.
Solo così i confini cristallizzati dell'anima contemporanea, scissa nelle storiche separatezze della modernità, non disperano di ricomporsi nell'unità originaria illanguidita. Ancora una volta la pittura di Raffaele Spada, saldando bellezza e verità, ci dona un insperato attimo di eternità.