Virtuale
* Concetto e applicazioni (Stefano Penge)
Spesso si usa il concetto di virtuale in maniera forse impropria, con accenni e allusioni. È venuto il momento di ricostruirne gli usi "ufficiali". Il termine virtuale deriva dal latino virtus, forza, potenza. Nei termini della filosofia scolastica medievale, viene chiamata qualità virtuale una qualità posseduta in potenza, ma non in atto. Questo significato è rimasto nella fisica moderna. Così in ottica si parla di immagine virtuale e in meccanica di lavoro virtuale, per indicare cause che non hanno effetti attuali, ma che potrebbero averli sotto determinate condizioni.
La parola è stata ripresa recentemente per indicare una branca dell'informatica che idealmente continua le ricerche del cinema 3D degli anni 50: studi ed esperimenti tesi a costruire una macchina che simuli stimoli sensoriali, visivi e sonori, in modo da dare all'utente la sensazione di essere realmente in uno spazio differente da quello fisico in cui si trova. Abbastanza stranamente - almeno rispetto alla consuetudine della scienza tradizionale - un ruolo trainante nello sviluppo di quella che è oggi la Realtà Virtuale è stato rivestito da una certa letteratura americana (il genere cyberpunk: soprattutto William Gibson, Bruce Sterling e Rudy Rucker), che negli anni 80 ne ha messo a punto l'armamentario concettuale, se non terminologico: la matrice, il deck, la navigazione. Abbiamo già incontrato questi concetti a proposito della videoscrittura e degli ipertesti. La matrice è ciò che abbiamo chiamato struttura matematica, il deck corrisponde allo strumento di rappresentazione e la navigazione è la metafora principale dell'interazione.
La parte interessante della Realtà Virtuale non è tanto la qualità quasi-realistica della simulazione, che cresce parallelamente allo sviluppo dell'informatica hardware (processori sempre più veloci, memorie sempre meno care, conduttori sempre più efficienti). Quello che va sottolineato è invece un altro aspetto: la matrice (la struttura informatica sottostante), che è alla base dei suoni e dei colori percepiti tramite il deck, ha le caratteristiche di uno spazio reale. Il ciberspazio ha una metrica, cioè i suoi luoghi sono disposti in un ordinamento totale. Ci sono poi connessioni tra punti particolari, che permettono di "saltare" dall'uno all'altro. Nei luoghi sono collocati oggetti tridimensionali, che possono cambiare posizione reciprocamente. E così via.
L'aspetto percettivo viene alla luce solo quando viene definito all'interno dello spazio un punto di vista: vengono calcolate allora tutte le superfici visibili da quel punto, e viene costruita un'immagine parziale, una prospettiva dello spazio virtuale. Quest'immagine può essere visualizzata su uno schermo, su di un monitor, o, meglio, su due micro-monitor fissati ad una piccolissima distanza dagli occhi, in modo da impegnare completamente il campo visivo.
Cos'è allora il ciberspazio? Un mondo fatto di informazione, gestito, coordinato, rigenerato continuamente da un computer in dipendenza da azioni esterne (principio di connessione). Un mondo che evolve nel tempo, che può crescere e modificarsi a seconda delle scelte degli "attori" che interagiscono con esso. È proprio il concetto di attore che rende il ciberspazio diverso da un qualsiasi ambiente software: tutte le modifiche al ciberspazio sono apportate dall'interno. Voglio un ambiente più luminoso, decido di accendere una luce: ma non è la mia mano reale che invia al computer "host" il comando corrispondente, scrivendo sulla tastiera, bensì la mia mano virtuale che preme un altrettanto virtuale interruttore. Così il ciberspazio potrebbe essere visto come l'interfaccia più comoda, naturale e efficace che sia mai stata progettata per ogni tipo di macchina. Qui l'attore è dentro l'interfaccia, e questo è il lato attraente e spaventoso insieme del ciberspazio.
Un attore ha due aspetti: da un lato è una funzione matematica, che serve al computer che ospita il ciberspazio a calcolare le variazioni di struttura dello spazio in dipendenza da un mutamento di certi parametri; dall'altro, è il rappresentante, all'interno dello stesso ciberspazio, di una volontà che è causa di quelle variazioni. Questi due aspetti possono essere uniti, ma anche separati. Nel mondo reale non siamo abituati a questa distinzione: ogni soggetto, ogni causa, è anche necessariamente oggetto di percezione almeno possibile. Il nostro concetto di realtà è messo qui a dura prova.
Il concetto di attore non si restringe necessariamente a quello di essere umano: anche un programma può funzionare come un attore (una specie di robot virtuale, magari privo di ruote e pinze d'acciaio). Ma non è detto che la rappresentazione visibile dell'attore nel ciberspazio abbia l'aspetto di un robot, o possa essere distinguibile dall'attore di un essere umano. Viceversa, un uomo potrebbe essere rappresentato nel ciberspazio da una forma animata qualsiasi, o da più forme diverse contemporaneamente. Si vede subito che il ciberspazio, a dispetto della sua natura deterministica e matematica, ammette delle possibilità che la realtà stessa non contempla. Non siamo ancora preparati - concettualmente, oltre che tecnicamente - ai problemi della realtà virtuale. Facciamo due soli esempi.
