Il colloquio: definizioni e riflessioni concettuali
di Barbara Calcinai
Il termine "colloquio" presenta molte definizioni. Quando tentiamo di esplicitarlo ci troviamo di fronte ad alcune difficoltà derivanti dalla molteplicità di determinate interpretazioni, anche tra loro contraddittorie e non sovrapponibili. Non esiste infatti, una concezione unica ed armoniosa di tale termine. E ciò dipende sia dallo specifico della disciplina di volta in volta protagonista, all'interno delle scienze umane, sia dagli indirizzi di riferimento all'interno della disciplina in questione. Questa difficoltà nasce principalmente dal fatto che "colloquio" sembra essere un termine da applicare a tutte le situazioni possibili, per conferire ad esse il sapore della professionalità. Tra le varie definizioni presenti in letteratura si evidenziano:
Moore (1941) definisce il colloquio psicologico come " una conversazione seria, tendente ad un determinato scopo, ad di là del puro e semplice piacere della conversazione stessa;"( cit.in Trentini, 1995, p. 40.)
Sullivan (1954) considera il colloquio psichiatrico come "una comunicazione che consiste non soltanto in uno scambio di messaggi verbali, ma piuttosto nello sviluppo di una configurazione delicata e complessa di processi di campo che comportano conclusioni importanti per le persone che entrano a farne parte;" (cit.in Trentini, 1995, p. 40.)
Stack (1954) invece, sostiene che il colloquio psichiatrico sia "una situazione in cui la comunicazione avviene in primo luogo a voce, in un gruppo di due persone, che si incontrano più o meno volontariamente, sulla base di un rapporto esperto-cliente, con lo scopo di chiarire il modo caratteristico di vivere di una persona.;"(cit.in Trentini, 1995, p. 40.)
Cannel (1968) definisce il colloquio come "un processo di interazione nel quale è importante non tanto il fatto meccanico consistente in una serie di episodi discreti stimolo-risposta; ma piuttosto sono importanti i fini, gli atteggiamenti, le credenze ed i motivi dei protagonisti dell'interazione";( cit.in Trentini, 1995, p. 40)
Ancona e Gemelli (1959) considerano il colloquio come "un'interrogazione ed un rapporto e più precisamente un'interrogazione diretta a conoscere gli eventi passati della vita del soggetto e a trarre una interpretazione del suo comportamento.; "(cit.in Trentini, 1995, p. 40.)
Analizzando le varie concezioni due sono le considerazioni che si possono fare. In primo luogo, è interessante evidenziare che gli autori tendono a concepire il colloquio, solo ed esclusivamente in un unico ambito di utilizzo, quello a cui loro si riferiscono. In secondo luogo, le posizioni sostenute finiscono inevitabilmente per risultare contrastanti. Nel tentativo di superare queste divergenze, possiamo sintetizzare le diverse posizioni in due pensieri principali:
- la concezione clinica;
- la concezione psicometria
Per la concezione clinica ciò che conta nel colloquio è come il soggetto dice un qualcosa, mentre, per quella psicometrica ciò che conta è che cosa il soggetto dice. Da un lato notiamo la significatività degli atteggiamenti emersi (visione clinica) e dall'altro la quantità dei contenuti emersi, che ci consente di raccogliere, misurare ed analizzare i dati ottenuti sotto forma di contenuto (visione psicometrica).
Come manifestazione di disponibilità ma, non di compromesso tra le due concezioni in antitesi, troviamo l'impostazione antropologica, che considera il colloquio come: "un mezzo di ricerca e di intervento che implica e comprende in ogni caso un'interrogazione e un rapporto e si declina sempre sulla base di entrambe le componenti. l'interrogazione ed il rapporto" (Trentini, 1995, p.8)
Un altro modo per dare al colloquio una sua connotazione teorica, può essere quello di definire gli ambiti in cui questo generalmente avviene. Tra i vari contesti si annoverano: quello scolastico, giudiziario, aziendale, psichiatrico, giornalistico ecc. Nonostante gli ambiti applicativi siano diversi, è comunque possibile evidenziare un aspetto comune: l'interazione tra due individui. Quello che invece varia, rispetto all'applicazione pratica, è la finalità del colloquio ed il raggiungimento degli obiettivi.
Nel momento in cui caratterizziamo il colloquio come uno strumento che consente di raggiungere un risultato, che prevede uno svolgimento più o meno strutturato e che si basa sull'interazione, non possiamo limitarci a concepirlo come un semplice scambio di informazioni. Infatti a rendere il colloquio uno strumento efficiente e funzionale contribuiscono: il contesto specifico entro il quale questo avviene, il carattere dell'intenzionalità che ne definisce il contenuto e caratterizza lo scambio dell'interazione, il motivo che ne sta alla base, gli obiettivi che si vogliono raggiungere e le dinamiche del potere che si esplicano tra gli individui coinvolti.
Il colloquio è uno dei tanti strumenti psicologici che possono consentirci di indagare le conoscenze del soggetto. Nel definire il collegamento colloquio - conoscenza diventa necessario esplicitare alcune considerazioni:
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il colloquio, da sempre, è stato affiancato all'uso di test; da ciò deriva che nella pratica professionale, questo sia sempre stato visto come uno strumento di conoscenza diverso e non necessariamente mediato dall'utilizzo di strumenti psicometrici (come i test,appunto), al fine di ricavarne risultati altrettanto oggettivi e standardizzabili.
