La condotta degli studenti a scuola


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La condotta degli studenti a scuola

Anna Salerni *

Molti di noi hanno probabilmente desiderato di poter vivere l'avventura di Tonino l'invisibile, indimenticabile personaggio di Gianni Rodari: per un giorno soltanto diventare invisibili e poter fare tutte quelle cose che le regole di buona educazione e anche di buona condotta ci vieterebbero di fare.
Almeno una volta nella vita, ognuno di noi ha avuto voglia di infrangere le regole, e più probabilmente quando eravamo sui banchi di scuola. Allora, forse, abbiamo sperato di marinare la scuola, per evitare un'interrogazione o un compito in classe, di non fare i compiti, di copiare dal compagno più bravo, di dire qualche parolaccia semplicemente pensata, di prendere in giro insegnanti e compagni, di vestirci come più ci piaceva, di fare uno scherzo stupido.

Una questione complessa

Il problema della disciplina a scuola non riguarda, però, la marachella saltuaria che uno studente può commettere, ma il costante ripetersi di comportamenti non socialmente condivisi che disturbano l'attività didattica. È una questione complessa da sempre dibattuta in campo educativo, che deve essere affrontata dal primo inserimento del bambino nell'ambiente scolastico.
Il modo di affrontarlo, infatti, varia in relazione all'età degli studenti, così come rispetto al genere, alla condizione sociale, alle motivazioni, agli interessi ecc. Gli insegnanti dovranno nei primi anni di vita scolastica prestare maggiore attenzione alla scolarizzazione dell'allievo e, più in generale, al modo in cui prende parte alla vita di classe. Nei primi anni di scuola è importante educare ogni studente al rispetto di tutte quelle regole di convivenza civile. Se non si pone attenzione al possesso di questa competenza fin da quando il bambino entra nel mondo della scuola, è molto probabile che i problemi di disciplina si facciano sempre più sentire e che la loro soluzione diventi più complessa.
La risposta a questi problemi non è rintracciabile in un unico modello educativo, in quanto è il risultato di un insieme di fattori che concorrono alla sua soluzione. Le strade da seguire sono tante perché non esiste un metodo e una tecnica stabilita in astratto, valida per tutti i contesti.
Le molte ricerche sul tema della condotta permettono di affermare come i modelli di disciplina proposti - da quelli più direttivi a quelli più libertari, da quelli basati sul rinforzo dei comportamenti corretti a quelli che prevedono un forte ricorso alle punizioni, da quelli che mettono al centro l'allievo e i suoi interessi a quelli che suggeriscono un unico modello di lezione - presentino ciascuno punti di forza e di debolezza.
Se la condotta è una fra le priorità degli insegnanti, allora è necessario che essi posseggano competenze socio-relazionali che aiutino a 'tenere' la classe e a creare un clima piacevole e motivante di lavoro. Compito degli insegnanti, infatti, non è soltanto quello di saper trasmettere contenuti e conoscenze, ma anche quello di costruire nella classe un contesto che favorisca lo scambio, il confronto, il lavoro in modo da sviluppare comportamenti di autodisciplina.

La parola agli insegnanti: i risultati di una ricerca

La complessità del problema emerge anche dai dati raccolti in una recente ricerca sulla percezione della disciplina a scuola da parte degli insegnanti della scuola secondaria superiore (Anna Salerni, La disciplina a scuola , Roma, Carocci, 2005). Essi ritengono che una condotta apprezzabile sia il risultato di interventi che mirano a coinvolgere e a interessare in modo attivo ogni singolo allievo, così da renderlo effettivamente partecipe alla vita della classe e spontaneamente interessato a realizzare un clima di gruppo. Quasi tutti i docenti ritengono che un rapporto positivo con gli studenti e un insegnamento effettivamente pertinente e vicino all'esperienza e alla realtà di chi apprende siano strategie utili a mantenere la disciplina in classe e, più in generale, nella società. Tali interventi, inoltre, permettono agli studenti di arrivare in modo spontaneo a fare proprie e a rispettare alcune fra le principali regole di comportamento e di convivenza della vita di gruppo.
Tra le molte variabili di un tema così complesso, merita fare una riflessione sulla funzione dei provvedimenti disciplinari. Dai dati raccolti nella ricerca, risulta che non vi è da parte degli insegnanti una posizione chiara sul tipo di intervento da adottare e sul valore educativo di tali provvedimenti. La maggioranza degli insegnanti ritiene, infatti, che sia bene segnalare con una nota i comportamenti degli studenti indisciplinati, ma poi non crede che le sanzioni disciplinari abbiano un valore educativo.
In realtà, le sanzioni - che variano dalle annotazioni scritte alle sospensioni più o meno lunghe – a volte rischiano di essere unicamente interventi tampone. Spesso si ricorre a esse per denunciare un comportamento scorretto e per esprimerne il disappunto, ma non se ne rintraccia la funzione educativa. E ciò perché in alcuni casi i provvedimenti non sono adeguati alle 'offese', sono poco tempestivi, non danno indicazioni utili agli studenti per riflettere sulla loro condotta, e sono da loro scarsamente riconoscibili, indebolendo così il ruolo dell'insegnante di fronte alla classe.

La condotta come risultato educativo

Il frequente problema della disciplina a scuola non si risolve ricorrendo a interventi autoritari, ma facendo in modo che essa sia il risultato di un determinato percorso educativo che vede direttamente coinvolti allievi e insegnanti e, in relazione all'età degli studenti, tutti gli altri protagonisti che, in misura maggiore o minore, hanno a che fare con il processo educativo: famiglie, personale non docente, dirigenti scolastici ecc.
Per sviluppare comportamenti di autodisciplina – risultato fondamentale - non è, infatti, necessario che gli studenti abbiano paura dell'autorità, come accadeva nella scuola di un tempo, ma che riconoscano il ruolo dell'insegnante e il valore formativo degli interventi educativi da lui proposti. Per mantenere la disciplina in classe bisogna far sì che gli studenti trovino piacere per ciò che gli viene insegnato e siano effettivamente coinvolti nelle attività scolastiche in modo che l'interesse diventi un mezzo utile al raggiungimento di un fine. Nella realtà scolastica vale lo stesso principio di quando si partecipa a un gioco: nessuno deve sentire messa a rischio la propria libertà perché esistono regole che fanno parte della realtà accettata da tutti, non sono imposte da qualcuno a qualche altro e lo scopo del gioco si raggiunge solo rispettandole.
La questione, ancora una volta, rimanda alla differenza che vi è tra insegnante autoritario e autorevole. Ma su questa, come su altri problemi, ci sarebbe molto altro da dire, da dibattere e sui cui fare ricerca.

*Insegna Didattica generale presso l'Università La Sapienza di Roma

Dal sito: http://www.treccani.it/site/Scuola/nellascuola/area_scienze_umane/archivio/adolescenza/salerni.htm

 
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