Delle capacità, della personalizzazione
ed altro ancora…
(in margine alle “nuove” Raccomandazioni ) Capacità e meritiHo
sempre guardato con sospetto – e l’ho detto e l’ho scritto
– a quel comma 2 dell’articolo 34 della Costituzione in cui
si afferma che “i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi,
hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”.
Il sospetto deriva dal fatto che non esistono capaci e meritevoli in assoluto,
“per nascita”, potremmo dire! Ed è anche vero che la
privazione di mezzi non favorisce certamente lo sviluppo di capacità
e di meriti. Non possiamo, tuttavia, imputare ai nostri padri costituzionalisti
conoscenze che allora – dopo il fascismo, la guerra, l’isolamento
dalla comunità scientifica internazionale – non erano ancora
maturate né nella nostra ricerca psicopedagogia né, tanto
meno, nel senso comune.
Basti pensare che l’attualismo gentiliano e la conseguente sottovalutazione
della pedagogia – considerata solo sotto il profilo strumentale
per la formazione dei maestri, o meglio delle maestre! – avevano
di fatto reso impossibile, ad esempio, che un Dewey fosse conosciuto nel
nostro Paese! Democrazia e educazione, apparso negli Stati Uniti nel 1916,
fu pubblicato in Italia solo nel 1946 per i tipi della Nuova Italia! Ed
è noto che era stato Dewey agli inizi del Novecento a comprendere
quanto sia essenziale, ai fini di una efficace politica per la scuola,
cogliere tutti i nessi che corrono tra educazione e società. Indubbiamente
non fu solo in questa intuizione, anche perché tutta una certa
sociologia (Durkheim, ad esempio) si era mossa in Europa in una direzione
di questo tipo.
Ora di certo sappiamo che individui capaci e meritevoli non nascono in
quanto tali ma che lo diventano, in forza dei condizionamenti positivi
ai quali hanno in sorta di essere esposti! E la sorte non è il
caso, bensì il milieu socioeconomico e culturale da cui l’individuo
proviene!Capacità
come potenzialità naturali?E
ciò è ormai cosa nota! Ma proprio a tutti? A me sembra che
una sorta di naturalismo deterministico, o di innatismo, se si vuole,
faccia sempre parte della cultura che ispira le iniziative del Miur! E
ciò emerge dalla riscrittura che è stata recentemente fatta
delle Raccomandazioni per la scuola primaria: una riscrittura che non
ha affatto tenuto conto di tutte le critiche che sono state mosse fin
dai tempi della sceneggiata degli Stati Generali!
Ma andiamo con ordine! A pag. 11 del “nuovo” documento del
Miur leggiamo che “per capacità si intende una potenzialità
e una propensione dell’essere umano, nel nostro caso dell’allievo,
a fare, pensare, agire in un certo modo”, che “le competenze
sono l’insieme delle buone capacità potenziali di ciascuno
portate al miglior compimento nelle particolari situazioni date”
e che “le capacità personali diventano competenze personali
grazie all’insieme degli interventi educativi promossi da tutte
le istituzioni educative formali, non formale e informali”. E poi
figura un grafico illustrativo della “Educazione personale”,
assai eloquente circa il pensiero degli estensori del Miur: le capacità
figurano sotto il riquadro della natura, le conoscenze e le abilità
sotto quello della cultura, ed infine, sotto il riquadro della vita, figurano
le competenze. Non voglio leggere meccanicisticamente il grafico, e le
freccette che legano i riquadri ne evidenziano i movimenti che li legano,
però…
Il fatto è che le capacità intese come potenzialità
naturali costituiscono una visione non corretta in ordine alla attuale
ricerca psicopedagogica: l’entelechia aristotelica non ci aiuta
più a comprendere i fenomeni della crescita/sviluppo e dell’apprendimento
di un nuovo nato nonché del suo inserimento/integrazione in un
dato assetto sociale! Non esistono capacità in astratto che attendano
solo di essere illuminate da non si sa quali sollecitazioni! Semmai esiste
un codice genetico che è tipico dell’uomo (altri viventi
dispongono di altri Dna!) che, nel rapporto dialettico tra filogenesi
ed ontogenesi, “individua” e “differenzia” un
essere umano dall’altro! Ed è fin dal momento del concepimento
che entrano in gioco miliardi di stimoli/risposte (senza nulla concedere
al comportamentismo) in cui natura e cultura interagiscono così
strettamente che è assai difficile individuarne ambiti, limiti
e confini.