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il colloquio è stato, ed è tutt'ora uno strumento utilizzato nella professione psicologica e non in quella prettamente psicoterapeutica. Nel senso che, diventava uno strumento funzionale al prodotto richiesto allo psicologo, in funzione del contesto entro cui prendeva origine la domanda.
Infatti: " E' interessante notare come in ogni pratica psicoterapeutica sia praticamente scomparso il termine di "colloquio", se si fa eccezione per i pochi incontri che alcune volte possono precedere l'inizio vero e proprio della psicoterapia e che usualmente hanno l'obiettivo di un'analisi di fattibilità del trattamento psicoterapeutico" (Trentini, 1995, p.52.).
Analizzando il processo conoscitivo (che rappresenta una delle funzioni principali del colloquio, appunto) notiamo che esso ha una doppia valenza: sia per l'individuo, sia per il rapporto che si viene a creare tra i due protagonisti del colloquio. Da qualsiasi punto di vista si consideri questo termine "colloquio", non è possibile esimersi da trattare quelle concezioni che attribuiscono importanza all'individuo ed a ciò che egli dice (visione psicometrica), e quelle che invece sottolineano il rapporto e le dinamiche che si instaurano tra gli interlocutori (visione clinica).
Il colloquio, come strumento psicologico, segna il passaggio da una psicologia sperimentale (applicata per lo più in laboratorio), ad una psicologia orientata alla professione (applicata in molti contesti anche notevolmente diversi tra loro).
Mentre in passato l'utilizzo esclusivo dei test in ambito scolastico finiva per sminuire ed accantonare tutto il lavoro di interazione verbale tra lo psicologo ed il ragazzo, oggi fortunatamente si assiste ad un'integrazione dei due strumenti e ciò apre prospettive molto interessanti che impongono in ogni caso la definizione degli obiettivi della pratica e del prodotto da verificare.
"il colloquio segna, in sintesi, il passaggio dalla psicologia applicata, quale negazione della professione psicologica, all'intervento psicologico quale integrazione tra ricerca e professione " (Trentini, 1995, p.53.).
Il colloquio: ambiti applicativi ed esempi delle prospettive principali
In base all'ambiguità concettuale legata allo strumento del colloquio, possiamo definire i principali contesti in cui esso viene applicato ed evidenziare le differenze delle varie impostazioni che di volta in volta caratterizzano l'ambito di utilizzo, conferendo ad esse il sapore di una professionalità sempre diversa. I principali ambiti di utilizzo del colloquio vengono suddivisi in:
Il colloquio clinico
Il colloquio clinico con i bambini
Il colloquio di ricerca
Il colloquio orientativo
A) Il colloquio clinico
Il colloquio clinico è una tecnica di osservazione e di studio del comportamento umano. Gli scopi del colloquio clinico sono sia quelli di raccogliere le informazioni, che quelli di motivare ed informare il soggetto coinvolto, al fine di attuare un determinato cambiamento. Il colloquio clinico può essere applicato in contesti diversi per evidenziare i disturbi comportamentali e per esplorare in modo approfondito i meccanismi e le forze che stanno alla base dei disturbi evidenziati. Non è l'unica tecnica che permette di raccogliere informazioni dettagliate sulla personalità del soggetto, ma è uno strumento che consente di evidenziare quello che di più importante caratterizza una persona ed il suo modo di rapportarsi agli altri.
In questa ottica, possiamo considerare il colloquio in una dimensione psicosociale in cui si evidenziano, mediante la diade intervistatore-intervistato, aspetti delle dinamiche interpersonali che stanno alla base della personalità.
"Il colloquio è un caso particolare della vita di relazione del soggetto che si offre all'osservazione diretta dello psicologo" (Trentini, 1995, p.132.). Allo stesso tempo non possiamo sottovalutare l'influenza che l'intervistatore esercita nel modificare gli atteggiamenti dell'intervistato. Possiamo quindi, concepire il colloquio come un momento di influenza reciproca di due soggetti coinvolti, un complesso intreccio di fenomeni che riguarda la relazione e la comunicazione.
Numerose ricerche sono state effettuate per verificare, all'interno del processo di influenza, il ruolo dell'intervistatore. Tra le dinamiche di particolare interesse in questo ambito, si evidenziano:
- l'imitazione: processo mediante il quale l'intervistato si adegua all'intervistatore, soprattutto in relazione ad alcuni comportamenti: la durata dell'espressione verbale, l'uso delle interruzioni e dei silenzi, il tipo di espressioni verbali utilizzate, le parole usate, i gesti e le posture;
- il rinforzo: ogni atteggiamento dell'intervistato che viene premiato oppure rinforzato da parte dell'intervistatore, si riproduce con più frequenza;
- l'equilibrio: ovvero il punto di incontro che si cerca di trovare in ogni relazione e che risulta come l'integrazione armoniosa di tutte le componenti che entrano in gioco.
