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Mappe concettuali, uno strumento per la promozione dell'apprendimento significativo
Alberto Emiliani
Il metodo delle mappe concettuali è uno strumento
didattico elaborato in ambito cognitivista 1
(1), allo scopo di favorire lapprendimento e di consentire una
verifica dei livelli di comprensione e di rielaborazione raggiunti dallo
studente. Come tutte le metodologie di ispirazione cognitivista, non è
un procedimento meccanico e chiuso; esso risulta realmente efficace soltanto
se inserito in uno stile di lavoro che privilegi la rielaborazione attiva
da parte dello studente e la ricerca di significati.
Tale stile di lavoro viene sommariamente delineato nella
prima parte di questo articolo; la seconda parte è dedicata ad
un'illustrazione del metodo delle mappe concettuali.
SPUNTI PER UNA DIDATTICA COGNITIVISTA
Come è noto, il cognitivismo non è un
corpo sistematico compatto, né nei modelli teorici di riferimento
né nella impostazione metodologica. Nella teoria dell'apprendimento,
in particolare, le diverse ricerche di stampo cognitivista si differenziano
nei metodi, nei presupposti teorici ed anche nell'oggetto di indagine,
tanto che esse risultano, talora, difficilmente confrontabili
2
(2).
Inoltre, non è possibile tracciare una netta
linea di confine tra gli studi più marcatamente cognitivisti, le
indagini neo-piagetiane e le teorie di Bruner. Vi è tuttavia un
nucleo teorico che è sufficiente a caratterizzare con chiarezza
l'impostazione cognitivista, differenziandola in maniera netta dalle teorie
comportamentiste. Le tesi cognitiviste sull'apprendimento si possono cogliere
in modo assai chiaro quando le si contrappone alle tesi rivali; procederò
pertanto per opposizioni, illustrando la posizione cognitivista sull'apprendimento
in antitesi al comportamentismo (e, dove è il caso, in antitesi
ai presupposti teorici della "scuola attiva").
a) Oltre il comportamento
Il cognitivismo si fonda sull'assunto che lo smere "finzioni
teoriche", utili soltanto a mettere in correlazione stimoli e risposte,
ma autentici oggetti di indagine.
Dall'inizio degli anni Sessanta, si è assistito
ad un progressivo proliferare e ramificarsi degli studi di impostazione
cognitivista. In particolare, verso la fine degli anni Settanta, ha preso
corpo una differenziazione, piuttosto radicale, tra la "scienza cognitiva"
(R. Schank, A. Collins, E. Charniak) volta ad affrontare problemi sempre
più specifici di rappresentazione della conoscenza, comprensione
del linguaggio, apprendimento, soluzione dei problemi, ecc. mediante il
ricorso a modelli limitati ed implementabili su elaboratori (il paradigma
della mente-macchina) e, dall'altro lato, la "psicologia ecologica"
(Neisser, Gibson) che pone l'accento sulla globalità della interazione
uomo-ambiente. Di estrema importanza, per chi sia interessato alle implicazioni
metodologico-didattiche del cognitivismo, è infine l'impostazione
socio-cognitiva, che elabora una sintesi originale ed ampia di contributi
provenienti da diverse aree di indagine 3
(3).
Da un punto di vista socio-cognitivo, una rigida distinzione
tra temi cognitivi e temi relazionali, personali e sociali risulta artefatta
e improduttiva. Un autentico progresso cognitivo è sempre legato
a doppio filo a fondamentali dinamiche personali-sociali quali, per esempio,
la crescita della autostima e delle capacità di diagnosi, relazione
e fronteggiamento 4
(4).
b) Il contenuto della mente
Il superamento del comportamentismo porta in primo piano
la mente, intesa non come magazzino nel quale si accatastano conoscenze
e abilità, ma come struttura assai elaborata e connessa. Gli stessi
studi sulla memoria (dai quali prende l'avvio il filone cognitivista)
rivelano nella memoria una estrema complessità e attività.
Memorizzare non significa accumulare ma collegare, nel magazzino a lungo
termine, nuove conoscenze, dopo un processo di riconoscimento, selezione
e sintesi.
L'abbandono di una concezione della memoria quale facoltà
ripetitiva, "passiva", consente di mettere a fuoco alcuni dati
centrali: primo tra tutti, il fatto che l'efficienza nella memorizzazione
è strettamente connessa alla presenza di strutture nelle quali
inserire le nuove informazioni. Il principio-chiave è semplice:
tanto più la conoscenza è strutturata, tanto più
è facile memorizzare. La struttura è tanto più potente
quanto più essa è ramificata e connessa con altre.
