Valutare a scuola nel terzo millennio


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Valutare a scuola nel terzo millennio

di Gabriella Giornelli

Per iniziare, alcune esperienze sulla valutazione

Stefania è architetto con funzioni dirigenziali nel comune, ha seguito con successo gli studi universitari, vincendo i concorsi relativi alla sua professione, eppure quando ripensa alla scuola passata, quella delle medie e delle superiori, ha in mente la noia delle lezioni, i bigliettini mandati di nascosto alle amiche e, soprattutto, il ritornello dei suoi insegnanti: può fare di più non s'impegna abbastanza . Manuela ha funzioni dirigenziali all'interno dello stesso comune e anche lei, ricordando gli anni della scuola di base, ricorda con amarezza la valutazione finale della terza media: si consiglia il prolungamento degli studi in scuole professionali; solo la sua tenacia e la comprensione della famiglia le hanno consentito di proseguire gli studi, al liceo classico, per diventare poi avvocato. La sua storia è molto simile a quella di Stefano, medico dentista di successo a cui gli insegnanti avevano sconsigliato addirittura il proseguimento degli studi, suggerimento che non ha seguito orientandosi invece verso studi molto impegnativi.
Ancora un'altra storia: gli studenti di una scuola professionale, invitati a leggere libri o riviste, si sono scusati dicendo “ma prof. noi siamo delle professionali, non siamo del liceo.” E ancora in modo molto più esplicito “noi non siamo intelligenti come quelli del liceo”. Già quest'affermazione mostra uno scivolamento dal valutarsi come studenti di serie B a sentirsi anche come ragazzi di serie B.
Un'altra storia ancora per riflettere: Stefano T. doveva essere segnalato nella scuola media come alunno portatore di deficit: solo la determinazione di alcuni insegnanti ha evitato la segnalazione e ora è un ingegnere ben inserito nel mondo lavorativo. Marcello, invece è un alunno definito dai suoi insegnanti “geniale e particolare”, ma speso questo gli costa delle valutazioni più basse rispetto ai suoi compagni perché non si limita a ripetere la lezione così come l'ha studiata, ma la rielabora aggiungendo informazioni reperite altrove, in altri testi.

Valutare non è dare solo un voto o un giudizio

Queste storie facili da rintracciare nella nostra esperienza, ci conducono ad alcune riflessioni:
- La valutazione data dalla scuola spesso non è assolutamente in grado di prendere in considerazione le reali possibilità degli studenti, ma è molto miope e riduttiva, incapace di vedere oltre i limiti posti dal contesto scolastico stesso;
- La valutazione non si limita a “dare valore” ad un percorso scolastico, non descrive solo come è stato fatto un compito, qual,i sono i risultati del tuo lavoro ma, in base a quello che uno fa a scuola, suggerisce cosa fare dopo, quale scuola successiva affrontare ed eventualmente quali mestieri possibili scegliere. È orientativa nel bene e nel male e, come dicono gli studenti di quell'istituto professionale, chi va bene va al liceo e potrà essere considerato intelligente, chi non raggiunge risultati positivi, va in un ordine di scuola considerata inferiore e sarà considerato meno capace.
- Ogni valutazione (oltre al voto, al giudizio, ecc.) racconta molto di più alle persone interessate ed è sul non detto, sul sottinteso, su quello sfondo di pregiudizi (sul quale si muovono numeri, giudizi, opinioni di insegnanti e genitori) che nascono la rappresentazione di sé e la possibilità di sognare il futuro. Per rappresentazione di sé s'intende come uno si vede, come si definisce, come si sente, come intuisce le proprie qualità, difetti e come si considera in relazione agli altri. La possibilità di sognare è quella che apre le prospettive verso un futuro stimolante e desiderabile; ma questo può essere anche percepito come nero, limitato o non raggiungibile. È in quel punto che crolla il limite del sogno di molti giovanissimi: Angelo, uno studente dell'istituto professionale “sognava” di diventare avvocato, ora dice che può ambire solo ad essere parrucchiere, perché non è sufficientemente capace.
- La valutazione ha la possibilità, inoltre, di selezionare quello che è “normale” da quello che è “al di fuori della norma”, sia quando effettivamente l'alunno interessato ha bisogno di aiuto e avrebbe vantaggio in una segnalazione, sia quando soltanto l'insegnante ritiene sia una necessità, semplicemente perché lo studente fatica a stare al passo con la scuola. Se poi il metro di riferimento è rigido, si rischia di non sapere considerare bene la particolarità dell'intelligenza che si mostra a scuola: con la valutazione si disegna un contorno in cui si vede muovere l'altro, lo si mette in uno spazio definito e l'altro percepisce questo contesto e ne è condizionato. “Ti mettono in una scatola, se è grande va bene, se è piccola ci stai stretto, ma di lì non ti muovono “ (Marco)

