INTEGRAZIONE COME RISORSA


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INTEGRAZIONE COME RISORSA

Andrea Canevaro e Dario Janes

Apprendimento cooperativo • Bisogni educativi specifici • Capacità di comunicare • Competenza interpersonale • Competenza metacognitiva • Comportamento sociale • Comunità di apprendimento • Disabilità • Inclusione • Indicatori • Mediazione didattica • Risorsa stru-mentale • Testa ben fatta • Tutor • Valore intrinseco • Valutazione autentica • Valutazione standard


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Cosa si intende per risorsa? Riteniamo che si debba discutere del valore di una risorsa almeno su due piani: quello strumentale e quello intrinseco. Una risorsa ha valore strumentale quando è utile, serve a raggiungere un fine ritenuto desiderabile. In questo senso, ad esempio, il tempo o il livello di formazione sono una risorsa strumentale. Ma anche un'amicizia influente può essere una, risorsa strumentale, o un buon livello di autostima, o un bel sorriso, ecc. Servono a raggiungere nuovi obiettivi o a migliorare l'esistente.
Ma una risorsa possiede anche un valore intrinseco, valido di per sé: ci arricchisce soltanto per la sua presenza, non per il fatto che ci serva a raggiungere qualcosa d'altro. Ci sentiamo, talvolta (speriamo spesso), ric­chi di amicizia, di relazioni positive, di bellezza, di cultura, di tempo, d i valori, di equità, di comunicazione, ecc. Sono "beni", anche estremamente immateriali, che ci fanno sentire immensamente ricchi. Un alunno con disabilità mentale, anche grave, è una risorsa sia in termini strumentali ilio intrinseci, anche se può sembrare paradossale.
Anche se sono passati trent'anni dalle prime esperienze di integrazione scolastica degli alunni disabili, c'è chi vive ancora, purtroppo, l'alunno disabile come un peso che la scuola deve accollarsi, tra i tanti altri, quasi come una missione egualitaria, soccorritrice, che si carica di tante croci da portare con rassegnazione. Crediamo che invece si debba con forza e chiarezza rivendicare (e costruire nella pratica quotidiana) l'essere risorsa dell'alunno disabile, che con la sua presenza attiva e gestita bene (con un buon livello di integrazione) induce molti elementi di qualità all'intorno alla scuola e non solo.

Insegnare e apprendere con una persona disabile: i valori strumentali

È certamente vero che l'alunno disabile apprende, comunica si relaziona con difficoltà, qualche volta ha comportamenti imprevedibili, magari problematici. In più può avere problemi di salute, fragilità, necessità di protesi, accorgimenti particolari; può avere anche dei familiari difficili, perché essi stessi in difficoltà, e così via. Ma allora, si potrebbe pensare, come fa una persona così (degna ovviamente della massima considerazione e cura) a portare qualità alla scuola?
Nel rispondere, cercheremo di evitare il ricorso a considerazioni legate al valore intrinseco della sua presenza rispetto a noi "normodotati ". Molte di queste considerazioni vengono fatte pensando che la sola presenza di una persona disabile, anche passiva, "ci faccia del bene", ci arricchisca. E questo perché ci testimonia della sofferenza umana, del valore della salute, della solidarietà, della vita, dell'educazione. Attraverso queste relazioni significative miglioriamo le nostre qualità più umane.
Temiamo che talvolta, dietro a questi discorsi, spesso retorici, ritorni il vecchio pietismo, la vecchia "bontà", riverniciata nell'accoglienza e non più nella beneficenza e nel custodialismo caritatevole. Ci interessa discutere qui del valore positivo, "strumentale", della presenza attiva di un alunno disabile, che partecipa, con le sue possibilità, ai percorsi di formazione con tutti gli altri alunni. Questa presenza, talvolta scomoda, sempre impegnativa, ci consente di raggiungere importanti obiettivi, che sono altrettante dimensioni di qualità del fare scuola.

Riflessione metacognitiva e mediazione

Grazie alla presenza di alunni disabili si riflette a fondo sui processi di apprendimento. Chi insegna, infatti, può essere talmente concentrato su di sé, cioè sull'insegnamento, da dimenticarsi del come l'altro apprende. Se l'altro ha buone capacità di apprendimento in qualche modo progredirà, ma se ha una disabilità, l'attenzione del docente viene maggiormente catturata dalla dimensione dell'apprendimento. E finalmente la scuola dell'insegnamento diventa scuola dell'apprendimento.