La concezione cognitivista della mente presenta, oltre
all'accento posto sulla strutturazione, un'importante distinzione tra
conoscenze procedurali e conoscenze dichiarative. Le conoscenze dichiarative
sono, essenzialmente, statiche; eventi, nomi, significati, organizzati
in reti semantiche. Le conoscenze procedurali sono dinamiche: strategie,
regole di azione applicate a particolari condizioni. Vi sono conoscenze
procedurali relative ad attività motorie, semplici (p.es. sbadigliare)
o complesse (p.es. andare in bicicletta), innate o apprese; conoscenze
procedurali relative ad abilità intellettuali (contare, parlare,
risolvere problemi, ecc.); ed anche conoscenze procedurali relative alla
costruzione di altre conoscenze procedurali. L'esistenza di queste ultime,
in particolare, costituisce un presupposto qualificante di una "didattica
cognitivista"; infatti, è possibile prendere coscienza delle
proprie procedure di memorizzazione e di apprendimento e modificarle in
modo vantaggioso (meta-memoria, meta-apprendimento). Anderson e Greeno
individuano quale obiettivo dell'istruzione il portare l'allievo a gestire,
attraverso l'uso di strategie, il proprio apprendimento; a controllare
comprensione, composizione, soluzione di problemi.
Un lavoro finalizzato alla presa di coscienza, da parte
dello studente, delle proprie procedure di apprendimento e memorizzazione,
nonché al controllo di tali procedure e alla loro rielaborazione,
può avvalersi di strumenti più o meno formalizzati (test,
utilizzati non come strumento valutativo ma come stimolo e contributo
alla riflessione). Il dialogo diretto con lo studente mantiene però
una importanza insostituibile, una funzione centrale. Anche l'eventuale
"somministrazione" di un test, infatti, non è che il
punto di partenza di un lavoro più fine di analisi e di costruzione,
che non può essere totalmente standardizzato.
c) Atomo contro struttura
Una delle critiche più frequenti che i teorici
cognitivisti dell'apprendimento muovono ai loro predecessori è
quella di atomismo. Una metodologia didattica che si richiami a premesse
comportamentiste tenderà a suddividere e ad analizzare all'infinito
le competenze generali, che costituiscono l'obiettivo finale dell'educazione,
in competenze specifiche sempre più limitate e settoriali. Costruirà
quindi micro-percorsi di apprendimento che conducano all'acquisizione
di tali competenze, una alla volta, e verificherà l'apprendimento
mediante test specifici.
Questo disegno metodologico, qui tratteggiato sommariamente,
è essenzialmente carente. E' vero che una competenza complessa
(ma si dovrebbe parlare di competenze generali) non è una competenza
quasi-magica, inanalizzabile; essa è invece costituita da una complessa
rete di abilità, conoscenze, atteggiamenti, strettamente collegati
tra loro. Ma appunto: strettamente collegati, organizzati assieme in strutture.
Ciò comporta, in primo luogo, che lo "smontare" la competenza
generale in competenze atomiche, anziché spiegare in che cosa consista
la competenza generale, rischi di polverizzarla. Di fatto, la situazione
di apprendimento, oltre a stimolare la acquisizione di micro-competenze
specifiche, deve stimolare la organizzazione di tali competenze; vale
a dire, facilitare l'inserimento della nuova competenza in una complessa
struttura mentale preesistente, modificandola in modo più o meno
profondo.
Di particolare rilievo è, in proposito, il richiamo
alla nozione di "transfer" dell'apprendimento introdotta da
Bruner, o alla nozione piagetiana (poi ripresa dai post-piagetiani Flavell
e Wohlwill) di "transfert orizzontale". Mentre una impostazione
comportamentista procede per singoli progressi, articolati in una successione
lineare, l'apprendimento risulta tanto più efficace e potente quanto
più esso induce, nel sistema cognitivo, modificazioni generalizzabili,
trasferibili in diversi contesti e situazioni.
Una metodologia didattica che si proponga di stimolare
una profonda assimilazione della disciplina dovrà proporre allo
studente situazioni di "distanza" tra ciò che lo studente
sa già fare e la competenza che costituisce, in quella fase, l'obiettivo
dell'insegnamento. Invece di guidare, passo passo, lo studente alla acquisizione
della competenza, occorre potenziare la sua capacità di auto-organizzarsi
per superare il problema (meta-apprendimento, controllo e rielaborazione
delle strategie); predisporre situazioni-problema, caratterizzate dal
conflitto cognitivo tra strumenti concettuali che lo studente già
possiede ed altri strumenti concettuali che egli padroneggia ancora a
fatica (una impostazione essenzialmente piagetiana o neo-piagetiana, che
non risulta in conflitto con la precedente); o ancora, predisporre situazioni-problema
risolvibili attraverso un transfer di conoscenze (una prospettiva più
bruneriana). Dunque, si dovranno approntare situazioni che richiedano
allo studente di affrontare e risolvere problemi, di produrre esemplificazioni
e analisi di casi, nonché di trasferire impostazioni basilari (p.es.
una impostazione trascendentale di tipo kantiano), colte in certe aree
disciplinari, ad altre aree disciplinari e ad altre discipline. A questo
punto, quando necessario, il docente può e deve intervenire per
operare riduzioni del carico cognitivo; ma è evidente che ciò
è assai lontano dal predisporre un percorso rigido di apprendimento.
