Il termine lessia è stato introdotto
dal semiologo francese Roland Barthes per denotare "unità di lettura"
ritagliate all'interno del testo. Per Barthes, le lessie sono il risultato
della "scomposizione (in senso cinematografico) del lavoro di lettura.
(...) Questo lavoro di ritaglio, occorre dirlo, sarà quanto possibile
arbitrario; non implicherà alcuna responsabilità metodologica (...). La
lessia comprenderà ora poche parole, ora qualche frase; sarà questione
di comodità: basterà che sia il migliore spazio possibile in cui osservare
i sensi; (...) si richiede solo che per ogni lessia non vi siano più di
tre o quattro sensi da enumerare" [1].
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Roland Barthes |
Come è facile capire, il concetto di lessia
in Barthes è legato soprattutto alla operazione di lettura, eseguita su
un testo visto come intrinsecamente 'plurale' e aperto. Il concetto di
lessia è però usato, parlando di ipertesti, in un senso almeno
in parte diverso da quello introdotto da Barthes. I blocchi costitutivi
di un ipertesto sono infatti generalmente individuati dall'autore, non
dal lettore. Da questo punto di vista, il richiamo a Barthes ha quindi
più una funzione di rimando a un 'padre nobile' di alcuni temi cari alla
riflessione sugli ipertesti ('testo costellato', 'testo plurale') che
quella di un riferimento teorico diretto.
Per evitare queste ed altre possibili ambiguità
derivanti dall'uso della terminologia di Barthes, sono state naturalmente
proposte anche scelte alternative: ad esempio i termini texton
e scripton (quest'ultimo corrispondente a una sequenza continua
di uno o più texton presentata dal testo o ricavata dal lettore) suggeriti
da E. J. Aarseth [2]. Quanto a noi, il suggerimento (e la scelta che
abbiamo fatto in questa dispensa) è quello di preferire l'espressione
più complessa, ma più neutrale dal punto di vista teorico, di 'blocchi
costitutivi dell'ipertesto'.
Note:
[1] R. Barthes, S/Z, Paris, Seuil 1970, trad. it. Torino,
Einaudi, 1973, pp. 17-18
[2] Nonlinearity and Literary Theory, in G.P. Landow (ed.),
Hyper/Text/Theory, Baltimore & London: Johns Hopkins University
Press, 1994, pp. 51-86, p. 60
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