Abbiamo visto che nel ciberspazio possono essere presenti attori diversi, il che pone immediatamente il problema della comunicazione e delle priorità (di tempo e di diritto). Se A e B sono attori, e A decide di aprire una porta (virtuale) nello stesso istante in cui B decide di chiuderla, come dovrà comportarsi il ciberspazio? Dovrà mostrare ad A una porta aperta e a B una porta chiusa? Mentre la realtà quotidiana è unica e coerente, il ciberspazio può essere incoerente? O sarebbe meglio parlare di ciberspazi paralleli?
Se la qualità della realtà virtuale è alta, al suo interno si può simulare un ulteriore ingresso ad una nuova realtà virtuale. Un attore del ciberspazio C1 si infila un visore stereoscopico e un dataglove ed entra nel ciberspazio C2. Ma questo secondo spazio è in realtà esattamente identico al primo, dunque al suo interno l'attore di C2 vede se stesso come attore di C1, con tanto di casco e guanti. Chi vede chi, e chi manovra chi?
Questo tipo di problemi non è ancora stato risolto; anzi, si direbbe che non sia stato nemmeno posto nelle sedi filosofiche adeguate, come la logica e la gnoseologia.
Intanto, è già possibile sperimentare l'immersione in solitaria nel mondo virtuale. È sufficiente infilare gli occhiali speciali, il guanto dotato di sensori, ed è possibile (percepire di) volare, camminare sott'acqua, entrare in una molecola. Le applicazioni più promettenti (e già in parte funzionanti) sono proprio quelle nella formazione: in primo luogo naturalmente quelle militari, mentre per la didattica civile i costi sono ancora un po' troppo alti. Il discrimine sta ancora tra conoscenze astratte, per le quali i supporti tradizionali - i libri - sono particolarmente economici, e abilità pratiche specialistiche, che richiedono training in situazioni concrete costose o quantomeno rischiose. Un carrarmato virtuale costa molto meno di uno vero, mentre un'intera enciclopedia scritta costa comunque meno della simulazione animata di uno solo dei suoi argomenti.
E poi c'è il mercato dell'entertainment di tutti i tipi. Dal viaggio, mito della cultura americana degli anni sessanta da cui la Realtà Virtuale è in qualche modo nata, al sesso sicuro, al gioco individuale e di società.
Ci aspettano infiniti week-end galattico-casalinghi? In questa fase qualsiasi previsione, dalle più apocalittiche alle più ottimistiche, sembra priva di fondamento sicuro. Non è una novità: ogni comparsa e affermazione di un nuovo medium ha sconvolto le regole del gioco. Possiamo scegliere, tra gli scenari del passato, il modello che preferiamo: dalla lenta trasformazione della scrittura alla rivoluzione fulminea della televisione. E come sempre, la realtà supererà la fantasia.
*Il nostro io virtuale (S. Penge)
Il virtuale fa parte dell'essere stesso, viene definito come una modalità dell'essere (Caronia, Telema 16 in
www.fub.it/telema) (http://www.fub.it/telema/TELEMA16/Telema16.html) o viene definita identità virtuale il sè frammentato che emerge dal rapporto vissuto all'interno della rete (S.Turkle, ibidem).
Il virtuale sarebbe il luogo dove noi sperimentiamo la pluralità degli aspetti del nostro io frammentato (Turlkle).
La psicologia vede la Realtà virtuale spesso come potenzialità di nuove esperienze e relazioni. Entrare in rapporto ed in rapporti nuovi con personalità diverse e con diversi aspetti della nostra personalità. Una personalità che diventa multipla, ibrida, creativa.
Tenendo conto che la rete e la rv sono una specie di mondo parallelo che comunica con noi attraverso le tecnologie, ma anche e soprattutto la mente, le emozioni, i rapporti con le persone.
Tenendo conto che in rete, ad esempio, contrariamente al solito conosciamo prima l'anima e poi (e qualche volta mai) il corpo delle persone (Merciai). Pensiamo alle esperienze fatte attraverso la posta elettronica, le chat, i forum.
Il virtuale può anche essere considerato un tentativo onnipotente di annullare i limiti del reale (Merciai) e di vivere oltre il nostro corpo.
Ma può essere anche una sorta di adolescenza della vita, un luogo del gioco in cui si sogna e si provano azioni ed esperienze senza portarne le conseguenze (come nei MUD, nei giochi di ruolo ecc..).
Una interessante prospettiva è anche quella di chi osserva che la realtà virtuale ci permette di costruire mondi personalizzati in cui vivere e agire (Telema n.16 in www.fub.it/telema)
Le potenzialità della Rv starebbero nel suo potenziale ludico, di provare sensazioni ed esperienze inedite, di svelare prospettive non percepibili altrimenti.
Secondo Caronia, il virtuale può certamente essere utile per ampliare le nostre esperienze e le nostre sensazioni.
Ma può essere, egli teme, spesso pericoloso e portare a patologie attraverso la perdita del senso della realtà, dell'azione. L'importante è ovviamente preservare la nostra facoltà di discernimento fra reale e immaginario, concreto e astratto.
Dobbiamo tenere presente che la conoscenza comunque non è indipendente, ma relativa all'attività psichica del soggetto.
Già Freud aveva proposto il concetto di realtà psichica: la psicoanalisi non ricerca la realtà oggettiva, concreta, ma il vissuto emozionale (non cosa succede, ma come una persona vive le cose che gli succedono).
Non è tanto importante stabilire se una cosa è successa davvero, ma confrontarsi con le emozioni ed il vissuto del paziente di fronte ad un evento.
Un concetto di realtà quindi già fantasmatica, sublimata, virtuale.