Un secondo motivo cruciale per respingere una metodologia
didattica basata su sequenze rigide di micro-apprendimenti si trova nella
peculiarità dei sistemi cognitivi degli studenti delle loro
menti. Lo studente non è una tabula rasa; egli perviene alla scuola
secondaria superiore con un suo patrimonio di conoscenze, assai complesso
e organizzato; e con sue proprie modalità di apprendimento. Che
il sistema debba evolvere, è un fatto; ma è ben chiaro che
ogni sistema cognitivo presenta diversi problemi e diverse modalità
di sviluppo. In altri termini, a seconda delle esperienze di apprendimento
avute in passato e di numerose altre variabili individuali, lo studente
può arrivare in modi diversi ad acquisire le medesime competenze
generali (nei termini della trita metafora, è vero che non si costruisce
la casa dal camino, ma è anche vero che ci sono molti modi assai
diversi per costruire strutture funzionalmente simili case). Alcuni
studenti hanno bisogno di padroneggiare un quadro complessivo, magari
schematico, prima di procedere ad una analisi dettagliata; altri operano
in modo del tutto opposto (vi sono poi numerosi casi intermedi). Alcuni
procedono sistematizzando teoricamente, altri rielaborano in modo più
operativo, ponendosi di volta in volta problemi e individuando connessioni,
ecc. Ciascuno studente deve venire aiutato a rendersi consapevole delle
proprie modalità di apprendimento, e a svilupparle secondo le esigenze
della propria mente del proprio sistema cognitivo. (Se allo studente
manca un metodo efficace di lavoro, non gli manca il metodo efficace di
lavoro, ma il suo metodo efficace di lavoro; e il docente può aiutarlo
a trovarlo da sé.) E' inevitabile che l'insegnante tenda a presentare
la materia secondo la sua personale impostazione e secondo il suo stile
cognitivo (almeno finché l'insegnamento viene svolto, sistematicamente,
attraverso lezioni frontali); costringere però lo studente a seguire
un percorso rigido e preciso che contrasti con le sue modalità
di apprendimento è una maniera sicura di condurlo alla frustrazione
e al fallimento.
Pertanto, la verifica dell'apprendimento non può
limitarsi a registrare i risultati raggiunti in una performance specifica,
ma deve estendersi fino ad osservare i processi attraverso i quali lo
studente ha conseguito, o mancato di conseguire, la competenza.
d) Rielaborazione contro acquisizione "passiva"
Il soggetto apprende rielaborando, vale a dire trasformando,
coordinando, trasferendo, informazioni e conoscenze. Posto di fronte al
problema, il soggetto cerca di utilizzare le conoscenze in suo possesso
(conoscenze procedurali e dichiarative) per risolverlo. Il problema può
essere di diversi tipi: dimostrare un teorema, comprendere una lezione,
produrre un testo, ... , risolvere un conflitto relazionale. In ogni caso,
si assiste ad un tentativo di rielaborazione (Piaget avrebbe parlato di
assimilazione) condotto attraverso le strategie di cui il soggetto dispone.
Tali strategie possono essere inefficaci, per più motivi; dalla
mancanza di strategie adeguate al numero eccessivo di elementi da controllare
contemporaneamente. In questultimo caso, il docente può procedere
riducendo lo sforzo cognitivo richiesto, p. es. risolvendo una parte del
problema, in modo da ridurre lo scarto tra la situazione problematica
iniziale e una sua soluzione, oppure operando in modo da accrescere la
familiarità dello studente nei confronti di uno degli elementi
del problema. La familiarità con uno degli elementi del problema
(super-apprendimento) ne riduce infatti, secondo Case e Pascual-Leone5
(5), il carico cognitivo. E' importante osservare che, in tutti questi
casi, il docente non ha mai la funzione di un generatore di apprendimento,
ma sempre quella di facilitatore dell'apprendimento. In altre parole,
il docente non fa il lavoro al posto dello studente, non si propone di
appianare ogni difficoltà cognitiva e di presentare il materiale
in una forma, per così dire, immediatamente digeribile dall'apparato
cognitivo dello studente. Dovere far ricorso alle proprie risorse per
elaborare il materiale da apprendere e per inserirlo nel proprio sistema
cognitivo è per i cognitivisti, come già per Piaget e per
Bruner, un elemento fondamentale dei processi di apprendimento (cfr. la
cosiddetta "pedagogia dello sforzo" di Piaget).
