Un curricolo per la competenza linguistica


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Un curricolo per la competenza linguistica

L’emergenza linguistica delle nuove generazioni è drammatica e pericolosa. I dati Invalsi a proposito degli esiti della istruzione media confermano quanto di fatto ci è già noto da tempo: la comprensione e la produzione linguistica dei nostri giovani sono di una carenza intollerabile. E, se è vero che tra pensiero e linguaggio corre un filo diretto, è anche vero che è la stessa elaborazione intellettuale che rischia di venir meno. E’ l’organizzazione intelligente dei connettivi logici, soprattutto di quelli della subordinazione, che incrementa la produzione intellettuale, che si fonda su interrogativi, ipotesi, dubbi, argomentazione, quindi ricerca e soluzione progressiva ai problemi dello studio, ma anche del vivere quotidiano. Quanto ci ha stupito il tormentone delle due ragazze di Ostia, quelle di “na bira e un calippo”! E quanti loro coetanei si esprimono così!
Il fatto è che l’aggressione alla lingua viene in primo luogo dal sociale, da un tessuto linguistico, anche e soprattutto adulto, che si fa sempre più sgangherato, in cui la parolaccia e l’interiezione ricorrente diventano il sostitutivo dell’argomentazione: e ciò si verifica in larga misura in quasi tutti i ceti sociali. E non manca un’aggressione mirata contro la lingua nazionale da parte di coloro che pensano che il dialetto sia il veicolo comunicativo da privilegiare. Nulla contro i dialetti e le loro specificità, la loro conservazione e valorizzazione, ma tutto contro di essi, se pensiamo che una relazione scientifica di alto livello possa ritrovarvi modi e forme necessarie ad una rappresentazione completa, efficace, comprensibile! Per non dire del linguaggio degli sms, per cui vale lo stesso discorso: nulla contro purché la riduttività linguistica non si riduca a povertà concettuale! Del resto, i linguaggi stenografici non hanno mai avvilito la ricchezza della comunicazione.
Dinanzi a questa situazione del sociale, assolutamente poco incoraggiante, la scuola sembra non solo incapace di opporre una sua linea educativa, ma spesso sembra addirittura gettare la spugna! Ed il fatto che giovani laureati non superino le prove scritte ai concorsi a causa della povertà, della scorrettezza e della sciatteria delle loro prove (errori ortografici, morfologici, sintattici, lessicali) sembra ormai non stupire più di tanto.
A mio avviso, la debolezza della istituzione scuola in merito discende da diversi fattori. Il primo riguarda l’assoluta discontinuità tra i gradi di istruzione che riguardano i primi anni dell’età evolutiva. Nulla da dire per quanto riguarda la scuola dell’infanzia che in genere assolve bene il suo compito di prima socializzazione e di prima alfabetizzazione. Gli Orientamenti del ’91, nonostante i discutibili ritocchi apportati in più occasioni (le tentate e maldestre riscritture operate sia con le Indicazioni nazionali della Moratti che con le Indicazioni per il curricolo di Fioroni), in effetti sembrano reggere ancora. I guai vengono successivamente. Il percorso di istruzione obbligatoria ha la durata, oggi, di ben dieci anni, ed appare assolutamente impossibile e assurdo che in dieci anni questo primo grado di istruzione non riesca a produrre giovani che siano padroni della strumentazione linguistica di base, quella che riguarda il linguaggio comune, su cui nei successivi gradi di studio si innesteranno i linguaggi specialistici, quello scientifico, quello economico, quello giuridico, quello letterario, e così via a seconda delle opzioni che gli studenti via via andranno operando.