Alla luce di queste constatazioni, le capacità non costituiscono
un dato genetico, ma un complesso insieme di esiti sempre crescenti, ed
in misura maggiore o minore, che si sviluppano lungo un percorso di continui
adattamenti e assimilazioni che il nuovo nato realizza giorno dopo giorno,
minuto dopo minuto. Le capacità quindi non sono, ma sono costruite
e con fatica dal nuovo nato. Se il contesto socioambientale – e
naturale anche (il cibo, l’alimentazione, il clima non sono affatto
fattori da poco!) – gli è favorevole, le capacità
si maturano, si esprimono, e nascono attitudini, atteggiamenti, disponibilità,
curiosità, e tutti quei tratti che caratterizzano una personalità
in fieri. Ma se il contesto è povero di stimoli, o ne fornisce
solo di negativi, il nuovo nato è pressoché condannato ad
una deprivazione che difficilmente potrà essere sanata.
Nelle Raccomandazioni leggiamo che “nella scuola le capacità
personali degli allievi (capacità intellettuali, emotive, espressive,
estetiche, operative, motorie, sociali, morali, spirituali, religiose),
grazie alla mediazione intenzionalmente organizzata delle conoscenze e
delle abilità (della “cultura”), diventano competenze
personali attraverso l’adozione di tre principali strategie formative
declinate in ambienti di apprendimento basati sui rapporti docente-allievo,
docente-gruppo classe o docente-gruppi di classe/interclasse di livello,
di compito ed elettivi”(pag. 13).
Si tratta di una rappresentazione assolutamente ideale! Ci vengono proposti
allievi già capaci ed insegnanti il cui solo compito sarebbe quello
della maieutica socratica! Se così fosse, tutti i nuovi nati sarebbero
capaci ed anche meritevoli! Solo per il fatto di essere… nati! Ma
non è affatto così!
Se, allora, esistono degli incapaci e dei non meritevoli, è segno
che capacità – e meriti – vanno sollecitate perché
il nuovo nato le possa costruire: e sollecitate, per di più, dal
momento stesso del concepimento. E il ruolo della madre e del nucleo primario
di appartenenza è fondamentale perché i bambini, quando
giungono alla scuola dell’infanzia, possano dimostrare di avere
già costruito i primi paradigmi delle capacità!Le
capacità nella Legge 425/97E’
doveroso ricordare che, sul terreno delle capacità, si era già
compiuto un passo in avanti in occasione del varo della Legge 425/97,
con cui si è riformato l’esame di maturità. Nella
legge si prescrive che il rilascio e il contenuto delle certificazioni
finali “sono ridisciplinati in armonia con le nuove disposizioni,
al fine di dare trasparenza alle competenze, conoscenze e capacità
acquisite” dallo studente ed accertate dalla commissione d’esame.
E nel Regolamento applicativo della legge, il DPR 323/98, tale prescrizione
viene così descritta: “L’analisi e la verifica di ciascun
candidato tendono ad accertare le conoscenze generali e specifiche, le
competenze in quanto possesso di abilità, anche di carattere applicativo,
e le capacità elaborative logiche e critiche acquisite.
Il discorso è chiaro. Al di là di ogni psicologismo di maniera,
le capacità non sono date, ma vanno anch’esse acquisite,
come le conoscenze e come le competenze. Il referente teorico che giustifica
la scelta che si è fatta in occasione della Legge 425 è
il seguente: le conoscenze indicano l’insieme dei contenuti afferenti
ad una o più aree disciplinari (principi, teorie, concetti, dati,
informazioni, regole, termini, procedure, …) che una persona ha
acquisito e via via acquisisce; le competenze indicano l’insieme
di alcuni comportamenti relativi al saper fare, professionale o meno,
la corretta utilizzazione delle conoscenze acquisite; le capacità
costituiscono quel valore aggiunto in forza del quale il soggetto elabora
conoscenze e competenze acquisite, le mette in discussione, le arricchisce,
alcune ne abbandona, altre ne crea. Inoltre, va considerato che il soggetto
non è sempre solo, ma si trova anche ad operare con altri, per
cui le capacità vanno anche lette in quanto costruzione di relazioni
positive e produttive con altri. Anzi, è la stessa competenza,
in quanto cum-petere, che richiama il concorso operativo con altri: il
che, nei processi lavorativi complessi delle società ad alto sviluppo
costituisce un fattore di grande rilievo.
