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" Manifesto dei 500"

Insegnanti e genitori per il ritiro della riforma dei cicli e la difesa della scuola pubblica

 

e.mail: manifestodei500@email.it sito Internet : http://manifesto500.altervista.org contatti : 340/2932826 - 335/5860759

 

Lettera Aperta (2) ai membri della commissione ministeriale incaricata di "rivedere" le Indicazioni Nazionali

 

 

Gent.mo prof. Mauro Ceruti,

gent.mi membri della commissione,

vi scriviamo per la seconda volta dopo che la vostra commissione ha pubblicato due documenti ufficiali. Questi documenti, lungi dal rappresentare una risposta ai problemi che ponevamo, ci inducono ad approfondire.

Nella nostra prima lettera esprimevamo innanzitutto la preoccupazione a proposito dell'abbassamento culturale e dello smembramento del sistema che sta emergendo. Come tutto il movimento di questi anni ha chiaramente espresso, il ripristino dei Programmi Nazionali avrebbe il significato chiaro e netto di difendere il diritto di tutti i cittadini, sancito nella nostra Costituzione come un dovere dello Stato, ad accedere ad una formazione tendenzialmente uguale, atta a rimuovere le differenze economiche, sociali, culturali etc. che possono costituire un ostacolo alla piena partecipazione alla vita del Paese e alla realizzazione della persona.

La questione di fondo è dunque la seguente: i vostri documenti vanno in questa direzione?

 

Un'"identità culturale" per ogni scuola?

 

Nel documento "Il curricolo nella scuola dell'Autonomia" scrivete: "Con il riconoscimento dell'autonomia alle istituzione scolastiche il posto che era dei programmi nazionali viene preso dal POF che, come affermato nella normativa vigente, è "il documento fondamentale costitutivo dell'identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche" .

Voi rivendicate dunque che ogni scuola possa, anzi debba, avere addirittura un' "identità culturale" differente e dite esplicitamente che i programmi saranno diversi da scuola a scuola.

Le parole hanno un peso: un'identità culturale differente vuol dire qualcosa di molto grave.

Ricordiamo innanzitutto che nemmeno la Repubblica italiana si fonda su un'"identità culturale".

L'identità culturale della Repubblica è la promozione della cultura (art. 9) e il rispetto della sua libertà e di quella d'insegnamento (art. 33). La Repubblica non dunque è indifferente o neutrale nei confronti della cultura, ma non s'identifica in nessuna cultura.

La scuola pubblica non può quindi definire, né imporre, alcuna "identità" culturale, che è lasciata alla libertà dei singoli, siano essi insegnanti o alunni. Viceversa, la scuola della Repubblica dovrebbe imporre a tutte le scuole un "territorio" culturale comune (cosa ben diversa dalla "identità") scelto sulla base di una domanda: che cosa è utile oggi, per tutti i cittadini, per metterli sulla stessa base di partenza e dare a tutti le stesse possibilità (art. 3 della Costituzione)?

Per contro, è nella scuola privata che le "identità" culturali vengono definite a priori, selezionando gli insegnanti sulla base di opinioni politiche, religiose, pedagogiche... e gli allievi e le famiglie si regolano di conseguenza. State dunque delineando una scuola non solo frantumata, ma persino di diritto privato?

Potreste risponderci che oggi la scuola pubblica comprende sia quella statale che quella privata (paritaria), tutte soggette all'art. 3 dell'Autonomia grazie alla legge di Parità...

Ma dire questo vuol dire riconoscere che le due leggi (Autonomia e Parità) non sono altro che strumenti per trasformare la scuole pubbliche in private e le private in pubbliche!

Si cade "dalla padella alla brace": è in questa direzione che si muovono il vostro lavoro e le leggi in questione?

Più avanti precisate: " Indicare i processi di alfabetizzazione culturale comuni all'intero sistema scolastico italiano (...) è compito del centro, cui compete di stabilire i principali assi culturali del curricolo, le discipline che ad essi si riferiscono, le competenze da sviluppare. Spetta poi ad ogni istituzione scolastica meglio specificare gli obiettivi da raggiungere".