Disgraziatamente il percorso decennale non è affatto unitario: è diviso in quei tre gradi purtroppo discontinui, ciascuno chiuso nella sua specificità, dettata da una tradizione in cui si sono venuti stratificando modelli di scuola diversi senza però mai legarsi saldamente uno con l’altro. Pensare ad un curricolo linguistico verticale continuo decennale in una simile situazione ordinamentale è estremamente difficile. Ma vi è un secondo ostacolo, forse ancora più grave: il fatto che ciascuno dei tre gradi opera senza avere riferimenti programmatici certi. Dalla Moratti alla Gelmini, quindi dal 2003 ad oggi si sono abbattute – il verbo non è affatto ridondante – sulle scuole elementari e medie processi riformatori che hanno più creato sconcerto che certezze. Per non dire che oggi un insegnante della scuola elementare e media è ancora in attesa che il Miur vari un ulteriore documento riformatore che coniughi insieme i documenti riformatori pregressi: operazione assai difficile, dati i motivi ispiratori così diversi che li animano.
Allo stato attuale abbiamo questa situazione, assai generalizzata nelle scuole di tutto il Paese. Vi sono scuole elementari che, non accettando la riforma Moratti, essendo incerte sui provvedimenti ponte di Fioroni, non ricavando certezze dalla innovazioni della Gelmini, continuano a lavorare con i Programmi dell’85. Vi sono scuole medie che, per le medesime ragioni, continuano a lavorare con i Programmi del ’79. Vi sono scuole che hanno optato diversamente, sì alla Moratti, oppure sì a Fioroni, oppure sì alla Gelmini. E vi sono scuole in cui si insegna senza sapere neanche con chiarezza a quale indicazione programmatica ci si ispira. Una situazione simile comporta che un alunno che si trasferisce da una scuola all’altra, o ripete parti di programmi o ne perde altre. E ciò si verifica a volte anche nel passaggio da una classe all’altra. Ogni insegnante lavora secondo criteri suoi, spesso né comunicati né condivisi con altri. Per non dire del frequente cambio di insegnanti, per cui spesso chi arriva e chi parte non dà mai conto né di ciò che intende fare né di ciò che ha fatto! Per cui, spesso è il giorno dopo giorno che la fa da padrone! Che cosa poi accade o accadrà nel nuovo biennio obbligatorio nessuno lo sa! I tre regolamenti che riordinano – si fa per dire – il secondo ciclo, sono assolutamente avari di indicazioni forti e chiare circa l’adempimento dell’obbligo di istruzione, ed ancora più avaro è il modello di certificazione (dm 9/10). Ciò che sarà certa è la solita solfa di molti insegnanti: “ma perché li promuovono? Ma perché non si iscrivono ai corsi professionali? Ma perché… ma perché… ma perché” Con tutti quei deleteri effetti, da quello alone a Pigmalione, che regneranno ancora sovrani! In una situazione così precaria è mai possibile pensare ad un curricolo decennale verticale continuo, e che non riguardi solo la competenza linguistica? Sembrerebbe di no! E non è un caso che anche per altre competenze si avverte una carenza normativa, soprattutto per quelle logico-matematiche, insomma per tutte quelle che sono all’attenzione delle ricerche Pisa e Invalsi.
Lo stato che ho descritto è indubbiamente abbastanza pesante. Ma allora viene da chiedersi: è possibile una rimonta? Sarebbe possibile ipotizzare, progettare e realizzare un curricolo decennale che ponga al centro l’acquisizione da parte dei nostri alunni di una competenza linguistica di base? A mio parere, sì! Purché si verifichino alcune condizioni. In primo luogo occorre la contiguità, la vicinanza fisica, delle istituzioni dei tre gradi; in secondo luogo, l’assunzione di un impegno da parte degli insegnanti dei tre gradi a garantire la continuità didattica; ed ancora, un congruo tempo a disposizione, ovviamente non remunerato, per dare corso e corpo al progetto. Sarà poi opportuno ragionare in termini di tempi lunghi, perché il percorso obbligatorio dura dieci anni, che non sono affatto pochi. Sarà bene assumere come competenze linguistiche terminali le tre di cui al dm 139/07: e chi insegna in una prima elementare deve sapere e condividere che i suoi alunni in dieci anni di tempo devono acquisire quelle competenze. Ciascun podista misura le sue forze e il suo fiato in ordine al traguardo che deve raggiungere: un