Valutare è un sistema complesso

Valutare dunque non è una questione tanto semplice, quando valutiamo siamo all'interno di un sistema complesso. Esistono due abitudini di pensiero che si riferiscono a due diversi sistemi di riferimento: il sistema semplice e il sistema complesso.

 

Col numero semplifico

Quando uso un sistema di valutazione numerico mi riferisco ad una gradualità di valori chiari, con un metro di riferimento che va da un valore estremamente basso al più alto possibile: applico un criterio di valutazione tipico di un sistema semplice, dove l'errore può essere numerato, dove tutto quello che viene espresso ha per ciascuno lo stesso significato. Infatti il numero definisce in modo non discutibile quello che “è giusto” da quello che “è sbagliato”: in un sistema valutativo decimale, fino al 5 viene considerato tutto ciò che è stato prodotto, solo dopo il 6 s'inizia a considerare giusto il risultato. Allo stesso modo chi giudica dice che alcuni “hanno torto” e altri “hanno ragione”; ancora, se adottiamo un sistema di valutazione numerico vuol dire che attribuiamo uno stesso significato al risultato dei lavori, al tipo di risposte date in un'interrogazione e agli errori fatti. Quando si usa un sistema valutativo numerico limito il contesto da definire (ad esempio “l'esercizio è fatto bene/è sbagliato) e all'interno di questo contesto definito e semplificato io faccio delle scelte. Questa semplificazione non può prendere in considerazione la varietà dei singoli individui, degli studenti, o i loro percorsi che stanno affrontando individualmente.
Il linguaggio numerico prevede una “monocultura” all'interno della quale gli stessi simboli hanno per tutti un identico significato, dove il limite della scala numerica in alto viene definito dal migliore della classe e in basso da quello che ottiene prestazioni più scadenti, dando per scontato che il valore di questa scala sia chiaro per tutti.
L'uso abituale della valutazione numerica, a scuola, sottintende delle informazioni che non vengono esplicitate se non nel momento in cui parli con gli insegnanti: ad esempio un elaborato a cui è stato attribuito un valore molto basso, ad esempio 5, viene pensato come prodotto da un altro bambino, già subito l'insegnante dice che avrebbe usato un altro metro valutativo ( ad esempio Andrea ha preso 6 perché pur avendo fatto degli errori è migliorato rispetto ai sui livelli iniziali, Marco invece, si è beccato 5 perché non ha fatto progressi rispetto ai livelli precedenti). Ma se io non esprimo le differenti considerazioni attraverso parole, attraverso un giudizio scritto, nessuno potrà capire il senso della valutazione e tanto meno i diretti interessati. Un semplice voto mostra l'indice di gradimento di chi sta valutando e ha la funzione di metter in risalto le differenze, esaltando chi va bene e umiliando chi va male: va bene per una scuola selettiva ed è in se stesso un rinforzo della selezione che è in atto. Chi viene valutato con voti molto alti tenderà ad avere una forte stima di sé, ma chi sarà giudicato attraverso una serie di numeri troppo bassi sarà portato a non stimarsi degno di un proseguimento degli studi. Eppure H.von Foerster ci ricorda che una valutazione molto alta a scuola spesso rappresenta il massimo grado di “banalizzazione” raggiunto dallo studente, intendendo per banalizzazione, una forma di addestramento mentale per cui la mente dello studente si adegua a fare quello che l'insegnante richiede, senza rielaborare la conoscenza in modo individuale e consapevole. Egli stesso invita gli insegnanti a considerare la particolare intelligenza di ognuno e la capacità di ogni essere umano di rielaborare le informazioni in modo originale e personale. Solo una valutazione che tenga conto di ciò potrà valorizzare le peculiarità di ognuno.

