Il tempo dei bambini |
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Il tempo dei bambinidi Marina Massenz A scuola non esiste e non deve esistere solo il tempo per imparare. E' necessario anche un tempo in cui potersi conoscere, sperimentare, avvicinare all'altro; un tempo per accogliere e sentirsi accolti, per ascoltare e sentirsi ascoltati; un tempo in cui poter imparare ad accettare l'altro, nella sua diversità, e conoscere il “piacere” di giocare e collaborare. Cogliere l'importanza e il ruolo fondamentale del tempo nella vita del bambino, consente di effettuare una riflessione sulla dicotomia tra tempo perso e tempo guadagnato . Uno stesso avvenimento temporale può essere considerato, infatti, in due modi differenti, a seconda del sistema di valori della persona e dell'impostazione pedagogica alla quale si fa riferimento. Un esempio: la classe si reca in bagno a lavare le mani. I bambini trasformano tale occasione in un momento ludico, in cui poter giocare con l'acqua e divertirsi. Questa situazione può essere letta secondo due concezioni diverse della variabile “tempo”:
1) E' tempo perso, poiché i bambini si attardano in bagno e rientrano in classe più tardi e sovraeccitati; 2) E' tempo guadagnato, poiché i bambini hanno creato una forma di gioco, in cui sviluppare delle relazioni tra loro e grazie al quale il gruppo torna a sedersi tra i banchi più sereno e rilassato.
Un ulteriore esempio: due bambini litigano per un oggetto. La maestra interrompe la lezione, per discutere con tutta la classe sul modo in cui risolvere il conflitto per il possesso dell'oggetto in questione. 1) Si può considerare tale discussione tempo perso, se si crede di aver interrotto la lezione e non aver portato a termine il programma previsto per la giornata. 2) Il riflettere con gli alunni sul motivo del conflitto può essere ritenuto, invece, tempo guadagnato, se si crede che tale discussione possa aiutare i bambini a comprendere l'importanza della negoziazione e della capacità di saper discutere con gli altri, favorendo così non solo la gestione del conflitto in atto ma anche la maturazione di capacità relazionali nella classe.
Oltre a questi due esempi di modalità diverse di valutare ed interpretare una stessa situazione temporale, esistono altri “tempi” a cui generalmente si attribuisce poca importanza. Vorrei fare tre esempi di tempi di qualità, particolarmente importanti a mio parere per la crescita e il benessere del bambino.
Il tempo dell'ascolto: il bambino ha un bisogno estremo di sentirsi ascoltato, di raccontare e raccontarsi. Per questo motivo è importante darsi uno spazio e un tempo dedicati all'ascolto e alla comunicazione spontanea. Nella quotidianità non è previsto il tempo dell'ascolto; i genitori, gli insegnanti, gli adulti in generale hanno sempre molta fretta, non hanno mai tempo a sufficienza. Soffermandomi su queste riflessioni e cogliendo il forte bisogno dei bambini di sentirsi ascoltati, ho pensato, ad esempio, che fosse una buona idea istituire, nei gruppi di psicomotricità educativa che conduco, subito dopo i rituali di saluto il momento del “ parlo e ascolto”. In questo momento ognuno è libero di raccontare ciò che desidera, di quel giorno o della settimana passata dal precedente incontro, e nello stesso modo ascolta i racconti dei compagni. E' stupefacente vedere come, superate alcune timidezze iniziali, nessun bambino si lasci sfuggire questa occasione, e vi sia un affollarsi di interventi, sui più disparati argomenti. L'ascolto, mio e degli altri bambini, consente non solo a chi parla di esprimere cose che ha vissuto e sente importanti, ma anche a volte la circolazione dei temi, e quindi un vero dialogo a più voci sull'argomento.
Il tempo dell'osservazione; un tempo in cui l'adulto osserva i bambini nel gioco spontaneo. Egli può cogliere, in tal modo, nuovi aspetti sia appartenenti al singolo bambino (ciò che sa e che non sa fare, ciò che gli piace e non gli piace fare, come si esprime e come entra in relazione con gli altri, etc.) sia del gruppo classe (chi è fuori o dentro al gruppo, chi si isola, chi risulta propositivo, etc…). L'osservazione del gioco spontaneo può permettere all'adulto di capire meglio anche alcuni atteggiamenti tenuti in classe e quale posto ognuno sente di occupare in relazione agli altri. E' importante tenere presente quanto tali aspetti relazionali influiscano sulla motivazione del bambino all'apprendimento, motivazione che è profondamente legata al suo sentirsi bene o meno nel contesto scolastico.
