Programmazione


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Programmazione

 

Pedagogicamente, hanno peculiare rilievo il p. scolastico ufficiale, emanato dall'autorità responsabile, e il p. personale di ciascun insegnante (detto anche piano di  lavoro, annuale, mensile o settimanale) e di ciascun  alunno (in alcuni metodi stranieri fissato in anticipo, con  una sorta di contratto). Il p. ufficiale determina a grandi  linee i fini, i contenuti e i mezzi dell'educazione e dell'istruzione; esso può avere in tutto o in parte carattere vincolante, oppure soltanto indicativo.

Nella scuola italiana, a un primo cinquantennio di programmi precettivi prevalentemente strumentali e contenutistici è succeduto un cinquantennio di programmi  indicativi prevalentemente attivistici; nell'ambito della  scuola primaria, la vigenza media dei programmi tra una  modifica e l'altra è stata di circa dodici anni; solo gli  ultimi hanno già superato i vent'anni. 

Dal vocabolo p. è derivato quello di Programmazione; con esso s'intende una previsione a medio e a lungo  termine di certe tendenze (trends) di sviluppo, economico o sociale o culturale, nel nostro caso scolastico,  effettuata dai responsabili dei pubblici poteri, per meglio  indirizzare l'azione di governo all'adozione di misure di  promozione, di controllo o di correzione. In ambito più  particolare, essa designa la definizione degli obiettivi e  l'organizzazione del curricolo. 

Nell'elaborazione dati si dice programma il complesso di  dati e di istruzioni per la loro elaborazione; il p. è  formulato in un apposito linguaggio e inserito negli organi  di entrata del computer mediante schede perforate o  nastri magnetici in codice che costituiscono il cosiddetto  elemento flessibile (software) dell'elaborazione.

Programmazione educativa e programmazione didattica

La programmazione educativa si riferisce alla definizione, acquisizione e valutazione di obiettivi che riguardano le aree in cui convenzionalmente possiamo articolare la personalità umana e perciò, in quanto attengono a comportamenti che possiamo definire «transdisciplinari», interessano tutti gli insegnanti. Si tratta dell'area sociale (le relazioni interpersonali), dell'area cognitiva (sapere e saper fare), dell'area motoria (educazione all'uso corretto dei proprio corpo nello spazio), dell'area affettiva (emozioni o sentimenti; ciò in cui il ragazzo crede: saper essere); l'aspetto più delicato e complesso, quest'ultimo, del processo educativo. I primi tre ambiti si riferiscono in pratica a ciò che il ragazzo fa; il quarto ambito, a ciò che il ragazzo è, vuole, e prova: la delicatezza e la complessità del problema legato all'area affettiva nascosto dalla considerazione secondo la quale ciò che il ragazzo impara e sa fare è determinato da ciò che vuole fare ed essere.

A voler precisare correttamente il concetto di interdisciplinarità (vedi) dobbiamo rifarci a questa particolare prospettiva, intendendo l'interdisciplinarità educativa come il principio secondo il quale tutti gli insegnanti, pur nella specificità della disciplina, perseguono i medesimi obiettivi educativi: ciò deve essere sempre e comunque garantito e difeso perché ciascun docente è specialista nella sua disciplina. Gli insegnanti utilizzano perciò, a questo scopo, i contenuti, gli strumenti, i metodi, propri della disciplina, organizzati a loro volta nella programmazione didattica.

E' programmazione didattica, dunque, il collegamento della programmazione educativa agli obiettivi, ai contenuti, agli strumenti propri di ciascuna disciplina: in pratica essa rappresenta la «traduzione» degli obiettivi educativi nello specifico operare in classe, da parte dell'insegnante, così che il ragazzo, attraverso i contenuti disciplinari, acquisisca i comportamenti (sociali, cognitivi, affettivi e motori) previsti dal progetto educativo.