Per i docenti - Il docente comincia a interrogarsi su come facilitare la comprensione, come semplificare e chiarire il lessico, i concetti, come favorire la memorizzazione, come stimolare la motivazione, l'attenzione, l'autoregolazione, ecc. Il docente riflette metacognitivamente su se stesso, su quello che fa per aiutare un alunno in difficoltà ad elaborare delle competenze e ad usarle. Questo processo lo fa crescere professionalmente, con benefici nella didattica per tutti gli alunni, anche quelli "bravi", che apprendono bene, ma che imparano ancora meglio, se l'insegnamento aumenta di qualità.

Per gli studenti - I compagni di classe dell'alunno disabile hanno un ruolo essenziale. Infatti una buona integrazione-inclusione passa attraverso l'utilizzo sistematico di gruppi di apprendimento cooperativo e di alunni tutor.

E qui si realizza un ulteriore vantaggio portato dalla presenza dell'alunno disabile. Gli alunni che lavorano con lui migliorano grandemente dal punto di vista della loro competenza metacognitiva. Nel mediare cognitivamente i contenuti, le informazioni e le azioni con il compagno disabile imparano a mettersi nella mente di un altro, a graduare le proposte sulla base delle possibilità, a fornire gli aiuti realmente necessari e sufficienti.
Gli alunni imparano direttamente il significato del motto della Montessori con il suo celebre "Aiutami a fare da solo", cioè a restituire feedback, ad incoraggiare, a gratificare, a motivare. Riflettono sul fatto che per questo compagno l'apprendimento è difficile, ma che anche lui dovrà imparare qualcosa di significativo sull'Orlando Furioso o sulla geografia economica. Potranno rielaborare il libro di testo in modo creativo, arricchendo, schematizzando, semplificando, adattando le informazioni; diventeranno editor didattici più efficaci di molti docenti abituati (male) a lavorare solo con studenti bravi. Costruire le proprie competenze assieme ad altri, di cui alcuni in difficoltà, cooperare e fare il tutor sviluppa competenze di pensiero di ordine superiore, non accessibili in uno studio esclusivamente individuale.
La mediazione didattica diventa pensiero didattico attivo quotidianamente tra pari, generato dalla necessità di produrre apprendimenti anche assieme a chi possiede minori risorse cognitive (Vygotskij). I genitori saranno ben contenti di sapere che i loro figlioli "bravi" diventano metacognitivamente ancora più bravi nell'apprendere assieme al compagno disabile, formandosi così una "testa ben fatta" (Morin), e non solo una testa ben piena di nozioni. Questi alunni con la testa ben fatta saranno in grado, domani, di pensare meglio in contesti collaborativi, di spiegarsi meglio, di insegnare meglio, di risolvere meglio problemi, ecc.

Capacità comunicative e globalità dei linguaggi

Un alunno disabile, specie se grave, ha quasi sempre difficoltà comunicative, in ricezione e in espressione: non comprende un certo lessico o sintassi elaborate, non si fa capire con il linguaggio verbale, o a fatica. In questi casi cercheremo di capire e di farci capire con tutti gli altri mezzi possibili e scopriremo che il linguaggio utilizzabile non è solo quello della parola, anzi: l'alunno disabile si può rivelare molto abile nel linguaggio degli sguardi, della mimica, della prossemica e delle posture, dei sorrisi e dei bronci, dei gesti e dei movimenti, dei simboli visivi e delle immagini, ecc.
Ci riappropriamo di qualcosa che avevamo forse dimenticato, sepolto sotto anni e anni di linguaggio soltanto verbale (soprattutto a scuola). Comprendiamo la differenza che c'è tra il comunicare e la padronanza di mezzi concreti di comunicazione. Ci rendiamo conto che alcune battute non sono comprese, che l'ironia è un registro delicato e difficile, che le allusioni talvolta sono comprensibili soltanto a noi stessi; in altre parole, miglioriamo la nostra capacità di comunicazione. Diventiamo più capaci di servirci di una forma"comunicazione totale", che usa la parola, la gestualità, il corpo, il ritmo, le immagini, ecc. in un insieme coordinato e globale.

