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Il libretto delle "indicazioni" ai docenti. E ora che dire?

 

Le scuole dell'infanzia, primarie e secondarie di I grado hanno ricevuto l'aureo libretto grigio delle Indicazioni e sono invitate a sperimentare l'insegnamento secondo una bozza redatta da una commissione presieduta da Mauro Ceruti e Italo Fiorin. Il documento proposto dal MPI e approvato per la parte generale dal CNPI si propone come la prima pietra di un "cantiere" che andrà avanti un paio d'anni, anche se ha lo stile e la consistenza di un documento definitivo; fosse davvero solo un documento di partenza avrebbe dovuto essere più breve e dai toni maggiormente problematizzanti. Anche per questo occorrerà lavorare molto per farne una credibile traccia culturale e pedagogica.

Manifesto alcune mie considerazioni nell'intento sia di ridurre il possibile danno che di aiutare a cogliere le possibilità che il documento offre, anche in vista della prosecuzione del lavoro che il CNPI dovrà affrontare nei prossimi mesi.



Ricomparsa in un documento ufficiale di una forma di pensiero



Dal lavoro di una commissione composta anche di persone di elevato prestigio era emerso nell'aprile 07 uno scritto non particolarmente innovativo ma che nella sua parte generale autorizzava la supposizione che nell'indirizzo politico-culturale della scuola italiana finalmente tornasse ad agire dopo quasi un secolo (riferimento: 1923), avendo baluginato nel 2004, una forma di vita intelligente, un pensiero pensante.

Come si è positivamente espressa tale forma di pensiero? Principalmente attraverso l'additamento dell'unità del soggetto e dell' unità/pluralità della cultura, dell'unità del sapere sulle frammentazioni microdisciplinari, della persona sulla banalità del Mercato, del Maestro sul sistema. Richiami di grande importanza e di particolare necessità nell'attuale momento storico. Nella prima versione (quella citata dell' aprile 2007) vi era anche una chiara indicazione del primato della cultura sullo spezzatino didattico (leggi programmazione) e soprattutto del primato del conoscere sulle competenze, poi di fatto rovesciata dalle truppe chiamate a intervenire successivamente e che hanno operato una grave banalizzazione del documento originario.

Occorre ora che le scuole -cui è affidato il compito di irrobustire le Indicazioni- rivendichino con forza alcuni punti essenziali oscurati dai paragrafi su campi di esperienze (parte davvero mal riuscita) e discipline: come siamo a un momento di vera e propria mutazione culturale, nonché di uscita dalla lunga crisi della cultura e della scienza che dura dalla compressione degli anni Quaranta. Alle soglie di un nuovo inizio. Dunque si dovranno essere gli uomini di scuola a farsi disegnatori di un quadro epistemologico fondazionale ed emozionalmente sostenuto, di una lettura anche "mitica" della contemporaneità capace appassionare e invitare al convito del pensiero (Spivak, Slosternijk).





Evitare l'insabbiamento nel pensiero amministrante (competenze, obiettivi) e selezionante (traguardi)




Si può comunque riconoscere la validità della Bozza (speriamo sia davvero tale) di Indicazioni come semplice premessa a un dibattito da cui possano lentamente emergere le future linee programmatiche della scuola italiana. Certo, le parti specifiche e soprattutto quelle riferite ai campi di esperienza e alle discipline appaiono per ora piuttosto povere di idee e ricche di superfluo o di dannoso: sopravvivono o soprammuoino alla caduta della programmazione gli obiettivi ed emergono dalle rovine i terribili Traguardi, frutto di una ristrutturazione degli insegnamenti funzionale solo alla verificabilità docimologica. Dopo l'iniziale colpo d'ala del documento di Aprile, si sta dunque profilando il risucchio nelle correnti discendenti del pensiero amministrante, volto a una scuola che mira solo a far acquisire a basso prezzo per il sistema competenze misurabili. Di qui i "traguardi" figure di cui nella scuola nessuno avvertiva il bisogno.