Un'altra variabile che occorre evidenziare è il contesto in cui avviene il colloquio clinico, la cui analisi richiede la considerazione di alcuni elementi:
- le regole: il soggetto a cui si chiede di rispondere lo fa diversamente in base alle richieste che gli sono rivolte;
- le norme: ovvero le reciproche attese di ruolo tra soggetto e intervistatore che definiscono il setting;
- i valori: invece, sottostanno alla situazione concreta e al rapporto specifico di indagine.
Inoltre, si possono evidenziare differenze a seconda che il colloquio sia sostenuto da una motivazione intrinseca od estrinseca.
B) Il colloquio clinico con i bambini
Il colloquio essendo una tecnica dinamica risulta essere un valido strumento di raccolta di informazioni sulle percezioni, sulle caratteristiche cognitive, sulle credenze e sulle abitudini dei bambini.
La conduzione stessa del colloquio effettuato con i bambini comporta, però, alcune difficoltà; infatti pur essendo la modalità verbale quella più consona a raccogliere certi tipi di informazioni, ne esistono altre altrettanto valide usate per ovviare i limiti comunicativi che possono sorgere nella relazione con i bambini piccoli.
Con i bambini che non hanno ancora appreso correttamente il linguaggio verbale, è possibile colloquiare con atteggiamenti, gesti, manipolazioni di oggetti (modalità utilizzata principalmente con bambini di età inferiore a due anni di vita, ma che riemerge e rimane costante anche in altre situazioni).
"In un colloquio di questo tipo la domanda viene posta predisponendo condizioni che sollecitino il bambino a produrre un comportamento significativo ed in particolare un comportamento di scelta tra più alternative possibili, e la risposta consiste appunto nel fatto di compiere concretamente la scelta, fornendo così gli elementi necessari per la verifica delle ipotesi che aveva ispirato la domanda" (Trentini, 1995, p.247). Più il bambino è grande più possibilità ci sono di condurre il colloquio mediante delle espressioni verbali, costituite da domande volte a raccogliere le relative risposte. Nel periodo di vita che va dai due ai quattro anni del bambino, le problematiche che insorgono sono legate, per lo più:
- alla motivazione, nel senso che il bambino utilizza una modalità di conversazione ludica, quindi anche quando è interessato ad un argomento decide lui come parlarne e quando;
- alla mancanza di coerenza della conversazione e del flusso di pensiero.
Le difficoltà che si manifestano con bambini più grandi (quelli di sette, otto anni) riguardano invece, l'aspetto sintattico e quello semantico della conversazione. L'aspetto sintattico riguarda l'articolazione delle frasi; infatti generalmente accanto alle preposizioni principali ce ne sono molte subordinate, che dividono in due la frase e che introducono periodi ipotetici.
L'aspetto semantico, invece, riguarda il significato e la comprensione del termine, che spesso tra adulto e bambino non coincidono, difatti entrambi possono usare lo stesso termine ma con significati diversi se non addirittura opposti.
Concludendo, viste le difficoltà di conduzione relative alla precoce età dei soggetti coinvolti, occorre programmare il colloquio in tutte le sue fasi, in base all'età, alle capacità linguistiche, alle abitudini ed alla natura del tema che si vuole affrontare.
C) Il colloquio di ricerca
Con questo termine intendiamo un colloquio che ha per oggetto di studio la conoscenza di un determinato oggetto che può riguardare diversi ambiti della psicologia. Il colloquio di ricerca parte da una "non motivazione" o addirittura "non conoscenza iniziale" della ragione per cui si è stati convocati a prendervi parte. L'oggetto del colloquio di ricerca, infatti si caratterizza per essere fondamentalmente conoscitivo ed esterno al soggetto.
Generalmente l'oggetto del colloquio di ricerca è conoscitivo, nel senso che la modalità per conoscere un evento diviene proprio il colloquio. E ciò finisce per far sì che si crei una forte connessione tra oggetto, processo conoscitivo di un evento e contenuti da ricercare stabiliti a priori.
Gli ambiti di applicazione sono i più disparati, vanno dalla psicologia genetica a quella clinica, sociale, fino all'antropologia culturale. Nell'ambito di una ricerca, il colloquio può essere utilizzato sia come strumento che precede la ricerca vera e propria (pre-ricerca), sia come metodologia per raccogliere dati.
Nella pre-ricerca, il colloquio viene utilizzato quando il ricercatore vuole condurre la sua indagine con la tecnica della domanda, che serve in questo caso, ad ottenere "un valore aggiunto" per la qualità delle informazioni raccolte rispetto a quelle altrimenti ottenibili con un'intervista o un questionario. Nella fase successiva le informazioni cosi ottenute potranno essere utilizzate per formulare un'intervista o costruire un questionario per raccolta di dati successivi. Il punto di partenza,come si può vedere, è rappresentato dal colloquio.
Il colloquio come metodologia vera e propria, invece, si caratterizza per approfondire un oggetto di ricerca prefissato e specifico. Una volta analizzata la bibliografia esistente sull'oggetto indagato si definisce il campione, a cui rivolgere l'attenzione per studiare in vivo l'oggetto.
In base agli ambiti applicativi, (psicologia sociale, sviluppo emotivo ed affettivo ecc.), si dovranno considerare degli aspetti fondamentali della personalità dell'intervistato, rispettandone la sua totalità e lasciando la prospettiva del giudizio per dar luogo a quella della comprensione.
