Da Il Corriere della Sera - Lunedì, 16 Dicembre 2002
(Dal
sito dell'AND)
Dal metodo napoleonico al sistema delle autonomie
di Giuseppe
Bertagna e Roberto Maragliano
La
matrice dei Programmi, il tradizionale documento che designa i contenuti
dell’insegnamento delle scuole di ogni ordine e grado, è il centralismo
napoleonico. Il ministro francese dell’Istruzione al tempo dell’Impero
napoleonico era orgoglioso di poter rivendicare un controllo così stringente
sui suoi insegnanti da dichiarare che sapeva che cosa stessero spiegando,
in classe, in una determinata giornata dell’anno. I Programmi, insomma,
come strumento di governo e di gestione di un sistema dell’istruzione
votato a farsi portavoce esecutivo di istanze, ideologie, scelte culturali
ed educative decise al centro, di solito da una ristretta élite burocratica
e politica. Sarebbe ingeneroso negare, sul piano storico, la funzione
emancipatrice svolta da questo paradigma nello sviluppo dell’istruzione
e della sua distribuzione universale nel nostro Paese. Al punto che,
anche con i Programmi, l’Italia ha vinto, tra Ottocento e Novecento,
la grande battaglia contro l’analfabetismo, ed è riuscita, nella seconda
metà del Novecento, ad allargare la base sociale della scuola fino ai
più alti livelli dell’istruzione.
Oggi,
questa impostazione, tuttavia, è entrata in crisi su tutti i fronti
che l’hanno a suo tempo promossa e, in qualche modo, anche giustificata.
Il suo primo presupposto era lo statalismo gerarchico e centralistico.
L’aveva escluso, a dire il vero, già la Costituzione formale del 1948.
Per le vischiosità che conosciamo, la Costituzione materiale l’aveva
almeno in parte mantenuto. La riforma del Titolo V della Costituzione
varata nella precedente legislatura, però, ha tolto ogni residuo dubbio:
Repubblica e Stato non coincidono più; la Repubblica è composta da Comuni,
Province, Città metropolitane, Regioni e Stato; la Repubblica è chiamata
non solo a valorizzare l’autonomia degli enti territoriali e delle diverse
componenti della società civile (principio di sussidiarietà), ma anche
a organizzare gli uffici dello Stato sul principio del decentramento
amministrativo.
Il
suo secondo presupposto era la minorità delle scuole. Nella scorsa
legislatura, tuttavia, a maturazione di un processo iniziato anche a
livello giuridico nel 1988, è stata loro per la prima volta riconosciuta
l’autonomia. Le scuole sono diventate, insomma, istituzioni maggiorenni,
alle quali si chiede d’essere capaci di ricerca e sviluppo, e di attuare
scelte libere e responsabili sul piano organizzativo, didattico e finanziario.
Non possono semplicemente applicare disposizioni dettate dall’alto:
devono progettare in termini professionali e territorialmente radicati
percorsi formativi dei cui risultati devono rispondere alle famiglie,
agli studenti e alla società. Con il nuovo Titolo V si è data addirittura
una protezione costituzionale a questo riconoscimento.
Il suo terzo presupposto era il riferimento a un assetto sociale
dei saperi e delle tecniche sostanzialmente stabile. Da tempo, però,
si è preso atto del carattere temporale, dunque relativo e provvisorio,
di ogni forma di disciplinamento delle conoscenze, anche di quella proposta
dagli ordinamenti accademici e dalla ricerca scientifica. Tanto più
ciò appare vero quanto più veloci e travolgenti si sono fatti i processi
di innovazione di qualità e quantità negli assetti sociali dei saperi
e delle tecniche. La definizione di ciò che è essenziale e irrinunciabile
nell’ordinamento culturale della scuola, quella di individuare una base
accettabile di equilibrio nel rapporto fra tradizione culturale, contemporaneità
e proiezione sul futuro, o anche la questione di intrecciare e sviluppare
adeguatamente la scelta del che cosa e la scelta del come far apprendere
a scuola, diventa, perciò, tanto ineludibile quanto difficile e complessa.
In ogni caso, non può più essere affidata soltanto al centro e, nel
caso nostro, al ministero dell’Istruzione. Deve per forza coinvolgere
la ricchezza e la diversità dei soggetti culturali e delle articolazioni
sociali, a partire dalle istituzioni scolastiche.
Ciò significa essenzialmente due cose, tuttora in fieri , e che,
come tutte quelle in via di trasformazione, per un verso stentano ad
assumere una configurazione precisa e per un altro sono materia di conflitto
perenne fra chi, realizzandole o osservandole, spinge verso il cambiamento
e chi verso la conservazione.
La prima ha a che fare con la ricerca di nuove modalità per incidere
sull’azione didattica delle scuole. Ci si confronta fra chi, da una
parte, vorrebbe documenti essenziali e aperti sui contenuti in senso
stretto, accompagnati dall’indicazione delle conoscenze e abilità che
le scuole dovrebbero poi trasformare in competenze personali degli allievi,
e su cui esercitare una valutazione di tipo nazionale; e chi, dall’altra
parte, considera irrinunciabile l’esigenza, da parte della quota di
centro che comunque sussiste dentro qualunque sistema di federalismo
scolastico, di fornire alle scuole soltanto l’insieme dei criteri pedagogici
e contenutistici generali a cui ispirare la loro piena progettazione
autonoma. Nell’ultimo tratto della precedente legislatura si tentò di
stendere «Indirizzi curricolari», attualmente sono in fase di
scrittura «Indicazioni nazionali» per le scuole. In tutti e due
i tentativi, nelle loro parti positive come in quelle più carenti (tra
le quali va denunciata la tendenza a fare anche dei contenuti scolastici
un campo per la battaglia bipolare), c’è l’esigenza che si sviluppino
nuovi linguaggi e nuovi stili, tali da sostenere davvero le scuole nel
necessario affrancamento dalla vecchia logica esecutiva degli adempimenti
formali.
La seconda cosa su cui attirare l’attenzione è che se i documenti
che da qualche anno si sta cercando di redigere non sono Programmi,
nemmeno andranno attuati dalle scuole (prima ancora dagli editori) o
anche interpretati dall’opinione pubblica come Programmi, cioè come
prefigurazioni nette di quel che avverrà nelle classi. A seguire il
gioco delle anticipazioni e delle relative discussioni sui documenti
ministeriali, si è portati a ritenere, tuttavia, che un bel pezzo di
strada dovrà essere ancora percorso, prima che il tema del che cosa
e del come indirizzare l’insegnamento possa essere affrontato con serenità
e disponibilità dalle scuole e dal mondo circostante.
Relazione Bertagna
Lettera Tiriticco |