I nuovi licei: chi ci libera da Gentile?
*Maurizio Tiriticco
Si è svolto a Roma lo scorso 11 ottobre nell'aula magna della Luiss di Roma il convegno "Nuovi licei: l'avventura della conoscenza", organizzato dalla Fondazione per la Scuola, Compagnia di San Paolo. Le relazioni sono state tutte di alto profilo ed ineccepibili per lo spessore culturale: "Novecento ed oltre" (lo storico Walter Barberis); "Il metodo sperimentale e le scienze" (Francesco Cavalli Sforza, figlio di Luigi Luca, genetista di fama internazionale); "Le arti figurative, lingua universale" (Antonio Paolucci, storico dell'arte); "Matematica e innovazione" (il fisico matematico Tommaso Ruggeri); "Pensiero, parola e realtà" (il linguista Gian Luigi Beccarla); "Il mondo: l'apertura internazionale" (l'imprenditore Andrea Pontremoli). Ha introdotto i lavori Anna Maria Poggi, Presidente della Fondazione; li ha conclusi Max Bruschi, consigliere del Ministro Gelmini.
I relatori hanno dato risposte più che puntuali al quesito implicito nel tema dell'incontro: il conoscere come avventura. Una tematica altamente suggestiva che non può non dare adito ad altrettante suggestive argomentazioni. Il tutto, quindi, estremamente ricco e stimolante, però... Ecco il però: la curvatura era assolutamente "gratuita", nel miglior senso della parola! Le medesime relazioni, fatte salve le innovazioni di cui agli ultimi anni, potevano essere svolte tanti anni fa, quando ancora un riordino del sistema di istruzione secondario non era affatto avvertito.
Insomma, il volare alto nel campo della conoscenza è sempre un'ottima impresa, altra cosa, invece, è il volare "basso" nel campo dei concreti apprendimenti e della loro organizzazione in termini di istituzioni scolastiche. Ho quindi avvertito questo profondo iato tra le suggestioni colte della ricerca e la realtà di un riordino del secondo ciclo di istruzione che qualcuno ci rappresenta come una riforma epocale!
Il nodo del mancato riordino è nelle sue stesse definizioni. Nel Regolamento dei licei leggiamo: "I percorsi liceali forniscono allo studente gli strumenti culturali e metodologici per una comprensione approfondita della realtà, affinché egli si ponga, con atteggiamento razionale, creativo, progettuale e critico, di fronte alle situazioni, ai fenomeni e ai problemi, ed acquisisca conoscenze, abilità e competenze coerenti con le capacità e le scelte personali e adeguate al proseguimento degli studi di ordine superiore, all'inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro" (art. 2, c. 2). Nel Regolamento degli istituti tecnici leggiamo che questi si propongono "l'obiettivo di far acquisire agli studenti, in relazione all'esercizio di professioni tecniche, saperi e competenze necessari per un rapido inserimento nel mondo del lavoro e per l'accesso all'università e all'istruzione tecnica superiore" (art. 2, c. 1). Nel Regolamento degli istituti professionali leggiamo che la loro identità "si caratterizza per una solida base di istruzione generale e tecnico-professionale, che consente agli studenti di sviluppare, in una dimensione operativa, saperi e competenze necessari per rispondere alle esigenze formative del settore produttivo di riferimento, considerato nella sua dimensione sistemica per un rapido inserimenti nel mondo del lavoro e per l'accesso all'università e all'istruzione e formazione tecnica superiore" (art. 1, c. 1).
Nulla di nuovo sotto il sole: le canne d'organo tradizionali della nostra istruzione secondaria sono chiaramente replicate, e sempre a scalare: il più, il meno e il meno meno! Dov'è la riforma epocale che avrebbe dovuto offrire ai nostri giovani percorsi senz'altro "diversi", ma non così puntualmente "diversificati"? Dov'è l'eguaglianza dei cittadini nei confronti della cultura o, se si vuole, del diritto all'istruzione? Una "riforma epocale" avrebbe dovuto proporre per tutti in primo luogo obiettivi comuni di alto profilo, e solo in seconda istanza obiettivi differenziati, a seconda della tipologia degli studi. Il fatto è che si ha ancora della cosiddetta cultura una visione verticale, non orizzontale: esiste una cultura alta, per pochi, e poi a scendere una sorta di sottoculture, quella tecnica, quella professionale e poi sempre più giù fino all'"incultura" della semplice e "rozza" manualità, degli esclusi e degli emarginati! Una visione che viene da lontano, sedimentata dalla storia stessa della divisione in classi, se non addirittura - ed in certi Paesi ancora persiste - in caste! Un Paese avanzato, o che si dice tale, non può più ragionare in questi termini né in tali termini costruire il suo sistema di istruzione. Si tratta di quella stratificazione sociale, dal più al meno, che un sistema educativo di istruzione e formazione dovrebbe contrastare, non legittimare. In effetti, i tre percorsi dell'istruzione secondaria, così differenziati, non fanno altro che riprodurre i condizionamenti sociali proposti ed imposti dal sistema socio-economico. E che la scuola possa dare a tutti tutto è sempre l'auspicio dei tanti Comenio, Don Milani, Paulo Freire, Bruner e non so chi!