Un'altra caratteristica fondamentale del colloquio di ricerca è la costruzione della traccia del colloquio, le cui aree vengono toccate in modo dinamico e flessibile per lasciare spazio al dialogo ed alla comunicazione.
Quindi il linguaggio è quella caratteristica fondamentale con cui viene condotto il colloquio e che consente di adeguarsi alla realtà psichica dell'interlocutore. Infatti, diviene fondamentale cogliere il valore individuale che assumono le parole e le frasi. Il linguaggio deve adattarsi al livello di comprensione del soggetto.
Nell'ipotizzare le aree di intervento si dovrebbe rispettare un ordine logico e psicologico, seguire sia la logica del tema trattato sia la realtà psichica dell'intervistato. Un ruolo fondamentale viene assunto dalle domande, che si articolano su tre dimensioni volte ad indagare aspetti diversi:
- fatti od eventi che si riferiscono a dati oggettivi;
- emozioni, sentimenti e stati d'animo provati in relazione ad un determinato evento;
- opinioni, giudizi, intuizioni percepite oppure pensate in una certa situazione.
Per ottenere informazioni lo psicologo può anche utilizzare delle strategie che facilitano l'emissione delle risposte (quali per esempio la riformulazione, la reiterazione ecc.).
D) Il colloquio orientativo
A differenza di altri strumenti (test, questionari ecc.) il colloquio consente di pervenire ad informazioni più dettagliate poiché esplora un livello più profondo di indagine, infatti, permette di sondare non solo il comportamento manifesto, ma tutta una serie di atteggiamenti e rappresentazioni consapevoli ed inconsapevoli dell'uomo.
Le fasi salienti del colloquio si possono suddividere in tre momenti fondamentali:
counseling esplorativo (accoglienza ed individuazione della soggettività dell'intervistato)
counseling diagnostico (raccolta di dati specifici)
counseling progettuale (congedo dell'intervistato)
L'aspetto essenziale del colloquio di orientamento risiede nella possibilità da parte del soggetto di elaborare il "consiglio", frutto di un'attività mirata ad ottenere una valutazione esaustiva di tutti i processi e le risorse messe in gioco.
1. Counseling esplorativo: il consulente stimola il racconto ed l'autoesplorazione da parte del cliente. Questo processo viene attuato attraverso:
- Accoglienza: si manifesta con un atteggiamento disponibile da parte del consulente, per rendere l'incontro il più possibile libero da ogni fattore che possa suscitare incertezza, ansia e paura nei confronti di una situazione nuova e sconosciuta. Nel concetto di atteggiamento disponibile, si includono tutti quegli aspetti della comunicazione verbale e non verbale che il consulente deve conoscere al fine di favorire l'apertura e trasmettere fiducia al richiedente per ottenere delle informazioni utili all'orientamento.
- l'individuazione dell'intervistato è invece una modalità che permette al consulente di individuare e quindi adeguarsi, al livello soggettivo di colui che ha di fronte. Ciò riguarda: i temi da trattare, l'utilizzo di un linguaggio semplice e poco tecnico, la raccolta di dati amnestici, notizie, biografiche e tutto ciò che può contribuire ad un'idea chiara e comprensibile del tipo di richiesta sollevata dall'intervistato.
2. Counseling diagnostico: il consulente si propone di valutare attraverso strumenti (test, questionari) le diverse variabili che intervengono nel processo di orientamento. Ciò avviene con la raccolta di dati specifici. L'obiettivo di questa fase è quella di capire qual è il problema è qual è la richiesta da soddisfare. L'atteggiamento del consulente dovrebbe essere quello di curiosità e di problematicità, che generalmente, di fronte ad una richiesta porta a chiedersi il perché di un'eventuale scelta.
3. Counseling progettuale: consulente ed utente interagiscono in un tentativo di risoluzione del problema dell'utente stesso. In questo momento l'attenzione è rivolta all'azione, cioè alla traduzione di quanto è emerso in ipotesi di risoluzione dei problemi. Tale fase si chiude con il "congedo", in cui vengono riassunte le tematiche affrontate durante il colloquio e, seguendo la regola della reciprocità, restituiti i dati all'intervistato sotto forma di informazioni, consigli, impressioni.
Una volta descritte le fasi che costituiscono il colloquio si chiariscono anche gli obiettivi che si vogliono perseguire: definire i motivi per cui l'utente si è rivolto al consulente, instaurare un'alleanza di lavoro, ottenere dati ed informazioni, capire le modalità che più si adattano allo stile del richiedente.
Il colloquio orientativo evidenzia atteggiamenti, rappresentazioni sociali e progetti che definiscono la presa di decisione dell'utente. Essendo il colloquio uno strumento basato su un'interazione prevede il coinvolgimento di due protagonisti: il richiedente (cliente) ed il consulente operatore).
I protagonisti del colloquio
Il richiedente: Nel rapporto orientativo la persona può non ricercare solo informazioni realistiche su di sé (interessi e capacità), ma anche sull'ambiente nel quale egli opera, al fine di avere più dati su cui effettuare la scelta.