Alla luce di questo discorso, emerge che conoscenze, competenze e capacità
sono in una relazione dialettica, interagiscono tra loro e si implementano
l’un l’altra.Capacità e personalizzazioneLa
definizione che nelle Raccomandazioni si dà delle capacità
è strettamente legata alla definizione che si dà, anche
implicitamente, della personalizzazione. E’ logico che, se le capacità
sono comuni a tutti i soggetti, in quanto potenzialità innate,
e se il compito dell’insegnante è la pura azione maieutica,
ne consegue che su quel ventaglio di capacità e attitudini si innesta
un percorso formativo personalizzato. In altri termini, una volta accertate
e consolidate con l’attività di insegnamento “quelle”
capacità e attitudini, risulta possibile e ampiamente giustificato
che la persona proceda nell’apprendimento nel “suo” personale percorso.
Sempreché tutti posseggano questa ricchezza di potenziale. Ma così
non è. E’ vero, invece, che le potenzialità sono via
via acquisite nel sociale solo da coloro che hanno la fortuna di nascere
e crescere, per i primissimi anni se non mesi o giorni, in un contesto
ricco di stimoli! Se questi stimoli non ci sono, l’individuo ha
enormi difficoltà in ordine a quello sviluppo/crescita che consideriamo
ottimale. In tal caso il sociale deprime e depriva, per cui, quando il
bambino giunge a scuola e viene inserito in un apprendimento formale,
non è affatto “persona” – ovviamente sotto il
profilo biologico, che nulla a ha a che vedere con l’ottica dei
diritti umani di cui è portatore – ma un soggetto in cui
la persona deve ancora manifestarsi. E la maieutica in casi simili non
è la strategia vincente.
Mi sembra che la teoria della personalizzazione discenda da una visione
ottimistica, naturalspiritualistica – se si può dir così
– dell’essere umano. Emilio non esiste se non nella mente
di Rousseau! Non è vero che tutti i bambini del mondo sono tanti
piccoli Emili, per natura buoni e capaci e che solo precettori sagaci
possono aiutare ad esprimersi e a scoprire le doti innate! La vera educazione
– pensava Rousseau – è quella capace di accendere e
valorizzare quelle naturali capacità potenziali che il piccolo
dell’uomo ha con sé e che la società, invece, ha sempre
distorto e corrotto!
Ma si tratta di tesi che oggi non condividiamo più! Siamo alla
ricerca – e con tanta fatica, indubbiamente – di un rapporto
nuovo tra scuola e società, tra formazione e lavoro – ed
è la lezione di Dewey – in un mondo complesso che ha anche
maturato visioni dell’uomo totalmente diverse da quelle che emergono
dalla prosa delle Raccomandazioni!
Oggi, alla luce di tanti nuovi orizzonti in materia di psicologia dell’età
evolutiva, delle intelligenze, delle conoscenze, dell’apprendimento,
vediamo molto diversamente i compiti della scuola! La teoria delle capacità
e della personalizzazione ci appare come una teoria rinunciataria a fronte,
invece, della ricerca di una strategia scientificamente impegnata sul
terreno dell’educazione, dell’istruzione e della formazione,
e che possa comportare per tutti quel successo formativo che costituisce
la sfida della scuola dell’autonomia.Personalizzazione
e obiettiviIn
effetti, se la personalizzazione comporta un adeguamento dell’insegnare
a quelle che sono le potenzialità e le capacità di ciascuno,
cosa accade se queste non sono ancora presenti nel bambino inserito in
processi di apprendimento formali? Accade semplicemente che l’istituzione
scuola costruisce per lui un piano di studio personalizzato in cui figureranno
obiettivi formativi assai lontani da quelli generali e specifici che le
Indicazioni nazionali propongono. Né la scuola è tenuta
ad impegnarsi più di tanto in ordine a quel precetto dell’unicuique
suum che la personalizzazione, di fatto, propone e sostiene.