L'apprendimento è dunque, in una prospettiva
cognitivista, un processo costruttivo (Anderson, Greeno ed altri 6
(6)) durante il quale lo studente assimila nuovi "materiali
cognitivi" (conoscenze procedurali e dichiarative), si familiarizza
con essi e procede, ove sorgano conflitti interni, a ristrutturare in
modo più o meno approfondito il proprio sistema cognitivo. Lo studente
viene inoltre aiutato dal docente ad osservare e a controllare le proprie
modalità di apprendimento, confrontandole con quelle di altri e
localizzando i punti deboli nel complesso di strategie a sua disposizione.
Da ciò ha origine un lavoro che conduce assai spesso a sensibili
miglioramenti nelle prestazioni cognitive, e sempre ad una migliore consapevolezza
di sé. Il docente viene percepito non tanto come un dispensatore
di conoscenze da replicare meccanicamente, ma come un collaboratore nel
processo di rielaborazione cognitiva, che è parte del più
generale processo di costruzione dell'identità.
Sono molteplici i modi attraverso i quali il docente
può stimolare la rielaborazione personale, "attiva",
da parte dello studente. Il principio è sempre il medesimo: un
problema, di qualsiasi natura, che emerga durante il lavoro, non è
un abisso che il docente debba affrettarsi a colmare, ma una risorsa da
utilizzare per l'apprendimento. Questo vale anche per i problemi più
semplici e all'apparenza più banali. Lo studente non comprende
il significato di una parola, che si trova nel testo o nella spiegazione
dell'insegnante. Bene: lo studente provi prima a dire che cosa crede che
significhi; come la interpreta in quel contesto, ecc. Provi ad andare
avanti a leggere e si sforzi di congetturare il suo significato, ecc.
In generale, lo studente si abitui a non vedere nell'insegnante il solutore
dei suoi problemi, ma il collaboratore alla ricerca della soluzione. Lo
spiegare e rispiegare, in termini sempre più "semplici",
gli stessi concetti, fa dell'insegnante un protagonista infelice, che
finisce per seguire la strada più lunga e meno produttiva
alla fine, in qualche modo, lo studente dovrà pure arrivare alla
comprensione da sé. Occorre rovesciare l'atteggiamento di attesa
passiva; promuovere (con fiducia, mai in maniera aggressiva) la elaborazione
personale. Dunque: fare molte domande, far sentire gli studenti continuamente
interpellati; fermarsi a metà di un'argomentazione, orale o scritta,
e fare trarre agli studenti le conclusioni; fare rielaborare dagli studenti
paragrafi o lezioni frontali, mediante l'uso, p.es. di mappe concettuali;
fare analizzare casi concreti; limitare al minimo la presentazione di
esempi, che dovranno essere trovati dagli studenti; in generale, interrompere
frequentemente il flusso della lezione frontale ponendo problemi che presentino
conflitti cognitivi o che richiedano transfer di conoscenza o che,
più semplicemente, siano risolvibili per rievocazione di conoscenza.
IL METODO DELLE MAPPE CONCETTUALI
Una mappa concettuale è una versione, piuttosto
elaborata, del tradizionale "schema"; essa si presenta come
un insieme di bolle contenenti brevi caratterizzazioni di concetti e collegate
tra loro. Una differenza evidente dagli schemi tradizionali sta nel fatto
che la mappa concettuale deve rispondere a requisiti "formali"
un po' più stretti. Si tratta però della differenza meno
importante; la differenza principale sta infatti nell'uso che si fa delle
mappe concettuali. Anche in questo caso, come spesso accade in ambito
cognitivista, le caratteristiche tecniche dello strumento, pur importanti,
sono secondarie; infatti lo strumento non è tanto un mezzo meccanico
di valutazione quanto un ausilio didattico, strutturalmente aperto, per
la osservazione, la stimolazione e il controllo dei processi di apprendimento.
In questo senso, nessuno strumento specifico è
indispensabile, ed anzi ogni strumento può essere adoperato in
maniera improduttiva. Molti strumenti didattici "tradizionali"
possono venire rielaborati e utilizzati in accordo con i fondamentali
principi cognitivisti. Pertanto, la descrizione del metodo delle mappe
concettuali è, principalmente, la descrizione di un esempio, il
cui scopo non è fornire una tecnica infallibile ma mostrare un'applicazione
concreta di alcuni temi cognitivisti. Tale descrizione avrà raggiunto
il suo obiettivo se aiuterà il lettore a raggiungere una migliore
consapevolezza delle proprie strategie didattiche, e se stimolerà
un transfer di conoscenza verso altre applicazioni.