Non comprendiamo: se ci saranno "obiettivi da raggiungere" diversi da scuola a scuola, come potrà esserci un territorio culturale comune a tutti?

 

Le "identità culturali" messe ai voti? Dove porta la vostra strada?

 

Per attaccare i principi della scuola pubblica la Moratti, si sa, aveva dichiarato guerra ai Programmi Nazionali e per farlo aveva cercato di accattivarsi quegli insegnanti che trovano comprensibilmente ingiuste le indicazioni pedagogiche o ideologiche in essi presenti.

Anche voi ammiccate nello stesso modo: "Il programma descrive una lista di obiettivi definiti centralmente ed a prescindere da ogni riferimento alle realtà locali. Ad essi il docente deve riferirsi ed applicarli nel suo insegnamento. (...) Agli insegnanti si chiedeva di essere buoni esecutori di un testo elaborato altrove".

Nella nostra prima lettera citavamo un passaggio dei programmi nazionali dell'85 per la scuola elementare: "E' opportuno che il fanciullo nel quinquennio della scuola elementare pervenga ad una visione sufficientemente articolata dei momenti significativi della storia connettendoli in un quadro cronologico a maglie larghe. In particolare saranno oggetto di approfondimento i fatti, gli avvenimenti, i personaggi che hanno contribuito a determinare le caratteristiche civili, culturali, economiche sociali, politiche e religiose della storia d'Italia, con specifico riferimento al processo che ha condotto alla realizzazione dell'unità nazionale, nonché delle conquiste della libertà e della democrazia". Potremmo scegliere molte altre citazioni simili.

Con centinaia di migliaia di persone che hanno preso posizione per il ripristino dei Programmi dell'85 vi chiediamo una risposta: in che cosa questi passaggi sarebbero "costrittivi"? In che cosa si chiederebbe agli insegnanti di "essere buoni esecutori di un testo?" . In che cosa non rappresentano proprio quel territorio culturale comune all'interno del quale si esercita la libertà di insegnamento?

Viceversa voi scrivete che nella logica delle Indicazioni Nazionali trovano ascolto le "culture" locali, e le "specifiche esigenze delle famiglie e del territorio". Inoltre scrivete che le scuole definiranno queste "culture".

Le scuole, vi chiediamo? Questo significa che programmi e "curricoli" verranno votati nei collegi docenti e nei consigli di istituto... Si tratta quindi di mettere ai voti le "identità culturali"? Si tratta di sottoporle alle pressioni dei dirigenti e di coloro che sanno imporsi? E quale fine riservate alle "identità" che perdono? Si "rifaranno" alla prossima occasione? E' questa l'idea di democrazia che coltivate, un misto di campionato calcistico e di imposizione dogmatica di qualcuno su altri?

Voi scrivete persino che "...la professionalità è dunque fortemente valorizzata e responsabilizzata poiché la comunità professionale è chiamata ad assumersi... una peculiare idea di scuola".

Solleviamo il velo di fumo: vi rendete conto di quello che scrivete?

Molti insegnanti potrebbero quindi essere costretti a chiedere il trasferimento perché la loro scuola adotta un POF con una "peculiare idea di scuola" differente dai loro pensieri?

Volete scuole con indirizzi pedagogici diversi, o anche scuole di cattolici, altre di islamici...?

 

Programmi sulla base delle "risorse disponibili"?

 

Scrivete poi che i curricoli definiti scuola per scuola dovranno basarsi "sulle risorse disponibili".

Pensiamo che voi conosciate bene la situazione delle scuole: sempre meno insegnanti, tagli di fondi sempre più preoccupanti, mancanza di fondi per le supplenze, classi intasate di alunni, mancanza di insegnanti per i portatori di handicap, chiusura dei laboratori di recupero, abolizione delle compresenze...

In questa situazione la vostra proposta non può che portare a due strade: o le famiglie verseranno contributi sempre più importanti, quelle che potranno permetterselo, oppure molte scuole abbasseranno il livello dei programmi per adeguarsi alle "risorse disponibili" !