Capacità relazionali e negoziazione

Tutti vorremmo diventare più competenti dal punto di vista relazionale e interpersonale. Non solo nei contesti educativi e formativi, per gestire le relazioni con i nostri alunni e con i nostri colleghi, ma anche in famiglia e nelle mille occasioni di vita quotidiana. Ma la è una delle competenze più complesse, intricate di aspetti emozionali, cognitivi, comunicativi, culturali. Come si impara? Certo in modo informale e spontaneo, ma un grande vantaggio deriverà ai nostri alunni se potranno esercitarsi in modo specifico su queste capacità, magari in situazioni difficili. Se dovranno apprendere discutendo, collaborando, decidendo assieme, assumendo responsabilità e ruoli complementari; se la strutturazione della didattica prevederà occasioni frequenti di collaborazione con regole di interdipendenza positiva, dove "si ha bisogno" dell'apporto di tutti per il successo del gruppo e per il proprio, allora si svilupperanno le abilità della condivisione, dello scambio, della negoziazione e della mediazione, del costruire accordi, del fare piani e progetti in modo collaborativo, dell'essere buoni leader e buoni gregari, del resistere alle frustrazioni, dell'affrontare e risolvere conflitti, ecc. Gli alunni assieme a noi, hanno bisogno di apprendere competenze alte di regolazione espressiva, efficace e creativa del comportamento sociale. Ma, appunto, non la si impara individualmente, né interagendo soltanto con compagni socialmente abili.

Senso di equità e valutazione

Non è facile spiegare agli alunni che "è somma ingiustizia fare parti uguali tra diseguali" (Don Milani) [v. voce Equità]. Gli alunni esigono l'uguaglianza formale, negli atteggiamenti e nelle valutazioni: "Siamo tutti uguali, Prof. ". La presenza attiva di un compagno disabile li fa riflettere direttamente, al di là della solita retorica buonista, sul fatto che non è giusto fare parti uguali, se non siamo uguali, e che è invece equo dare di più a chi ha di meno. Il compagno disabile ci fa riflettere sulla valutazione: "Come li/ci dobbiamo valutare?" Risulta allora chiaramente inadeguata la valutazione che mette a confronto con medie o standard nazionali o internazionali. Si capisce che la vera valutazione è quella che confronta ognuno con se stesso, che consente di leggere i propri miglioramenti, le proprie crescite, l'avvicinamento ai propri traguardi, che possono essere, nel caso dell'alunno disabile, anche molto lontani da quelli degli altri e del programma, ma non per questo meno importanti o meno verificabili. Gli alunni e gli insegnanti sperimentano direttamente cosa si intende per "valutazione autentica", quando si rendono conto dell'impossibilità di una valutazione standard; e questa consapevolezza è frutto, spesso, proprio della presenza di un alunno disabile. In questo tipo di guadagni educativi potremmo anche aggiungere la costruzione delle regole, dei sistemi di premi e sanzioni, dei contratti e patti formativi, delle aspettative valutative, delle certificazioni / attestazioni / diplomi, ecc., tutti casi in cui, grazie alla disabilità ci si deve confrontare con le diversità, accogliendone le specificità, non escludendole in nome di una pseudo equità statistica [v. voce Portfolio delle competenze].

Benefici per tutti

Finora si è parlato di benefici per i compagni di classe normodotati, e per gli insegnanti, dunque per gli attori principali dei processi di insegnamento-apprendimento. Ma i beneficiari di questi, e altri, vantaggi sono ben più numerosi. I docenti lavorano in un'organizzazione che evolve attraverso una rete di. relazioni più varie. I dirigenti e l'organizzazione didattica possono imparare l'arte e la scienza della flessibilità creativa nei tempi, negli spazi, negli incarichi, nelle responsabilità, ecc. I collaboratori (bidelli) possono apprendere competenze relazionali, educative e assistenziali nuove. La dotazione di materiali didattici, software e hardware, di una scuola può arricchirsi notevolmente e può cadere qualche barriera, anche mentale, oltre che architettonica.
La scuola dovrebbe essere in grado di dimostrare la migliore qualità del­l'apprendimento e delle sviluppo degli alunni "normodotati" proprio come esito formativo prodotto dall'integrazione-inclusione degli alunni in difficoltà. I genitori degli alunni "bravi" cercheranno di iscrivere i loro figli nelle scuole in cui si fa bene l'integrazione, perché considerate scuole migliori in assoluto. Della presenza attiva di un alunno disabile beneficia anche chi non è legato alla scuola: il cittadino, l'amministratore e il politico sentono realizzato nell'integrazione, giorno dopo giorno, un fondamentale diritto alla piena partecipazione sociale e un essenziale valore di equità.