La mia presentazione delle mappe concettuali si articola
in tre parti: un'esposizione dello strumento; un'analisi dei suoi principali
modi e campi di applicazione; un'ipotesi di strategia didattica per introdurre
la costruzione di mappe nella scuola secondaria.
a) Descrizione delle mappe concettuali
Una mappa concettuale rappresenta graficamente una rete
di relazioni tra concetti. I concetti compaiono nella mappa in forma assai
sintetica (tre, quattro parole per caratterizzare un concetto; non sono
ammesse caratterizzazioni prolisse). La struttura ha la forma di un albero
che si ramifica verso il basso: vi sono bolle (cioè concetti) che
si trovano a livelli più elevati (nella parte alta della mappa)
e bolle che si trovano più in basso. Il collegamento tra una bolla
più "alta" e una bolla più bassa, indicato da
un tratto che congiunge le due bolle, rappresenta una connessione (logica,
argomentativa, causale, cronologica, predicativa, o di altro tipo).
Il frammento di mappa sopra riportato può aiutare
a chiarire alcuni punti. In primo luogo, è essenziale che i tratti
di connessione riportino una breve "etichetta" che determini
di quale connessione si tratta. In secondo luogo, tra una bolla e le bolle
di livello inferiore ad essa collegate, possono esistere connessioni diverse.
Nell'esempio, le forme dell'esperienza richiedono l'attività del
soggetto e sono (si suddividono in) categorie e intuizioni pure. Si tratta
di due tipi di connessioni profondamente diversi; essenziale dunque esplicitare,
con l'etichetta, la natura del nesso. Infine, occorre una certa flessibilità
nella distinzione tra connessioni e concetti. Novak e Gowin, ideatori
del metodo, danno per scontata una netta distinzione tra concetti e connessioni.
I filosofi saranno, ragionevolmente, assai più critici e, per una
volta, più moderati. La nozione di nesso tra concetti è
assai lata; pretendere di individuare, nel linguaggio ordinario, una distinzione
rigida tra concetti e nessi è semplicemente fuorviante. La mappa
sopra riportata avrebbe potuto essere formulata in modo da comprendere
due bolle per intelletto e intuizione, e da collegare a queste due bolle
categorie e intuizioni pure; ma funziona anche così. Nella maggior
parte dei casi, la pretesa di esplicitare tutti i concetti presenti nelle
connessioni, lasciando solo "nessi puri", può finire
per portare a mappe complicatissime e non necessariamente chiare. Le categorie
sono collegate alle forme in quanto esse sono, nell'intelletto, le forme
in cui si inquadra l'esperienza; dunque non c'è niente di male
nell'etichetta "sono, nell'intelletto". Occorre evitare il fanatismo
della "mappa concettuale definitiva".
Normalmente, i collegamenti presenti nella mappa sono
del tipo "da padre a figli"; da un nodo superordinato ad uno
o più nodi subordinati. Sono però consentiti, ed anzi auspicati,
collegamenti trasversali tra rami lontani dell'albero, a patto che essi
siano "significativi", non arbitrari né superficiali.
La mappa concettuale rappresenta una gerarchia. Che
cosa determina l'ordine gerarchico dei concetti? In altri termini, sulla
base di che cosa si decide che un certo concetto stia più in alto
di un altro? La risposta di Novak e Gowin è che il concetto superordinato
è più "inclusivo"; esso, in qualche modo, "include"
i concetti di livello inferiore collegati. Anche in questo caso, a Novak
e Gowin si può imputare un eccesso di rigidità una
cattiva generalizzazione, che rischia di produrre difficoltà e
confusione. Il criterio di inclusività, infatti, se vale per le
tassonomie, è assai più dubbio quando il collegamento sia
di natura argomentativa, e diviene del tutto inaccettabile se il collegamento
è causale o cronologico. L'idea, vagamente aristotelica, che la
causa contenga l'effetto, sarebbe un prezzo veramente troppo alto da pagare
per l'uso di un metodo didattico. Se poi pensiamo che anche termini sincategorematici
di opposizione (ma, però, al contrario, ecc.) costituiscono collegamenti
accettabili, appare evidente che un criterio basato sulla inclusività
del concetto non è proponibile. Gli stessi Novak e Gowin, di fatto,
mostrano di violare continuamente il criterio proposto.
Il problema, piuttosto complesso sul piano teorico,
non è di difficile soluzione nella pratica. Lo studente sarà
infatti invitato a "mettere più in alto" quei concetti
che, secondo il suo modo di vedere, sono "più importanti"
o "fondamentali"; quelli senza i quali "il discorso non
si reggerebbe", le chiavi di volta, ecc. Insomma, i concetti di ordine
più elevato saranno quelli che, nella rappresentazione cognitiva
dello studente, hanno una centralità strutturale, rappresentano
i punti-chiave di tenuta e di connessione della rete. Da un punto di vista
formale, il discorso è tutt'altro che semplice; anche perché
una misurazione precisa del grado di "centralità strutturale"
del concetto richiederebbe di avere già a disposizione una rappresentazione
della struttura. L'impressione di una petizione di principio viene meno
quando si pensa che lo studente ha, in qualche modo, organizzato la conoscenza,
nella sua mente, in modo strutturato; oppure è indotto a far ciò
proprio dal compito di elaborare una mappa concettuale. La rappresentazione
grafica dovrà dunque basarsi sulle intuizioni di centralità
strutturale che lo studente ha in relazione alla propria organizzazione,
sempre in fieri, della conoscenza.