Fissare traguardi vuol dire prevedere che qualcuno arrivi prima, altri dopo e qualcuno non vi arrivi mai. E' forse pratica utile per sviluppare gli hobbesiani e smithiani "spiriti animali", per preparare i ragazzi alla grande corsa alla sopravvivenza e al successo che essi dovranno affrontare nella jungla che li aspetta; educano gli insegnanti a privilegiare i risultati sui principi, la prestazione sulla relazione.

Il concetto di "traguardo di sviluppo di competenze", di sapore aziendal-efficientista, sorta di linea "oggettiva" e oggettivante che pone necessariamente qualcuno prima o dopo una linea generale, non appare adeguato a rappresentare le finalità cui indirizzare il processo progettuale dei primi ordini di scuola. In sommo luogo poichè la scuola è essenzialmente vocata a far che il soggetto realizzi se stesso (e si diverta) nell'atto del puro conoscere, qui invece assolutamente disatteso forse perché non misurabile e certificabile.



Quel che ci vuole e che possiamo costruire



Nella scuola il bisogno essenziale cui corrispondere era ed è invece quello di incontrarsi con volti che facciano cenno a prospettive di senso, invitino alla mensa del sapere. Ciò di cui vi sarebbe bisogno e che noi tutti possiamo costruire è una scuola di base che, fondata sulla tradizione e attenta al futuro (anzi: luogo di formazione dello stesso) sia spazio di interpretazione e produzione culturale; che non produca tanto competenze nel fare, ma introduca primariamente al sentire e al conoscere, al pensiero critico e creativo.

Più che "Traguardi di sviluppo della competenza" è necessario indicare le direzioni cui s'intende volgere il senso dell' azione pedagogica e didattica. Linee che primariamente indirizzeranno al conoscere -da tremila anni finalità essenziale di tutta la scuola- e solo secondariamente alle competenze, che tra l'altro senza le prime costituiscono una forma di pensare/agire insensato. Proporrei dunque, cambiando naturalmente anche la scrittura del contenuto, la dizione: "Direzioni di sviluppo del conoscere".



Campi di esperienza e nuova disciplinarità



Una costellazione di finalità per le scuole si può disegnare come visione dell'insieme, annuncio e additamento di scenari di conoscenza e saggezza che vengono dall'aver una terra e dall'accingersi ad attraversarne altre; ogni programma o quasi-programma costituisce un piano di viaggio nel mondo. Richiede a noi, suoi costruttori ulteriori, un impegno personale discreto di studio, di presenza e di testimonianza, una ricerca disinteressata (onestamente interessata), critica, emancipativa, una volontà di realizzare un laboratorio di produzione di significati e di sintesi disciplinari.

Una buona costellazione di indicazioni come quella che le scuole si apprestano a delineare cerca di dar forza a un pensiero pensante (incessante, non prefabbricato, non tassonomico, che rifiuta la "cementificazione" come fatto ma si vuole sempre in atto, in-finito.

Le discipline, a partire da quelle linguistiche (e in particolare il latino, la vera "luce occidentale" che sognerei vedere insegnata anche dalle cattedre della scuola secondaria di I grado), formano in quanto offrono consuetudini di approccio affinché il venire a evidenza dei fenomeni fisici e culturali lasci tracce attive nella coscienza del soggetto, divenga storia sua. Un additare l'evidenza che inviti all'apertura, into-duca non tanto alla conoscenza quanto al conoscere, non tanto allo stato quanto al senso, metta in moto nelle direzioni verso cui l'intelligenza del soggetto in sintonia/dissintonia con la realtà delle discipline, è vocata a trascendersi.

L'identità della scuola tutta non può che essere disegnata sulla linea di incontro tra la cultura, l'esperienza (intesa come l'esser dentro, il passare attraverso), il gioco e l' assoluta apertura propria dell'infanzia. L'esperienza pone in evidenza l'attività del soggetto; è il vissuto di un soggetto intero che conosce con passione.

L'esperienza educativa autentica è orientata a mete ma non ha traguardi; si può, dalla scuola dell'infanzia all'università, articolare in campi, ossia in territori che si formano per l'atto del loro attraversamento da parte di un soggetto e del suo porre/porsi delle domande. E' il soggetto che elabora il suo sapere e i saperi preesistenti non saranno più gli stessi.