Intrecci nel sistema di valutazione

La valutazione scolastica dovrebbe avere criteri tipici di un sistema complesso. Complesso non sisgnifica troppo complicato, impossibile da effettuare. Cum-plexus significa che mi trovo in un sistema in cui molti contesti s'intrecciano tra loro e io ne devo tener conto, non per complicare la vita, ma per non banalizzare la valutazione. Il primo chiarimento da dare è che o la valutazione scolastica ha una valenza formativa educativa o non è una formazione scolastica; la valenza formativa educativa si ha se quella valutazione ha senso per quel bambino, se gli ridà la giusta dimensione del suo lavoro ed egli può collocare quanto ha fatto nel percorso di formazione che sta effettuando.
La valutazione deve dare indicazioni di cosa fare dopo come lavoro, come attività per raggiungere risultati migliori (il generico “devi impegnarti di più” implica un giudizio negativo, non dà delle indicazioni, ma se io scrivo “devi ripassare i verbi” la valutazione indica anche il tipo di azione che deve seguire la prestazione fatta). Il punto centrale del sistema di valutazione è che ogni forma di valutazione data deve rafforzare il legame nella relazione d'insegnamento/apprendimento e rinnovare i patti. C'è, infatti, un legame fortissimo fra la valutazione, l'apprendimento e l'insegnamento: ci sono valutazioni che bloccano l'apprendimento e sono quelle che rendono impotente chi è valutato, senza desiderio di superare le proprie difficoltà, incapace di agire. Le valutazioni che spingono ad apprendere (e dunque a migliorarsi) sono quelle che aprono al desiderio d'imparare, perché uno si sente capace di superare i propri limiti: non c'è un giudizio che sta sopra al lavoro calato da un osservatore esterno, ma la considerazione sul lavoro che implica anche una complicità di chi sta insegnando. È come se l'insegnante dicesse stai facendo un grosso sforzo ma non sei da solo, ci sono anch'io. Se un bambino o uno studente si sente solo, pensa di non farcela, si scoraggia, si fa da parte, abbandona, lascia lo sforzo ad altri. Un bambino non sa se è intelligente, capace, se ce la farà nel futuro: le sue potenzialità gli vengono mostrate dagli adulti, quelli che ama, prima di tutto, e dagli insegnanti a scuola. Ogni forma valutativa, per essere efficace e tendere ad una forma di apprendere ad apprendere, deve implicare un'autovalutazione da parte dello studente, una sua riflessione su quello che fa e su come lo fa, perché solo da questa riflessione possono arrivare quegli aggiustamenti che gli permetteranno di avere un miglioramento consapevole del suo percorso scolastico e formativo.
Qualcuno, a questo punto, può pensare che è quasi impossibile “valutare bene”: sì è vero, quella della valutazione è una partita molto dura da giocare e che non s'impara mai a sufficienza, ma se siamo all'interno di una reale situazione educativa, in una relazione forte d'insegnamento/apprendimento, l'insegnante e lo studente vivono una coevoluzione reciproca, in cui la valutazione è una delle tante strategie comunicative.Ci si capisce e ci si aggiusta in continuazione.

(Dal sito Paesaggi Educativi)

 

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