Inoltre, il cliente necessita di un consenso, relativo al suo processo decisionale, che non si manifesta come conferma ragionevole della sua scelta, ma piuttosto come richiesta di sostegno emotivo e di fiducia, per sentirsi sostenuto da qualcuno che ha interesse nei suoi confronti ed in ciò che a lui accade.
Il cliente è : il protagonista della sua storia, l'attore che ricostruisce la sua esperienza mediante un'autovalutazione ed in ultima istanza colui che progetta e decide.
Il consulente: Il consulente è colui che dirige la ricerca esplorativa verso la soluzione definitiva, presentando al cliente alternative valide ed efficienti. Da un lato, il consulente dovrebbe tener presente il fatto che il cliente ha bisogno di informazioni varie relative a: la professione, le opportunità, le capacità richieste dalla professione, le capacità proprie, i suoi interessi e la dinamica di fondo della propria personalità. Dall'altro lato, il cliente, necessita di sostegno e di verifica, sia per raggiungere un equilibrio, sia per non essere sviato da motivi contingenti che potrebbero compromettere la decisione finale che egli stesso deve prendere.
Fatte queste premesse, è presupposto fondamentale che il consulente possieda una buona preparazione ed un' esperienza nel campo, dato che egli non può rischiare di cadere in atteggiamenti che finirebbero per vanificare il risultato e che renderebbero dannosa la sua attività.
Compiti del consulente: Nel procedere con l'esposizione occorre distinguere i compiti dalle competenze che il consulente deve svolgere e possedere per ottenere un risultato soddisfacente. I compiti sono relativi agli strumenti che il consulente fornisce al cliente per farlo riflettere sulla propria posizione e per agevolare il percorso di scelta, superando così, gli ostacoli che impediscono al soggetto di prendere posizione.
Le sue competenze invece riguardano sia le competenze di efficacia personale (sviluppo di una relazione empatica, ascolto ed osservazione) sia competenze tecniche proprie della relazione d'aiuto (individuazione di opportune metodologie applicative, conoscenze tecniche specifiche dell'orientamento, individuazione dei canali per formulare ipotesi di soluzione e progetti di scelta).
Le fasi del colloquio
Il colloquio generalmente è composto da tre fasi principali che ne determinano l'andamento e ne definiscono gli obiettivi:
- fase di apertura
- fase centrale
- fase di chiusura
Fase di apertura : la prima fase serve per mettersi reciprocamente a proprio agio, è una fase di riscaldamento, di riconoscimento, di apertura al dialogo. I primi minuti di relazione sono importanti perché, di fatto, improntano la situazione nella sua globalità; eventuali errori compiuti in questa primissima fase possono causare danni alle successive. Tra il conduttore ed l'intervistato si crea un'interazione costituita da una serie ininterrotta di impressioni. Saranno proprio le prime impressioni, valutate ed elaborate, a diventare, nel corso delle fasi successive, interpretazioni vere e proprie. Due sono gli strumenti che consentono di entrare in rapporto:
- la calibrazione: consiste nell'imparare a riconoscere i diversi stati mentali in cui un individuo si trova e , soprattutto, guidare gli interlocutori verso uno stato desiderato. Calibrare significa anche osservare la fisiologia degli altri ed il loro modo di utilizzare le parole;
- il ricalco: è l'abilità del comunicatore di inviare al proprio interlocutore messaggi che hanno come fine quello di far capire che entrambi sono uguali, e che il consulente lo capisce perché è come lui. Consiste nella duplicazione degli atteggiamenti mentali e fisiologici dell'interlocutore.
Lo scopo ultimo è quello di far provare all'intervistato un sentimento di fiducia nei confronti del conduttore. (Del Pianto, 1999).
Fase centrale : è rappresentata dal colloquio vero e proprio e presenta un duplice aspetto: di struttura e di clima. Nella struttura del colloquio, la raccolta delle notizie biografiche ed amnestiche , nonché la ricostruzione di eventi costituisce un momento centrale. Le domande volte alla ricostruzione, vengono poste in modo tale che si sollecitino da un lato le descrizioni ed i racconti e dall'altro l'aumento del desiderio nel raccontare fatti nuovi.
Il clima emotivo è una funzione del modo di attivare e di condurre l'incontro da parte dell'intervistatore e del modo di reagire da parte dell'intervistato. Ciò che determina il clima emotivo è il modo di comunicare dell'intervistatore, cioè di essere consapevole: della comunicazione verbale e non verbale, del modo di porre le domande, della reazione agli stimoli dell'intervistato, e di saper utilizzare il proprio spazio personale.
Due sono le dimensioni del colloquio, una riguarda il contenuto emerso ed una invece, il processo, ovvero il modo in cui si realizza l'interazione tra i due soggetti. Per quanto riguarda il processo della relazione, sappiamo che una forte dose di influenza è data dagli elementi non verbali presenti nella situazione nell'interazione. I principali elementi non verbali sono:
- ambiente fisico: il tipo di arredamento, le sedie, la disposizione del tavolo, sono tutti elementi che concorrono a definire la differenza dei ruoli;
- aspetto esteriore: il volto, l'abbigliamento, gli ornamenti, ecc. Sono tutti elementi che contribuiscono a determinare l'appartenenza sociale di una persona, l'immagine che intende trasmettere ed il messaggio che vuole comunicare;
- gli aspetti cinetici: includono tutti i movimenti del corpo (la mimica facciale, i gesti, le posture ecc) che trasmettono gli atteggiamenti personali e l'espressione delle emozioni;
- il paralinguaggio: il tono, il timbro della voce, l'intensità; tutti elementi che insieme agli aspetti cinetici trasmettono emozioni e stati d'animo.