Naturalmente, lo stesso tema, la stessa lezione, lo
stesso paragrafo del libro di testo, possono essere organizzati in molti
modi diversi. Dunque, allo stesso concetto possono correttamente venire
assegnate, in mappe diverse, diverse posizioni gerarchiche. Ciascuna di
esse corrisponderà ad una diversa impostazione, un diverso taglio,
del tema o del problema. Per esempio, in una impostazione sistematica,
si potrà assegnare una funzione centrale (dunque un elevato livello
gerarchico) alla appercezione trascendentale, oppure alle categorie, mentre
una impostazione problematica potrà porre al vertice il concetto
di possibilità della esperienza, eventualmente collegato a problematiche
humeane, lockeane, ecc.
b) Modi e campi di applicazione
Il metodo delle mappe concettuali viene completamente
tradito se il docente lo adopera per fornire, prima, durante, o dopo,
la spiegazione (o il lavoro sul testo) la propria mappa concettuale del
tema trattato non mi soffermerò sulle motivazioni di questa
affermazione, che dovrebbe risultare chiara al lettore sulla base di quanto
affermato nella prima parte.
La mappa concettuale consente di verificare, in tempi
assai brevi, la correttezza e, sotto un aspetto, la completezza della
informazioni in possesso dello studente. In altre parole, essa permette
di verificare se lo studente ha acquisito tutti i principali concetti
e se ne propone una sintesi corretta. Qualora manchi un concetto centrale,
oppure siano presenti concetti caratterizzati in modo erroneo o, ancora,
vengano accostati in modo erroneo concetti, il docente potrà individuare
con facilità lacune nella informazione.
Si potrà inoltre evidenziare se lo studente abbia
acquisito adeguate capacità di sintesi. Ogni bolla deve contenere
una breve caratterizzazione del concetto (tre, quattro parole). Un errore
tipico è quello di riempire ogni bolla con intere proposizioni
o addirittura argomentazioni (dove compaiono più concetti e collegamenti);
un altro consiste nel riempire la bolla con poche parole, ma irrilevanti
o comunque non caratterizzanti rispetto al concetto che si vuole determinare.
(Per quanto riguarda il primo errore, non si pretende che lo studente
presenti una bolla per ogni concetto presente nella argomentazione, ma
che egli scelga, tra i concetti e le connessioni, quelli che hanno una
funzione cruciale nella struttura.)
Capacità di sintesi, ricchezza e correttezza
nella informazione sono dunque valutabili con una certa facilità.
Parallelamente, lo studente sarà spinto a modificare il proprio
metodo di lavoro in modo da privilegiare sintesi, ricchezza e correttezza.
L'utilità dello strumento sta però soprattutto,
per il docente, nella possibilità di verificare rapidamente l'organizzazione
dei concetti per lo studente, nel fatto che lo strumento lo aiuta
a concentrarsi su questo aspetto, lasciando temporaneamente da parte eventuali
problemi espositivi. Dalla mappa concettuale emergono con evidenza distorsioni
strutturali, generali o localizzate, ed eventuali difficoltà nella
comprensione di singoli collegamenti tra concetti. Un caso piuttosto frequente
è quello di un concetto secondario cui, per diversi motivi (perché
si trova all'inizio del testo, perché l'insegnante vi si è
soffermato per molto tempo, forse soltanto al fine di chiarire un fraintendimento,
ecc.) viene attribuita una funzione centrale. In questo caso, non di rado,
l'intera struttura risulta distorta, nel senso che contiene collegamenti
erronei e che connessioni e concetti importanti risultano assenti.
Come deve intervenire il docente in questi casi? Occorre
ridurre al minimo lintervento, stimolando l'autocorrezione. Ciò
può essere fatto, soprattutto nel caso "difficile" delle
distorsioni strutturali, limitandosi ad elencare allo studente alcuni
concetti e connessioni importanti che non figurano nella sua mappa. Secondo
Novak e Gowin, dovere "trovare il posto" per nuovi concetti,
fortemente strutturanti, porta quasi sempre ad una rielaborazione complessiva.
Dovere inserire un nuovo concetto "importante"
in una mappa è un tipico esempio di problema, che lo studente deve
risolvere. Sta al docente valutare se, e fino a che punto, aiutarlo, facilitandogli
la soluzione. Ancora, sta al docente valutare se sia opportuno chiedere
allo studente una nuova stesura della mappa, o limitarsi invece ad una
descrizione verbale dell'aspetto che la nuova versione dovrebbe assumere.
Unipotesi intermedia è di far disegnare allo studente una
nuova mappa semplificata, non dettagliata. La produzione di nuove stesure
della mappa, infatti, è normalmente percepita come un compito meccanico
e frustrante; è bene non superare le due stesure 7
(7).