conto sono i cento metri, un altro i diecimila! Con questo spirito gli insegnanti di lingua (e non è detto solo loro) dei tre gradi di scuola possono cominciare a lavorare in termini di progettazione: che cosa facciamo, o meglio che cosa facciamo fare ai nostri alunni nel primo anno, poi nel secondo e così via, indipendentemente dalla tipologia del grado: è essenziale ragionare in termini di continuità ed in ragione del concreto sviluppo-crescita dei singoli alunni. Occorrerà anche considerare ciò che le prove Invalsi propongono al termine di alcuni anni di studio e desumere da queste obiettivi, abilità, competenze che potremmo definire intermedie. Gli insegnanti avranno così costruito un primo layout, una prima traccia su cui operare. Ed insieme saranno consapevoli che di anno in anno ciascuno dovrà consegnare il testimone al “compagno di staffetta” in questa corsa che ha una lunga durata: dieci anni!
Occorrerà poi attentamente considerare che la fruizione e la produzione linguistica si muove sempre su più fronti, di cui sono importanti quello essenzialmente informativo e quello essenzialmente formativo: quello che non può fare a meno della logica (il gatto miagola) e quello che, invece, ne prescinde (il gatto del Cheshire che colloquia con Alice). Insomma prosa e poesia, senza scomodare Croce, obbediscono a funzioni e a finalità diverse. Guai se l’insegnante non tenesse conto delle possibilità che sono offerte al suo insegnamento e ai suoi alunni. Occorre lavorare molto sul formativo per cui gli alunni più piccoli sono sempre più che pronti, ed in contemporanea graduare l’informativo per evitare, ad esempio, di far studiare la proposizione consecutiva tre volte negli anni, o addirittura di ignorarla. Come ed in quali tempi e con quali cadenze graduare l’acquisizione da parte degli alunni di tutto il ricchissimo repertorio della sintassi? Come aiutarli a mettere insieme (σύνταξις, appunto) con criteri altamente organizzati e informativi le diverse parti del discorso? Ed aiutarli a utilizzare sempre al massimo il fecondo rapporto che corre tra la parola e la cosa, tra la parola e l’evento, tra la parola e l’immagine: in considerazione del fatto che interagiscono produttivamente funzioni diverse delle nostre capacità cerebrali, perché la parola è creazione, non è dar nome alle cose!
Sarà comunque importante che l’insegnante… non insegni! Che parli di meno e faccia fare e parlare e scrivere di più! Il linguaggio va stimolato, non va insegnato. Poi sul prodotto si esercita quella che molti chiamano la riflessione sulla lingua, che non è tout court la grammatica. Posso dire: “Sono andato alla festa di mio cugino, poi sono tornato a casa, poi ho cenato, poi ho visto la televisione e sono andato a letto”. Ma posso anche dire: “Finita la festa, sono rientrato a casa e, dopo aver cenato ed aver visto un po’ di televisione, stanchissimo, sono andato a letto… che sonno!”. Ed in mille altri modi, utilizzando codici ora più ricchi e circostanziati, ora più poveri e scarsamente comunicativi!
Messo a punto il progetto, di cui tutti gli insegnanti dei tre gradi siano partecipi convinti, l’attenzione andrà tutta sui metodi. La didattica laboratoriale (nei tre regolamenti gli accenni sono frequenti) dovrà costituire il leitmotif costante per l’intero decennio. Occorrerà passare dalla peer education alla drammatizzazione, dal problem solving alla ricerca azione, in modo che gli alunni avvertano di essere protagonisti attivi di un processo che arricchisce la loro possibilità di esprimersi e di comunicare, di ampliare gli spazi dei loro abituali orizzonti, di avvertire insomma che giorno dopo giorno crescono e… solo così sarà sconfitta la noia di una scuola che avvertono inutile ed estranea ai loro interessi, al loro mondo. Che la scuola, insomma torni ad essere veramente quella σχολή in cui si cresce e si apprende in libertà!

Roma, 7 agosto 2010
Maurizio Tiriticco

 

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