Non voglio cimentarmi con le utopie! Ma è anche vero che è un impegno costituzionale, poi tradotto nel Regolamento dell'autonomia delle istituzioni scolastiche, quello di garantire il "successo formativo" a tutti i soggetti in apprendimento. E tale successo può essere garantito almeno a due condizioni: a) che le competenze terminali dell'obbligo di istruzione decennale siano raggiunte da tutti gli studenti dei singoli bienni secondari in forza di quella "equivalenza formativa di tutti i percorsi", di cui al dm 139/07; b) che le competenze terminali dei successivi trienni, per quanto riguarda sia l'esercizio della cittadinanza attiva che la dimensione culturale, costituiscano un unicum inscindibile e comune a tutti gli studenti. Non è affatto casuale che di queste due istanze nel convegno non si sia fatta parola! L'impostazione "colta", indubbiamente accattivante e suadente, l'ha fatta da padrona.
Dei tre Regolamenti citati, il primo procede spedito per la sua strada neogentiliana: e non è un caso che il referente normativo a cui attinge è quel dlgs 226/05, con cui il Ministro Moratti aveva disegnato ben otto licei, mandando a carte quarantotto sia l'istruzione tecnica che quella professionale, in forza di una puntuale lettura del novellato Titolo V della Costituzione. Gli altri due Regolamenti hanno il loro referente nella legge 40/07 con cui il Governo Prodi volle restaurare la statalità dell'istruzione tecnica e professionale, pur forzando la lettura del citato Titolo V. Da tali premesse era difficile che nei tre Regolamenti si facesse riferimento a competenze culturali e di cittadinanza comuni a tutti gli studenti, per poi discendere a quelle specifiche e caratterizzanti di ciascuno dei tre percorsi.
Il fatto è che ancora sono in molti ad essere prigionieri, e partecipi, di uno stereotipo: che esista una cultura con la C maiuscola che sia appannaggio di pochi, una palestra in cui si discute e ci si "diverte", si cercano approcci e soluzioni "diverse"; mentre per i più siano sufficienti conoscenze semplicemente acquisite e che siano "utili" in una immediata applicazione lavorativa. Per questi più, come si suol dire, non portati agli studi, non motivati, non vale neanche la pena di sprecarsi troppo: la selezione sociale è quella che è. Purtroppo sono questi molti a fare leggi e regolamenti, e la sfida di una educazione alta per tutti viene costantemente rinviata di decennio in decennio.
Un altro stereotipo è quello che porta a distinguere ancora le cosiddette due culture, quella dei letterati e quella degli scienziati. So bene che nei licei è stata rinforzata l'educazione scientifica, anche se si tratta di un apporto insufficiente a correggere la complessiva scelta neogentiliana. E tutto ciò nonostante la ricerca di Edgar Snow - e siamo negli anni Cinquanta dello scorso secolo - e nonostante quella interessante corrispondenza tra De Mauro e Bernardini che in "Contare e Raccontare" (Laterza, 2003) sostengono e dimostrano che non c'è alcuna differenza tra il sapere matematico e quello letterario. In effetti, tutti i nostri grandi facevano scienza - se si può dir così - a tutto campo. Il nostro Dante sa anche discettare sulla "Questio de aqua et terra" e nel canto secondo del Paradiso affida a Beatrice il compito di teorizzare sulla macchie lunari e sulle influenze astrali. E Leonardo e Galilei e Vico erano al tempo stesso letterati e scienziati. Contavano e raccontavano indifferentemente e non sapevano affatto di essere partecipi di due culture, proprio perché sono la curiosità e l'indagine che ti conducono sulla strada in cui il contare e il raccontare sono aspetti diversi ma inscindibili del medesimo spirito ricercatore.
Un'ultima considerazione riguarda il divario che corre tra il Regolamento dei licei e le Indicazioni nazionali a proposito di ciò che riguarda le competenze: nel Regolamento sono puntualmente richiamate, forse in omaggio ai tempi nuovi o al fatto che le suggestioni dell'Unione europea vanno in questa direzione; ma nella esposizione argomentativa delle Indicazioni si disperdono e non vengono definite e puntualmente descritte, come invece ci si aspetterebbe. Forse perché le competenze sono quelle del fare materiale, non quelle del fare poesia o ragionamento. Anche su questa tematica al convegno non si è fatta parola e forse non è neanche un caso che i relatori abbiano sempre accennato a nuovi Programmi più che a Indicazioni che nulla hanno a che fare - o dovrebbero - con i Programmi di un tempo. Il fatto è, a mio vedere, che... la cultura è cultura... se la canta e se la suona, e la scuola è sempre un qualcosa che riguarda gli insegnanti! A questi tocca insegnare le materie, agli ordinari universitari ricercare... per discipline! E soprattutto rendere interessanti i convegni!
*Articolo pubblicato su education2.0
Torna a Riforme
|