Di particolare interesse sono i collegamenti "lontani"
e le strutture che divergono da quelle implicitamente proposte dal docente
(o dal testo). Nel secondo caso, in particolare, si è di fronte
ad una spiccata originalità e creatività nel pensiero. Il
docente dovrà incoraggiare la produzione di mappe concettuali "divergenti";
non soltanto al momento della valutazione ma anche, e soprattutto, nella
impostazione del lavoro.
Gli obiettivi didattici che il docente si propone possono
venire ulteriormente esplicitati attraverso l'uso di punteggi associati
alle caratteristiche della mappa (p. es. 5 punti per ogni collegamento
valido, 10 per ogni livello di gerarchia, 20 per ogni collegamento trasversale,
ecc.). In questo modo lo studente, sapendo esattamente che cosa viene
valutato e quanto viene valutato, percepirà in modo assai concreto
l'importanza che il docente assegna ai singoli fattori.
In alternativa, la mappa può essere valutata
secondo una griglia (p.es. ricchezza, correttezza, articolazione, sintesi);
in ogni caso, occorre che lo studente sappia con la massima chiarezza
che cosa viene valutato e perché.
Ogni docente può sperimentare le modalità
di misurazione che gli sembrino opportune, in modo da affinare i criteri
di valutazione. La sperimentazione, la verifica, il confronto con i colleghi
del consiglio di classe, costituiscono momenti assai fruttuosi; essi inoltre
contribuiscono ad assegnare un rilievo sempre maggiore, nel lavoro didattico,
alla promozione dell'apprendimento significativo.
c) Modalità di introduzione dello strumento
una ipotesi
Novak e Gowin propongono strategie didattiche dettagliate
per introdurre le mappe concettuali nella scuola. Per quanto riguarda
la scuola secondaria, essi prevedono 20 passaggi (descritti alle pp. 45-46
della traduzione italiana). In questo lavoro, non riporterò per
esteso la proposta di Novak e Gowin, ma mi limiterò ad estrarne
i momenti essenziali.
In primo luogo, si avvierà una riflessione sulla
distinzione tra concetti e connessioni. Il docente potrà cominciare
con alcuni esempi facili: semplici asserzioni nelle quali concetti e collegamenti
si possano distinguere con facilità. Subito dopo, si chiederà
agli studenti di produrre esempi e così, in maniera interattiva,
si procederà verso casi più complessi o più ambigui.
Per esempio, in "uno stato di cose atomico è costituito da
una concatenazione di oggetti semplici" si possono individuare i
concetti "stato di cose", "oggetto semplice", "concatenazione"
e i collegamenti "essere costituito da" e "di". Ma,
alternativamente, si può anche analizzare la asserzione in questione
con i concetti "stato di cose" e "oggetto semplice"
e il collegamento "è una concatenazione di". Occorre
smentire l'idea che la mappa concettuale debba rappresentare la struttura
dei pensieri; sono invece possibili rappresentazioni diverse ed equivalenti,
e non è necessario (anche perché è impossibile) esplicitare
tutto.
A questo punto, si rifletterà sul fatto che la
conoscenza consta di strutture interconnesse, e l'insegnante potrà
insistere sulla necessità di uno strumento che consenta agli studenti
e a lui stesso di focalizzare le abilità di organizzazione della
informazione. Sarà opportuno insistere sul fatto che le mappe vengono
introdotte non tanto come strumenti di verifica quanto come mezzi per
promuovere miglioramenti nelle competenze degli studenti. Ciò presuppone
che l'insegnante abbia già affrontato i seguenti argomenti: apprendimento
come rielaborazione "attiva", efficacia di una memorizzazione
legata all'inserimento in strutture, conoscenze dichiarative e conoscenze
procedurali, possibilità di migliorare in modo sensibile il proprio
rendimento intervenendo sulle procedure utilizzate.
Si può quindi passare all'esame di un paragrafo
di un testo, chiedendo agli studenti di individuare i concetti più
"importanti". Possono emergere differenze significative; qualche
studente potrà considerare un certo concetto importante perché
lo vede collegato ad altri argomenti, o perché contribuisce a chiarificare
un'area tematica che prima gli era oscura forse anche perché
si inserisce facilmente in un suo percorso di rielaborazione personale
dell'esperienza. Simili differenze (che però non sono tanto comuni)
vanno evidenziate; l'insegnante sottolineerà che vi possono essere
più maniere di guardare al medesimo testo. Si insisterà
sul fatto che la mappa che si produrrà ora non è che un
esempio.