Il che costituirebbe un abbassamento “per legge” degli obiettivi
che una scuola per tutti dovrebbe, invece, garantire al massimo livello.
E ciò in forza anche del fatto che lo Stato ha legislazione esclusiva
nella “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti
i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale” (come recita l’articolo 117 della Costituzione).
Alla pagina 17 delle Raccomandazioni l’estensore afferma che occorre
evitare di “progettare percorsi didattici anche differenziati per
far sì che ogni studente, in modi e tempi diversi, apprenda in
ogni caso le conoscenze e le abilità elencate nelle Indicazioni
nazionali nelle forme e nel grado standard prestabilito dal docente: le
conoscenze e le abilità, quindi, poste a fine della attività
formativa della scuola”. Ed aggiunge che “la personalizzazione
inverte, invece, questa gerarchia: usa le conoscenze e le abilità
elencate nelle Indicazioni nazionali come mezzo per progettare professionalmente
percorsi formativi che, a partire da esse, rispondano, però, alle
capacità uniche e irrepetibili di ciascuno, avvalorandole al massimo”.
I corsivi sono miei!
Del resto, anche il ministro recentemente ha avuto occasione di dire che
con la riforma si attua questo rovesciamento: prima era l’alunno
a doversi adeguare alla scuola; ora è la scuola a doversi adeguare
all’alunno! Ma non è affatto vero che la scuola – almeno
quella della Repubblica e delle riforme avviate dal ‘62 con la scuola
media unica – ha perseguito l’obiettivo della selezione e
della esclusione! Come vanno considerati allora i decreti delegati del
’74, con cui si è avviata la democratizzazione della scuola?
E come vanno considerate tutte le iniziative contro la dispersione? E
qual è allora il ruolo della scuola della autonomia?
La linea sostenuta dal Miur è chiarissima. Si tratta di avviare
un vero e proprio rovesciamento di quanto, invece, da anni le scuole si
impegnano a fare: e cioè ad adoperarsi perché ciascuno raggiunga
al massimo livello gli obiettivi che gli sono nazionalmente proposti.
Le affermazioni di pagina 17 mi sembrano assai gravi. Sotto un profilo
socioantropologico, la scuola si troverebbe ad avallare e a legittimare
sul piano educativo e culturale le differenze che la società impone
sul terreno socioeconomico.La “prevalenza” delle famiglieMa
la visione che ho definito naturalspiritualistica contiene ed esprime
anche una implicazione di politica scolastica assai grave. La Legge 53/03
e le Indicazioni nazionali teorizzano una partecipazione delle famiglie
alla vita della scuola che va molto al di là dei limiti proposti
dai decreti delegati del ’74. La collaborazione tra scuola e famiglia
è assolutamente necessaria purché non siano confusi ruoli
e compiti. E’ la scuola che determina ciò di cui un alunno
necessita sotto il profilo degli apprendimenti di cui essa è responsabile:
e questi non possono essere messi in discussione. Il passaggio dalla scuola
dei programmi a quella della programmazione, poi della progettazione,
poi della autonomia non conduce affatto ad un esito di questo tipo! Come
non può essere discusso il tempo scuola necessario perché questi apprendimenti vengano acquisiti.
E’ la personalizzazione che comporta, quindi, anche questa scelta
di politica scolastica che indubbiamente non è accettabile!
C’è il rischio che siano le famiglie a scegliere –
a volte anche in perfetta buona fede, ma senza alcuna competenza pedagogico-didattica
– ciò che sembra loro opportuno sotto il profilo degli apprendimenti.
C’è il rischio che invadano campi non di loro competenza,
e ciò sarebbe grave non solo per il ruolo della scuola e per la
professionalità dei suoi operatori, ma soprattutto per gli alunni
a cui la scuola non potrebbe più garantire la pienezza e l’efficacia
del suo servizio.Roma,
11 novembre 2003Maurizio
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