E' per questo che è stato scritto l'art. 3 dell'Autonomia, per giustificare il disimpegno dello Stato e la sua inadempienza? Per giustificare il fatto che una scuola insegni a leggere e scrivere in prima elementare e un'altra in seconda perché non ha "risorse disponibili" (vedere oltre)?

Certo non vi sarà sfuggito che mentre voi scrivete queste cose il Parlamento vara le legge Bersani che decreta proprio la possibilità per le scuole (con famiglie di un certo tipo) di cercarsi finanziamenti privati...

E' un fatto: i vostri documenti e i vostri principi vanno esattamente in questo verso.

 

Le "competenze" al centro?

 

A tutto ciò si collega un altro aspetto che ci ha molto preoccupato nei vostri documenti: la sostituzione della centralità delle conoscenze con le "competenze".

Ci stupisce che il ministro e voi stessi scriviate belle parole sul fatto che lo Stato non può assumere alcuna pedagogia e poi voi stessi imponiate proprio una pedagogia precisa, quella delle "competenze". Sulla pedagogia delle "competenze" esiste un normale dibattito pedagogico, più che legittimo, ma una cosa è certa: imporre questa pedagogia è contrario all'art. 33 della Costituzione.

Che cosa significa poi che le competenze e il "saper fare" saranno al centro, al posto delle conoscenze?

Voi stessi definite in questo modo la questione: "La nozione di competenza include componenti cognitive ma anche componenti motivazionali, etiche, sociali, risultati di apprendimento, sistemi di valori e credenze, abitudini e altre caratteristiche psicologiche. Mentre il concetto di competenza si riferisce alla capacità di far fronte a richieste di un elevato livello di complessità e comporta sistemi di azione complessi, il termine conoscenze è riferito ai fatti o alle idee acquisiti attraverso lo studio, la ricerca, l'osservazione, l'esperienza e designa un'insieme di informazioni che sono state comprese. Il termine abilità (il saper fare) viene usato per designare le capacità di utilizzare le proprie conoscenze in modo relativamente agevole per l'esecuzione di compiti semplici".

Significa dunque che la scuola si trasforma in un luogo dove si impara ad "eseguire compiti" e "far fronte a richieste" , piuttosto che ad acquisire strumenti e conoscenze per poi decidere, liberamente, come utilizzarli? Significa che si va verso una formazione di un alunno-ragazzo "esecutore", che sa fare una serie di cose, "scientificamente" misurabili? La scuola dovrebbe quindi trasmettere e misurare "competenze" " etiche, sociali", di fede (" credenze" ), "di abitudini", persino "caratteristiche psicologiche" ?

E di quale "etica" parlate, se la scuola decide in proprio, per il ragazzo, sulla sua testa, quali "obiettivi" perseguire?

Che cosa vuol poi dire "essere competenti" o "abili" in storia? O in geografia? O in letteratura?

Ribadiamo una domanda: vorrebbe forse dire che le Indicazioni Nazionali si limiterebbero a indicare la "competenza" di saper "decifrare una fonte", di "selezionare un contenuto", di "ricercare dei dati"...? Oppure, in geografia, di "orientarsi su una carta" o di "collocare luoghi nello spazio"?

Ad ogni scuola verrebbe poi assegnato il compito di definire come acquisire queste "competenze", chi su un solo argomento, chi su dieci, su cento, chi per un periodo, chi per tutta la cronologia?

Pensare ad una babele culturale più alta è certo difficile!

 

Partire anche dagli "indirizzi" Berlinguer-De Mauro? Parliamone...

 

Non è un caso che nel vostro documento, per la prima volta dopo molti anni, si faccia riferimento agli "indirizzi curricolari" della "riforma" Berlinguer-De Mauro, mai entrata in vigore.

Non solo: nella prima pagina mettete sullo stesso piano "riformatore" le indicazioni della Moratti e gli indirizzi Berlinguer-De Mauro, riconoscendo, voi, una continuità del processo.

Anche se è passato del tempo, conosciamo bene questi "indirizzi" Berlinguer-De Mauro e vorremmo ricordare a tutti alcuni passaggi.