Ma ad una condizione...

Le disabilità e le differenze sono dunque una risorsa che produce vantaggi, ma ad una condizione: che la scuola (e non solo) sappia comportarsi in maniera inclusiva, e non si limiti ad accogliere, sopportare e gestire gli alunni differenti. Essere inclusivi vuol dire mettere al centro l'apprendimento e posporre l'insegnamento, puntare sui bisogni della persona ed ignorare quelli del programma; vuol dire individualizzare seriamente, formarsi e studiare strategie didattiche ed educative, darsi tempo per conoscere e accompagnare gli alunni e le famiglie, mettersi in gioco creativamente, organizzare, sperimentare e documentare. Far diventare la classe e la scuola una comunità di apprendimento e di costruzione della conoscenza, significa tessere reti di solidarietà e di aiuto reciproco tra gli alunni, organizzare gruppi di apprendimento cooperativo, relazioni di tutoraggio e di educazione tra pari, evolversi tecnologicamente e culturalmente, investendo seriamente in risorse umane e formazione.
Troppo spesso questo non accade, e la cosiddetta scuola normale non è ancora dotata di risorse sufficienti che le consentirebbero di far fruttare al massimo la presenza attiva degli alunni differenti. Ci riferiamo non tanto alle ore degli insegnanti di sostegno e degli educatori, peraltro fondamentali, ma soprattutto alle capacità manageriali, alla formazione specifica, alle metodologie e strategie didattiche, alle motivazione e incentivi, a soluzioni organizzative innovative (spazi, tempo, materiali, collaborazioni, alleanze extrascolastiche, supporto dei servizi, ecc.) Una scuola inclusiva può beneficiare in pieno delle risorse che la presenza attiva degli alunni differenti porta con sé.

Aspetti di qualità

Oggi dobbiamo attentamente osservare l'evolversi dell'integrazione, con lo strabismo necessario dell'insegnante, che deve guardare sempre verso più direzioni ma con un occhio di riguardo alla tutela dei diritti degli alunni disabili, che non devono perdersi nella strada delle riforme e controriforme. L'altro occhio deve guardare alla qualità dei processi di integrazione, puntando con chiarezza ad alcuni obiettivi che diventano fattori costitutivi di qualità. Proveremo a definirne cinque.