Si può ora costruire la mappa, disponendo i concetti
secondo l'organizzazione gerarchica e avendo cura di "etichettare"
i collegamenti. Al fine di ridurre la frustrazione delle riscritture,
un buon metodo consiste nello scrivere i concetti su rettangoli di carta
che poi potranno venire spostati. (Quando si passerà alla fase
della produzione di mappe individuali, gli studenti potranno utilizzare
forbici e colla. Se Wittgenstein produceva le sue opere filosofiche tagliando
e incollando, non si vede perché uno studente di scuola secondaria
debba arricciare il naso di fronte a queste operazioni manuali.)
A questo punto, si cercheranno eventuali collegamenti
trasversali, che andranno debitamente etichettati. In ogni fase del lavoro,
si potrà procedere a modificare e ad arricchire la mappa, anche
con concetti che non erano presenti nella lista iniziale delle idee importanti.
Si presentano quindi i criteri di valutazione della
mappa, motivandoli in modo adeguato.
Adesso, la classe è pronta per passare al lavoro
individuale (in una fase intermedia, si può prevedere un lavoro
in piccoli gruppi). Ogni studente può scegliere un brano dal libro
di testo e costruirne la mappa. E' fondamentale che il docente non intervenga
soltanto alla fine, quando si tratta di valutare la mappa. Egli deve invece
osservare il processo di costruzione, insistendo soprattutto su una scelta
"personale" dei concetti più importanti e facilitando
il lavoro, se necessario, agli studenti che si trovino in imbarazzo.
E possibile elaborare mappe dai diversi livelli
di dettaglio; mappe generali che presentino l'ossatura di un intero corso
o mappe specifiche, relative a singoli capitoli o paragrafi (è
un po' come cambiare il fattore di ingrandimento di un microscopio). E'
possibile appendere mappe dettagliate a mappe più generali, ecc.
Conclusione
La differenza principale tra la mappa concettuale e
lo schema tradizionale sta nel fatto che la mappa concettuale viene espressamente,
"istituzionalmente", utilizzata per un lavoro didattico mirante
all'apprendimento significativo. Se l'insegnante dà importanza
a questo strumento (o ad altri equivalenti) egli, implicitamente, rafforza
la centralità degli obiettivi che lo strumento aiuta a conseguire.
Dunque, la mappa concettuale dovrebbe venire annoverata tra i metodi di
valutazione "ufficiali"; l'insegnante può prevedere,
nella sua programmazione, compiti in classe basati sulla costruzione di
mappe.
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NOTE
(1) Un'esposizione particolareggiata del metodo delle
mappe concettuali (e del metodo del diagramma a V, che non è oggetto
del presente lavoro) si trova in J.D. Novak e D.B. Gowin, Imparando a
imparare, S.E.I., Torino, 1989.
(2) Una panoramica delle teorie dell'apprendimento cognitiviste
fino al 1985 si trova in P. Boscolo, Psicologia dell'apprendimento scolastico,
UTET, Torino, 1986. Una introduzione alla psicologia cognitivista è,
p.es. R. Luccio, "La psicologia cognitivista", in P. Legrenzi
(a cura di), Storia della psicologia, Il Mulino, Bologna, 19822, pp. 227-250.
Ambedue i volumi sono forniti di un ricco apparato bibliografico.
(3) Si veda, in proposito, J.R. Eiser, Psicologia sociale
cognitivista, Il Mulino, Bologna, 1983. Una metodologia didattica basata
su principi cognitivisti mira, in due parole, al rafforzamento del sé
dello studente un rafforzamento che viene conseguito anche attraverso
modalità relazionali basate sul rispetto e sulla fiducia. Come
si vedrà nel seguito, tali modalità di relazione costituiscono
una componente irrinunciabile del metodo. Tutto ciò presenta una
stretta connessione con un tema apparentemente lontano, cioè la
prevenzione delle tossicodipendenze e il lavoro sul disagio giovanile.
Senza nulla togliere ai programmi specifici, un'autentica opera di prevenzione
si attua, in modo diffuso, nella didattica quotidiana. Su questo tema,
e sul nesso tra stile di lavoro del docente e prevenzione delle tossicodipendenze,
si può vedere M. Ravenna, Adolescenti e droga, Il Mulino, Bologna,
1993, soprattutto al cap. 8, "La prevenzione".
(4) In tal senso, un testo prezioso e ricco di indicazioni
pratiche è AA.VV:, Competenze trasversali e comportamenti organizzativi,
Franco Angeli, Milano, 1994.
(5) R. Case, Intellectual Development: Birth to Adulthood,
Academic Press, New York, 1985; J. Pascual-Leone, "Constructive Problems
for Constructive Theories", in R. Kluwe e H. Spada (a cura di), Developmental
Models of Thinking, Academic Press, New York, 1980.
(6) Si veda J. R. Anderson (a cura di), Cognitive Skills
and Their Acquisition, Erlbaum, HillsDale, 1981.
(7) Ma carta e forbici possono essere di aiuto.
Alberto Emiliani
Insegnare Filosofia 2 1997
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