"Durante il colloquio è necessario certamente ascoltare, seguire, e dibattere i fatti, ma anche ascoltare, seguire, e comprendere ciò che viene parzialmente o simbolicamente evidenziato, ciò che passa attraverso la relazione interpersonale senza essere, di fatto, né nominato né svelato" (Quadrio,1980,p.127.).
L'ultima fase è rappresentata dalla chiusura del colloquio e dal congedo del cliente. È importante effettuare una sintesi di ciò che è stato detto, in modo da controllare gli esiti del colloquio.
Il colloquio ed i meccanismi di difesa
Parlare del colloquio significa definire i meccanismi di difesa che intervengono nel colloquio-intervista di qualsiasi tipo, come pure in ogni interazione. Una difesa è ogni operazione psichica, in parte inconsapevole, messa in atto per ridurre o sopprimere qualsiasi turbativa possa mettere in dubbio l'integrità dell'Io. Si rivolge a:
- ridurre l'angoscia causata da un aumento di tensione istintuale dovuta a forze inconsce che premono per emergere;
- ridurre l'angoscia dell'Io di fronte a un pericolo reale.
Per Sigmud Freud la difesa è "una designazione generale per tutte le tecniche di cui l'Io si avvale nei suoi conflitti che possono eventualmente sfociare nella nevrosi, la difesa utilizza determinati meccanismi che differiscono per il relativo grado di coerenza con la realtà così come viene percepita. si distinguono le difese egosintoniche ed egodistoniche".(Freud, 1912, p.78).
Il colloquio può essere concepito come un'interazione tra due individui, in cui i due soggetti stabiliscono una reciprocità. Tale reciprocità prende avvio da un rapporto intimo ed emotivo condiviso tra due soggetti, come ad esempio in psicoterapia.
Ma questo è vero anche per altri contesti in cui si ha un soggetto che è in una posizione di aiuto rispetto ad altri. Quindi, ogni tipo di colloquio -intervista, ha anche l'aspetto della relazione interpersonale, e lo scambio emotivo ed intimo come base comune tipica di ogni relazione di aiuto.
I meccanismi di difesa sono in definitiva, delle operazioni mentali che l'Io mette in atto per difendersi da movimenti affettivi dolorosi legati a situazioni spiacevoli, quali ad esempio conflitti nati con le altre Istanze psichiche, oppure nei confronti dell'ambiente circostante, ecc. Sono dei processi che consentono all'individuo, oltre che di proteggersi da situazioni spiacevoli, di trovare un equilibrio, che permette al soggetto in questione di evolversi.
Quindi il fine ultimo di questi processi è proprio quello di evitare la spiacevolezza che il soggetto interiormente può provare.
Alcuni classici meccanismi di difesa
La regressione
È il passaggio a modalità espressive e di comportamento di livello inferiore dal punto di vista della complessità, della strutturazione e della differenziazione. L'individuo reagisce ripiegando su una tecnica di soddisfazione di un bisogno che era già stata utilizzata in momenti passati, poi abbandonata ed adesso riutilizzata. Momenti regressivi possono capitare ad ognuno di noi, nella vita quotidiana, quando per esempio, per difendersi da una situazione spiacevole (interna od esterna) si tende a regredire a livelli "giovanili" per ottenere gratificazioni derivanti da stadi precedenti certamente più soddisfacenti dal punto di vista emotivo.
La rimozione
Consiste nel mantenere a livello inconscio rappresentazioni (pensieri, immagini, ricordi) legate ad un impulso affettivo, di qualsiasi genere esso sia, che eventualmente, disturbi l'individuo. È una difesa che consente di non prendere consapevolezza dei propri vissuti, relegando tutto ciò che è spiacevole all'inconscio. " A causa della rimozione, l'individuo dimentica i contenuti o le attività rimosse, oppure ricorda i fatti in quanto tali, ma le loro connessioni, il loro significato, il loro valore emotivo sono repressi" (Trentini, 1995, pag.249).
La formazione reattiva
È rappresentata da condotte manifeste inverse agli effetti latenti. L'individuo si protegge cercando di attuare comportamenti che risultano, in generale, desiderabili da un punto di vista sociale. Alcuni autori includono nella formazione reattiva anche la compensazione e l'annullamento. La compensazione consente di bilanciare le forze interne per ottenere tra queste, un punto di equilibrio. Generalmente i comportamenti associati all'utilizzo di questo meccanismo di difesa, sono aggressivi, soprattutto nei confronti di chi in maniera evidente possiede quello che invece manca al soggetto in questione. L'annullamento, invece, consiste nel distruggere un qualcosa di spiacevole, mettendolo sotto forme di pensiero o di comportamento di segno opposto, l'azione positiva annulla quella precedente negativa.