Programmare per obiettivi

L'opzione a favore degli "obiettivi" promette di adottarli come “organizzatori" dell'attività scolastica per vari motivi:

gli obiettivi possono operare come criteri di selezione nella congerie dei contenuti proposti, comprendendo quelli pertinenti ed escludendo quelli spuri;

  • gli obiettivi possono aggregare unitariamente contenuti anche disparati fra loro, accomunabili tuttavia per gli intenti formativi che si propongono di conseguire;

  • gli obiettivi possono consentire di finalizzare distintamente gli insegnamenti alle attese dichiarate dei gradi scolastici susseguenti e alle competenze richieste dal mondo delle professioni;

  • gli obiettivi possono differenziare in progressione lineare l'insegnamento, a seconda dei gradi di padronanza accessibili agli studenti nei tempi dati, oppure ottimizzando i risultati assegnando tempi su misura delle abilità degli studenti. Assunti nel combinato disposto delle potenzialità su elencate, gli obiettivi appaiono in grado di assicurare un livello  più qualificato alla programmazione scolastica, ovvero alla capacità di prevedere e di controllare l'attività educativa intenzionalmente istituita. Difatti, gli obiettivi permettono:

  • di anticipare i risultati attesi, prima di procedere nell'insegnamento e quindi di controllare, lungo l'itinerario il grado di avvicinamento ai traguardi mirati,

  • di rendere trasparente, agli operatori direttamente coinvolti, ai destinatari interessati ed al pubblico in generale la portata ed il senso dell'attività organizzata nella scuola, quindi di accertarne la legittimità in ordine ai valori che è chiamata a perseguire e l'adeguatezza rispetto alle risorse che ad essa vengono assegnate.


 

PROGRAMMAZIONE CURRICULARE

*Da "Raccomandazioni per l'attuazione delle Indicazioni Nazionali per i "Piani di Studio Personalizzati" nella scuola primaria. Bozza del 24 luglio 2002"

Programmazione curricolare. La logica dei Curricoli ha avuto modo di rafforzarsi, nel nostro Paese, a partire da una constatazione: l'astrattezza dei Programmi. Voler trasferire senza mediazioni e modellamenti il "nazionale" nel "locale" e il "generale" nel "particolare", infatti, significa per forza di cose sacrificare uno dei due elementi. Si è, dunque, costretti ad essere trasgressivi o verso l'alto, disobbedendo alle indicazioni dei Programmi ministeriali, o verso il basso, ovvero alle esigenze e alle specifiche situazioni di apprendimento degli allievi.
La Programmazione Curricolare ha inteso superare questa antinomia, dando ragione sia alla logica dei Programmi sia a quella dei Curricoli per quanto affermavano e torto per quanto ambedue negavano o tacevano.
Con la Programmazione Curricolare il Ministero è stato così chiamato a concepire in modo diverso i Programmi: non più istruzioni da far applicare esecutivamente in ogni classe della penisola, bensì vincoli nazionali che ogni scuola è chiamata autonomamente ad interpretare e ad adattare alle esigenze della propria realtà formativa. Il Ministero, come dispone l'articolo 8 del Dpr. 275/99, detta, in questa prospettiva, gli ordinamenti del sistema educativo di istruzione e di formazione, gli obiettivi generali del processo educativo, gli obiettivi specifici di apprendimento, gli standard di prestazione del servizio, i criteri generali per la valutazione. Questa l'uniformità astratta, valida per qualsiasi scuola e gruppo classe e singolo allievo del Paese, dettata dal centro.
La responsabile concretizzazione di tempo, luogo, azione, quantità e qualità di questi vincoli astratti, tuttavia, è di piena responsabilità professionale delle singole scuole e dei docenti.
Sul piano professionale, perciò, l'atteggiamento richiesto ai docenti non è più quello dell'applicazione e dell'esecuzione più o meno impiegatizia, bensì quello della creativa e responsabile progettazione di scelte educative e didattiche che declinino ed intercettino il "generale" nel "particolare", il "nazionale" nel "locale", "ciò che vale per tutti" in "ciò che vale per me, per ciascuno".
I docenti, le scuole, se coerenti con la logica della Programmazione Curricolare, non possono non coinvolgere, in questa operazione, i genitori, i ragazzi ed il territorio, ma è capitato anche che, qualche volta, l'inerzia della vecchia logica dei Programmi spingesse semplicemente a trasferire quest'ultima a livello "della scuola o al massimo della classe". Ovvero a cambiare soltanto l'estensione dell'uniformità: "nazionale" nei Programmi, "di scuola o al massimo di classe" nella Programmazione Curricolare. E a lasciare che fosse sempre l'intenzionalità dei docenti e dei professionisti dell'educazione a prevalere, con le famiglie ed i ragazzi destinatari, non protagonisti, di questa intenzionalità. Come, in fondo, sebbene in maniera più intensa, accadeva con la logica dei vecchi Programmi.


 

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