Per esempio ricordiamo che l'obiettivo di leggere e scrivere passava dalla classe prima alla "prima e seconda" ; ricordiamo che alla fine della settima classe (le legge accorpava elementari e medie tagliando un anno) si prevedeva solo una "parziale autonomia nella gestione del processo di scrittura", mentre veniva eliminato lo studio delle principali strutture sintattiche; ricordiamo che veniva abrogato ogni riferimento a "testi di alto valore letterario" e alle "opere di fondamentale importanza per la nostra lingua" (come era invece nei programmi); ricordiamo che in matematica spariva dai primi cinque anni l'avvio ai numeri decimali (ognuno era libero di farlo o meno), spariva l'insegnamento delle proprietà delle operazioni, veniva banalizzato lo studio delle frazioni (ridotto a "comprendere il significato delle frazioni" ), sparivano le espressioni alle medie, sparivano le semplici equazioni...; ricordiamo che in storia lo studio vero e proprio cominciava persino in quinta, al termine della quale non si arrivava nemmeno ai Greci (peggio della Moratti)! Per la settima (dopo la quale si andava alle superiori!) non si prevedeva nemmeno lo studio degli ultimi due secoli, ma si parlava invece di "formazione degli Stati regionali italiani" , mentre si cancellava l'Unità d'Italia! In geografia, poi, spariva del tutto ogni riferimento allo studio sistematico dell'Italia, dell'Europa e del mondo e ognuno avrebbe potuto fare quello che voleva: è questa la strada che si vuole riproporre con i curricoli scuola per scuola?

E' a queste "competenze" generiche che vi riferite?

In una scuola in cui arrivano bambini da ogni parte del mondo e in cui i bambini, tutti, sono confrontati con una realtà sempre più planetaria, vi rifiuterete di ripristinare la storia del colonialismo e delle lotte per l'indipendenza, oppure l'influenza della storia araba o di altri popoli sulla nostra cultura, o, ancora, della geografia dell'Europa, dell'Africa, dell'Asia?

Lo ribadiamo: come si può parlare di multiculturalismo e non affrontare la Rivoluzione francese con i suoi principi di "égalité, fraternité, liberté", oppure le lotte per la liberazione dal fascismo e dal nazismo?

 

Gent.mo prof. Mario Ceruti,

gent.mi membri della commissione,

noi non comprendiamo davvero un tale accanimento contro i Programmi Nazionali e un tale rifiuto ostinato a ripristinarli. Vediamo che vi impegnate a tranquillizzarci dicendo che i principi saranno definiti centralmente, ma di quali principi parlate? Gli unici che noi conosciamo sono quelli della Costituzione italiana, l'uguaglianza dei diritti, l'impegno dello Stato per garantirli e la libertà d'insegnamento. Tali principi trovano la loro espressione nei Programmi Nazionali, compreso l'ultimo - la libertà d'insegnamento -, che non può essere né sottoposta ad un voto (vi ricordiamo che le libertà sono individuali e non "collegiali"), né prescindere dal rispetto di un territorio culturale uguale per tutti. Per quale motivo continuate su questo vicolo cieco sempre più evidente e non siete ancora giunti all'unica conclusione logica, e cioè ripristinare i Programmi Nazionali?

Da parte nostra lo ribadiamo: è questa l'unica soluzione per evitare tutte le contraddizioni che il vostro lavoro sta mettendo a nudo di fronte al Paese. Se poi i programmi andranno rivisti, anche per eliminare le ingerenze pedagogiche e ideologiche, si avrà tempo di aprire un serio dibattito.

Ma per rimediare ai danni dell'ultimo periodo è necessario prima di tutto un provvedimento urgente di ripristino della situazione precedente.

E' questo, lo ribadiamo, che attendono tutti coloro che si sono mobilitati e un anno fa avevano votato il nuovo governo per rimediare ai danni di questi anni.

 

Gli insegnanti e i genitori del gruppo organizzativo del "Manifesto dei 500", 25 aprile 2007

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