L'isolamento
Si manifesta come una difesa volta ad isolare un pensiero oppure un comportamento in modo che siano rotte le loro connessioni con altri pensieri o con il resto dell'esistenza del soggetto. Questo è forse il meccanismo di difesa che più di tutti gli altri può compromettere l'andamento del colloquio. Infatti, se il soggetto per difendersi, utilizza l'isolamento nei confronti dei contenuti del colloquio (mediante dei tecnicismi oppure con espressioni culturali), il colloquio e l'andamento dello stesso risultano falsati.
>br> La proiezione
È la tendenza inconscia ad attribuire il proprio modo di pensare e di sentire agli altri. Chi valuta sarà portato a farlo secondo le proprie esperienze interiori, riconoscendo se stesso negli altri. A differenza dell'Introiezione che è un processo assimilativo, la proiezione è un processo dissimilativo.
L'introiezione
È il processo inverso alla proiezione. Parte di una persona esterna al soggetto in questione (sentimenti, atteggiamenti, emozioni) può diventare l'oggetto simbolicamente introiettato. Consiste nell'assorbire psicologicamente il reale (oppure una parte di esso, vale a dire: persone, ambienti, situazione) in sé stessi. Si presenta, molto spesso, insieme all'Identificazione. Il soggetto, assorbe così tanto dell'altro che alla fine si riconosce in quello che l'altro sente (empatia).
La sostituzione
Meccanismo inconscio per mezzo del quale una meta, un'emozione oppure un oggetto inaccettabile, viene sostituito da uno più accettabile per il soggetto.
Lo spostamento
Meccanismo inconscio in cui un sentimento è spostato dal suo oggetto interno verso un sostituto esterno. La sublimazione
Consiste nell'affinare e nel dare un senso inverso all'energia psichica proveniente da pulsioni sessuali aggressive o sessuali primitive, indirizzandola verso nuovi fini, socialmente più accettabili. È considerato un meccanismo di difesa funzionale, poiché a differenza di altri non blocca l'energia, ma consente un'attivazione ed una mobilitazione della stessa in varie forme.
La dissociazione
Attraverso il suo operare, il significato emotivo è separato o staccato, da un'idea, da una situazione e da un oggetto.
La negazione
È utilizzata per risolvere un conflitto emotivo e per diminuire l'ansia che ne deriva, negando uno degli elementi costitutivi. È un'operazione che consente di eliminare tutto ciò che per la persona è profondamente spiacevole. Si tratta di evitare di ammettere che certe questioni sono diventate penose e gravose per il soggetto. Negandole, vengono eliminate dalla consapevolezza. Spesso nell'uomo maturo si riscontra nelle funzioni della percezione e della memoria.
La repressione
Operazione psichica che tende a far scomparire dalla coscienza un comportamento spiacevole o inopportuno: idea, affetto, sentimento ecc. In questo aspetto la rimozione rappresenta una particolare forma di repressione.
Funzione dei meccanismi di difesa
Nel colloquio si producono talune situazioni o dinamiche di tipo emotivo e affettivo che possono attivare dei meccanismi di difesa. La funzione dei meccanismi di difesa è quella di proteggere l'Io sia dai pericoli percepiti come provenienti dall'interno (angoscia) che da quelli provenienti dalla realtà esterne (Castello d'Antonio, 1994. pag.79).
Di fronte ai meccanismi di difesa, l'esaminatore, nel corso del colloquio, dovrebbe essere in grado di riconoscere in maniera corretta la funzione che essi hanno per il soggetto. La difesa una volta riconosciuta, si deve affrontare e scomporre solo se il suo attuarsi minaccia seriamente il raggiungimento dell'obiettivo del colloquio. Prima che l'incontro abbia termine, "è bene assicurarsi di aver ricomposto la situazione interiore inconscia del soggetto su cui la difesa agiva, preoccupandosi, per cosi dire di riattivare la stessa difesa" (Castello D'Antonio, 1994, p.69.).
I meccanismi di difesa assumono un significato, in relazione al colloquio, su due piani diversi:
- sul piano teorico: perché i meccanismi di difesa fanno parte dello studio della personalità in generale, sia da un punto di vista psicologico che psicosociale. Le difese rappresentano uno dei modi in cui gli aspetti di personalità (tratti, caratteristiche, emozioni, sentimenti ecc.) si organizzano per far raggiungere all'individuo una sorta di equilibrio adattivo ai vari contesti. Questa concezione unitaria ritorna come impostazione nella definizione del colloquio come dimensione antropologica. Difatti la conoscenza delle difese deve far parte del bagaglio conoscitivo di chi si appresta a lavorare sulla base della relazione.
- sul piano pratico: dato che i meccanismi di difesa fanno costantemente parte della vita dei soggetti, soprattutto nei rapporti interpersonali, in virtù della funzione adattiva che essi svolgono. Una considerazione che può essere fatta, riguarda l'esito dell'equilibrio che mediante i meccanismi adattivi si tende a raggiungere.
È chiaro che non sempre si assiste ad un'organizzazione funzionale della personalità soggettiva. Difatti, anche se i meccanismi di difesa sono potenzialmente funzionali (perché hanno lo scopo di difendere dai conflitti interni), è l'esito oggettivo conseguente al loro utilizzo che può essere messo in dubbio. Quindi se da un lato, si evidenzia il carattere adattivo delle difese, dall'altro dobbiamo ammettere le difficoltà, in termini di adattamento, che l'individuo può affrontare, dovute non ai processi in quanto tali, ma al fatto che ogni volta che la personalità utilizza delle modalità difensive, tende a riorganizzarsi per trovare quanto perso.