Il campo di esperienza si attraversa con l'esperire che muove dall'azione per pervenire ad una riorganizzazione del vissuto sul piano simbolico. L'esperienza viene vissuta direttamente da ciascuno; poi è costruita attraverso i sistemi simbolici messi a disposizione dalla cultura e diviene disciplina. Ogni autentica conoscenza di campo è "transformativa" dei significati originari, ma anche generatrice di significati nuovi e importanti.

L'esperienza pedagogica vuol essere unitaria; ogni campo di esperienza/disciplina è contesto da cui muovere per acquisire conoscenza dell'insieme. Si parte da questo e a questo si ritorna in forme più ricche e articolate introducendo ordini di tipo culturale per poi procedere ancora a ricomporre l'insieme.



Tesi sulla costituzione disciplinare



E' auspicabile una integrazione/distinzione tra il soggetto e gli eventi di cui partecipa e degli eventi tra loro secondo le tradizioni interpretative storicamente formate (discipline come analisi). Ma il senso dovrebbe mantenersi unitario e additare la totalità, situarsi nella costituzione intellettuale dell' unità tra soggetto e mondo e tra i vari profili delle visioni del mondo.



La disciplina, in quel tardomoderno della didattica che ispira la parte operativa delle Indicazioni oggetto sincrono e ed epistemicamente confuso con il campo di eventi trattato, non mostri ma racconti e additi, indichi qualcosa che non sta al suo interno, che non le appartiene. Offra per questo consuetudini di approccio affinché il venire a evidenza dei fenomeni non sia vano e lasci tracce attive nella coscienza del soggetto, divenga storia sua.



La conoscenza é indivisibile, è articolazione della visione del mondo non smontabile in obiettivi ovvero in frammenti posti come dotati di significato. Lo è invece la competenza, unica forma di cultura buona per le masse destinate al lavoro servile (quasi tutto): quel che conta è in questa prospettiva il saper fare una certa cosa secondo gli standard e i traguardi produttivi dell'officina tardomoderna e possibilmente senza conoscere la radice e il senso di quel che si fa.



Un curriculum (non "curricolo" come, con involontario umorismo, si scrive nel documento) contrariamente alla pedagogia del non-pensiero, non è una manovra informatizzata, non é un piano lineare di percorrimento di un pre-pensato.. E' un movimento incerto, solo probabilisticamente prevedibile, animato da tensori interni al soggetto e al suo ambiente e si attua come percorso esistenziale che porta alla consapevolezza della prossimità a molteplici radici degli eventi, allocabili nella pluralità degli spazi e dei tempi e prima ignote al soggetto.



Esistono per chi insegna, e comunque continueranno ad agire, indicazioni perenni che vengono da tremila anni di pensiero occidentale: ricordare e annunciare, avviare all'atto puro del conoscere, attuare una didattica correlata all'intero del mondo-della-vita e consapevole dell'incertezza ma anche della fondazionalità delle conoscenze e della irrilevanza (nella scuola non professionale) delle competenze, che sappia giocare con le polisemie e i processi di generazione dei significati. Senza ossessioni per i risultati e i traguardi: la scuola non è tanto il luogo dell'Esito ma, fin dai suoi esordi in terra di Grecia, del Principio. La scuola è -e comunque resterà sempre- il mondo che comincia.



Gabriele Boselli




Bibliografia



Ceruti, M. La danza che crea, Milano, Feltrinelli, 1999

Ceruti, M. Il vincolo e la possibilità, Milano, Feltrinelli, 2000

Mortari, L. Aver cura della vita della mente, La Nuova Italia, Scandicci, 2002

Bertolini, P. (a cura di) Per un lessico di pedagogia fenomenologica, Erikson, Trento, 2006

Boselli, G. Non-pensiero. Scenari e volti per un'educazione al pensare venturo, in uscita a novembre 2007 presso Erikson, Trento


 

dal sito scuolaoggi.org: http://www.scuolaoggi.org/index.php?action=detail&artid=3418

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