Il tempo dell'attesa; sempre più l'attesa è una variabile connotata unicamente in senso negativo. Il bambino stesso fatica a sopportare l'attesa; è vissuta spesso come un vuoto davvero insopportabile, oppure come l'estenuante fatica di aspettare qualcosa che si teme o che si desidera. L'attesa è invece una componente molto importante sia nel processo didattico che educativo. In generale, a livello sociale, ci si sforza al massimo di ridurre i tempi d'attesa, di velocizzare tutti i processi; questo si trasferisce sul piano educativo e didattico nella ricerca di un intervallo sempre minore tra l'emissione e la ricezione di un'informazione, si velocizza la comunicazione, si dà per scontata l'assimilazione, mentre la quantità di dati da apprendere è molto maggiore che nel passato. Sul piano della formazione della persona è fondamentale avere il tempo per assimilare i concetti incontrati; oggi i bambini si trovano di fronte ad un'enorme quantità di stimoli, senza però aver il tempo e le condizioni per assimilare e integrare tutte le informazioni ricevute. Cosa significa tempo dell'integrazione? Ogni atto mentale, anche il più razionale e intellettuale passa sempre e inevitabilmente attraverso il filtro emozionale connesso agli eventi somatici, creando così una sorta di memoria corporea inconscia. La peculiarità dell'individuo è proprio quella di essere un'integrazione di mente-corpo-emozioni; unione seriamente minacciata dal sistema dei processi cognitivi contemporanei della società globalizzata e informatizzata a cui apparteniamo, la quale premia soprattutto la velocità nell'apprendimento. Ma la velocità eccessiva riduce la possibilità per il bambino di tenere insieme emozioni e reazioni corporee con l'evento ad esse collegato; infatti, per motivi neurologici, il sistema somato-sensoriale è più lento di quello mentale (vedi ricerche di Antonio Damasio, neurologo statunitense) ed avrebbe pertanto bisogno di sequenze esperienziali più lunghe o ripetute per restare connesso con quello mentale, più rapido, a cui è assegnato il compito di “tradurre dati”. Questa dinamica comporta, quindi, una diminuzione d'importanza delle emozioni e delle reazioni corporee con il rischio di generare un “sovraccarico cognitivo”, spesso inutile ed effimero. Manca, oggi, un'elaborazione emozionale delle informazioni ricevute. Si pensa che questa mancanza sia la causa di disturbi psicosomatici ed anche d'altri disagi diffusi nel mondo dell'infanzia, come le cadute di memoria e d'attenzione o la possibilità di trasferire autonomamente dei dati da un contesto ad un altro. Cosa si può fare per colmare tale mancanza? Avviare un processo che riporti il corpo e i sentimenti al centro del percorso formativo della persona. Le ragioni e reazioni del corpo e le emozioni sono, infatti, determinanti nel costituirsi dei processi identitari e dei processi di conoscenza. A conferma di quanto sostenuto, racconterò l'esperienza vissuta da un bambino di tre anni nel corso di una seduta di terapia psicomotoria. Questo bambino ha saputo creare una sorta di carrucola con tre oggetti diversi; un cono, una fune e una sbarra infissa nel muro. Il gioco prevedeva il passaggio della fune, avvolta in modo da scorrere attorno alla sbarra di legno, nei due fori (foro superiore ed inferiore) del cono per legarlo; quindi, tirando la fune dall'estremità libera, si otteneva di vedere salire il cono fino al contatto con la sbarra e successivamente, lasciando andare progressivamente la presa, si aveva l'effetto opposto, il ritorno del cono a terra. Questa invenzione particolare ideata dal bambino ha generato in lui un'enorme sorpresa per la nuova scoperta, tanto da ripetere l'azione accompagnata dalla verbalizzazione “su e giù” per quasi trenta minuti in modo consecutivo, sempre manifestando un sentimento di gioia per il suo gioco. Proprio questo caso è un esempio di quel “tempo dell'integrazione” tra mente-corpo-emozioni di cui si parlava. Il meccanismo scoperto nel gioco e la sua ripetizione continua da parte del bambino hanno comportato un vero e proprio apprendimento. Sono stati compresi, in modo concreto e pratico, i concetti di alto e basso (su e giù). L'apprendimento è stato ottenuto dall'attivazione di un processo mentale di tipo senso-motorio, che ha generato “il congegno” ludico, dal piacere di sentire il proprio corpo implicato in una determinata azione e contemporaneamente dalle emozioni positive generate dall'affermazione di sé che in questo “proprio” agire il bambino sperimentava. La durata, tutto il tempo in cui ha ripetuto l'azione, non era per lui “tempo perso” , ma proprio quel tempo necessario perché potesse avvenire questa “integrazione” dell'esperienza e questo reale apprendimento, di cui non è mancata affatto la memoria durante la seduta successiva. Il “tempo guadagnato” è stato proprio il fatto che la sua esperienza ha potuto espandersi nel tempo, tutto il tempo naturale richiesto per questa scoperta da un bambino di tre anni. Questo è il tempo del bambino, a cui dovrebbe corrispondere un adulto capace di attendere, di modificare ed adattare i suoi ritmi a quelli del piccolo, in una consapevole e rispettosa osservazione di una attività tanto importante. Infatti, nell'esperienza descritta, si vive un intenso momento di crescita, in cui la corporeità, gli schemi motori, la mente e l'emozione sono compresenti e attivi in sinergia. Assistere ad un gioco e apprendimento così integrato è emozionante, perché si sente il piacere concentrato del bambino che scopre se stesso e i suoi mezzi. Dal sito: http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2008/10/06/viva-la-scuola-4/ |