Obiettivi per la qualità dell'integrazione

1. Raccogliere e valorizzare i frutti dell'integrazione
"Le diversità nella scuola sono una risorsa": questa affermazione va concretamente dimostrata non darndola per scontato o invocandola ideologicamente o emotivamente. L'integrazione non è un peso, è invece un vantaggio competitivo per la qualità della scuola: sta a tutti noi dimostrarlo e documentarlo.
2. Trasformare l'integrazione in inclusione
L'integrazione riguarda soltanto gli alunni disabili, l'inclusione risponde invece in maniera adeguata, individualizzata, ai vari e diversissimi "bisogni educativi speciali" mostrati da tanti alunni, anche non certificati come disabili. Includere vuol dire attivare varie forme di individualizzazione in grado di rispondere adeguatamente ai bisogni dell'alunno con disturbi specifici dell'apprendimento, ritardo mentale, disturbi emozionali, del comportamento, differenze culturali e linguistiche, difficoltà familiari, ecc. Naturalmente questo è possibile soltanto qualificando la didattica ordinaria e, sul piano organizzativo, metodologie e risorse. Altrimenti avremo alunni con "bisogni educativi speciali" di serie A (con le risorse speciali, spesso soltanto insegnanti di sostegno) e di serie B (senza risorse).
3. Integrare le risorse speciali nella «speciale normalità»
L'integrazione cresce e fruttifica se la normalità del fare scuola diventa sempre più speciale, competente, tecnica e non se si consolidano meccanismi di delega dell'alunno speciale alla risorsa speciale (insegnante di sostegno, educatore o tecnico) con conseguente disimpegno, deresponsabilizzazione e impoverimento della normalità dei rapporti educativi e didattici. Le specificità e le specialità tecniche vanno valorizzate soprattutto per migliorare le qualità inclusive delle normalità: le tecnologie multimediali utilizzate da tutta la classe, i piccoli gruppi cooperativi, i testi arricchiti e modificati, le didattiche metacognitive e costruttiviste, gli interventi motivazionali e psicoeducativi nel gruppo, ecc.
4. Programmare globalmente (Progetto di Vita) e agire localmente (Piano educativo individualizzato)
Anche in questo caso torna un necessario strabismo educativo: con un occhio individualizziamo tenendo conto del percorso scolastico di integrazione in una specifica classe, ma con l'altro occhio teniamo ben in vista una dimensione di vita più larga, più estesa dal punto di vista esistenziale, che comprenda l'adultità, la partecipazione sociale, i ruoli comunitari, il lavoro e la cittadinanza. La vita non è solo la scuola e non è solo l'infanzia e la giovinezza: dobbiamo tener ben conto dell'evoluzione demografica e della sempre maggiore longevità delle persone disabili.
5. Rendere disponibili (ed esigibili) buone prassi e non buone azioni
Il successo di uri esperienza di integrazione scolastica non può dipendere dal fortuito incontro con un insegnante di sostegno motivato e bravo e con altri colleghi collaborativi. L'alunno disabile non può sperare nella dea bendata, deve poter essere sicuro che nella scuola siano definiti, esistano e siano esigibili standard essenziali minimi, strutturali e di processo, di qualità dell'integrazione. L'integrazione scolastica ha dato molto alla scuola italiana e potrà dare ancora di più se verrà considerata fino in fondo un "fiore all'occhiello" del nostro sistema formativo, da esibire sempre con orgoglio e da utilizzare in positivo in tante occasioni, anche quando, ad esempio, si cercano parametri per valutare la qualità delle istituzioni scolastiche che non siano soltanto i livelli di rendimento degli alunni (non disabili).
È possibile descrivere indicatori di qualità dell'integrazione sotto forma di buone prassi strutturate, istituzionali, sicure e stabili, non affidate all'aleatorietà del buon cuore e della dedizione volontaristica del singolo docente. È tutta la scuola a crescere con l'integrazione.

Indicatori di qualità dei processi di integrazione

1. Formazione e livelli di competenza del personale
Questa dimensione di qualità è costituita fondamentalmente dai livelli di competenze professionali specifiche acquisite dagli operatori attraverso la formazione di base, la specializzazione per le attività di sostegno e varie iniziative specifiche di aggiornamento in service. Nel caso dei docenti si valuta la presenza del titolo di specializzazione per le attività di sostegno, sia nei docenti impiegati in queste attività, sia in quelli curricolari. A livello di istituzione scolastica si deve considerare, inoltre, la realizzazione di iniziative di formazione e aggiornamento sui temi della disabilità e dell'integrazione. Un aspetto importante a livello di formazione risulta essere anche la percezione di quante competenze su questi temi andrebbero possedute dagli insegnanti curricolari, da quelli specializzati e da altre figure fondamentali nella comunità scolastica: collaboratori, educatori, tutor, familiari, ecc.

2. Collaborazione e collegialità tra le varie figure e istituzioni
La capacità di fare sistema, di collaborare, di costruire assieme, con una pluralità di persone e istituzioni, progetti, azioni, verifiche, ecc. è una dimensione fondamentale del fare qualità dell'integrazione scolastica. Questa reticolazione sinergica e costruttiva di varie figure dovrebbe avvenire ai diversi livelli degli ecosistemi di vita e di relazione dell'alunno disabile: classe, scuola, enti e istituzioni nel territorio. In questa dimensione di qualità troviamo i gruppi di lavoro, la collaborazione tra i docenti, il coinvolgimento operativo di vari enti, servizi e amministrazioni, la collaborazione con la famiglia e, in senso più allargato, con la comunità. Il soggetto disabile dovrebbe avere un ruolo da protagonista nella documentazione dei processi, concorrendo all'elaborazione del suo Pei-Progetto di vita, che si evolve poi in un curriculum vitae. L'altra forte dimensione di collegialità e collaborazione è quella con gli Enti locali, i servizi sociali e sanitari e i centri di documentazione territoriale.

3. Organizzazione scolastica, definizione di procedure e rispetto delle norme
La terza dimensione di qualità riguarda l'attività complessiva dell'organizzazione scolastica, che si articola in precise procedure e prassi previste a livello normativo e regolamentare ed esigibili dall'utente dell'istituzione scolastica. Tra queste prassi troviamo l'accoglienza, la comunicazione con la famiglia, il sistema di assegnazione degli incarichi (funzioni strumentali e funzioni aggiuntive), le modalità di formazione delle classi, le strategie di continuità e di autovalutazione. Una attenzione particolare deve essere data alle prassi di elaborazione e scambio di informazioni e alla costruzione di una progettazione comune attraverso i gruppi di lavoro per l'integrazione (diagnosi funzionale, profilo dinamico funzionale, Piano educativo individualizzato, ecc.)

4. Precarietà, turn aver e stabilità
Le varie figure professionali della scuola e dei sistemi connessi possono subire un turn over elevato, con situazioni di notevole precarietà e discontinuità della loro opera, oppure possono essere stabilmente impiegate in un'istituzione scolastica, con indubbi vantaggi dal punto di vista della continuità, dell'effettiva efficacia del loro lavoro, della soddisfazione personale e professionale, dall'investimento in prassi che rimangano nell'organizzazione della scuola, della solidità dei legami con gli alunni e i colleghi, ecc. Il gran numero di insegnanti precari, non di ruolo, è una piaga endemica della scuola italiana, che diventa drammatica nel caso degli insegnanti impiegati nelle attività di sostegno, che cambiano frequentemente sede. Lo stesso vale per il turn over delle figure con funzioni strumentali che si occupano di integrazione, con evidenti riflessi negativi sulla progettualità a lungo termine.

5. Le differenze di genere negli alunni e nel personale scolastico
Un altro elemento di qualità è identificato nel rapporto tra maschi e femmine, tra alunni disabili e tra insegnanti e collaboratori scolastici. Le distribuzioni di genere dovrebbero tendenzialmente rispettare quelle presenti nella popolazione, altrimenti è probabile osservare difficoltà sia in ambito psicologico (nell'identificazione, nelle dinamiche affettive, ecc.) che nell'ambito dell'assistenza quotidiana e della privacy. È ben nota la prevalenza del sesso maschile tra i soggetti disabili e di quello femminile tra il personale scolastico.
6. Qualità delle risorse: normali o speciali?
Un altro fattore di qualità è quello dell'attivazione di risorse per realizzare percorsi realmente efficaci di integrazione. Riteniamo che le risorse che più costruiscono la qualità dei processi di integrazione siano quelle che provengono dalla normalità, ma che si arricchiscono fortemente di quegli elementi tecnici di specialità in grado di migliorarne l'efficacia per l'alunno disabile e per gli altri alunni. In quest'ottica si deve valutare il coinvolgimento normale dei compagni di classe, la programmazione delle spese ordinarie, le ricadute della diagnosi funzionale sulla didattica di classe, la quantità di ore «speciali» di sostegno in rapporto ai bisogni percepiti, l'uso diffuso della documentazione, i rapporti con le famiglie, i riflessi dell'integrazione sui vari attori dei processi, il collegamento dei PEI con la programmazione della classe.
7. Risorse strutturali
In questa area si identificano, come indicatori di qualità, le risorse strutturali che mediano le attività educative, didattiche e di riduzione degli handicap e quindi il personale, le attrezzature, gli spazi, l'accessibilità, gli ausili, ecc.

(Articolo tratto da "Voci della scuola 2006" a cura di G. Cerini e M. Spinosi - Tecnodid Editrice- pag. 316)

 

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