È questo processo di ristrutturazione che può manifestarsi come disadattivo per il soggetto. Secondo Fenichel (come riportato da Trentini), le difese operate dall'Io possono suddividersi in due tipi:
- " - difese riuscite, che causano la cessazione di quanto è represso;
- - difese non riuscite, che devono rinnovare continuamente il processo di repressione, pena il riemergere degli impulsi repressi". (Trentini, 1995, p.264).
Il colloquio e le difese
I soggetti che decidono di parlare nel colloquio, adottano in modo automatico delle misure di sicurezza per proteggersi dalla minaccia rappresentata dalla novità e imprevedibilità della situazione che affrontano. Per quanto automatici questi mezzi di difesa sono avvertiti coscientemente ed utilizzati dai soggetti.
È la consapevolezza che distingue i meccanismi di difesa da quest'altra tipologia/quast'altro tipo difese. Le misure di sicurezza più utilizzate sono:
- l'evasione: il soggetto tenta di mantenere il colloquio sul piano della semplice conversazione, eludendo i contenuti rilevanti ai fini dello stesso e focalizzando la conversazione su elementi neutri. L'impressione che riporta l'esaminatore alla fine del colloquio è simile, a quella di chi sa di non aver elementi per stilare un'impressione, data la scarsità di dati salienti ottenuti.
- la seduzione: è un particolare modo(atteggiamento/comportamento) che il soggetto adotta per fornire le informazioni richieste. Esercita una inequivocabile seduzione, sia pure sottile, sull'esaminatore, mirata ad ottenere il suo consenso ed ad averlo dalla sua parte con un giudizio favorevole. Quindi il soggetto tenta di fare del conduttore una sorta di alleato sul (dal) punto di vista personale, costringendolo ad accettarlo come soggetto che ha bisogno di conferme e di continua attenzione.
- l'aggressione: può essere manifestata esplicitamente oppure indirettamente attraverso l'attacco generale nei confronti del colloquio oppure della psicologia (in generale). Con tale difesa si vogliono mettere in discussione sia il colloquio in quanto tale, sia il ruolo del conduttore. Il caso limite è rappresentato dal silenzio.
Per quanto riguarda le risposte che il conduttore può dare a tali difese, si evidenziano:
- seduzione collusiva: il conduttore può colludere in due diversi modi. Può assumere un atteggiamento intellettuale, iperlogico e razionale per mantenersi distaccato dalla situazione emotiva del colloquio. In alternativa, può mantenere un atteggiamento di conferma rispetto a quello del candidato, per dimostrare che il bravo in questo caso è il conduttore ed il cattivo, l'esaminato.
- evasione collusiva: l'esaminatore adotta un atteggiamento di imbarazzo ansioso, ed il messaggio che rimanda è quello di intenso turbamento. In questo modo il soggetto sa che l'esaminatore è imbarazzato nell'ascoltare ciò che lui stesso dice.
- aggressione collusiva: l'esaminatore adotta una presa di superiorità rispetto al soggetto, analoga a quella che egli(quest'ultimo) vorrebbe imporre all'esaminatore. L'esaminatore avverte il bisogno di dimostrarsi superiore al suo interlocutore.
Il colloquio ed i suoi stili di conduzione: direttivo, semi direttivo e non direttivo
Nel colloquio si definisce un setting nel quale diventa fondamentale astenersi da giudizi, approvazioni e disapprovazioni, poichè ognuna di queste valutazioni rappresenta un ostacolo alla comprensione del problema, ed alla comunicazione interpersonale. Il concetto di direttivismo fa riferimento alla modalità di conduzione del colloquio e alla eventuale possibilità di guidare o, al contrario, lasciare ampia libertà di espressione all'intervistato.
Il colloquio direttivo è in uso soprattutto nella selezione all'interno dell'azienda, ed è una situazione in cui chi conduce il colloquio ha un ruolo strettamente vincolante e lo si realizza attraverso una serie di domande ben precise, formulate rigidamente e poste secondo criteri stabiliti.
Si stimolano soprattutto le motivazioni estrinseche del soggetto il quale però, non dispone di iniziative, ma deve limitarsi a rispondere a quanto richiesto. Cosi inteso il colloquio può essere definito anche strutturato.
Il colloquio direttivo consente, in particolare, di pervenire a due tipi di informazioni: quelle relative al comportamento e quelle relative alla biografia del soggetto.
Quando il colloquio, invece, prevede che il soggetto abbia libertà di esprimersi, viene definito semi-direttivo. In questo caso, l'intervistatore può passare da momenti di tipo direttivo nei quali interviene per pilotare il colloquio, a momenti non direttivi nei quali svolge un'opera di sostegno per favorire l'autoesplorazione "spontanea" e "autonoma" del soggetto.
Le due necessità, quella di toccare tutti gli argomenti stabiliti e quella di lasciare libero il soggetto, vengono così soddisfatte. Infine, esiste un tipo di colloquio definito non direttivo, in cui lo scopo fondamentale non è quello di raccogliere le informazioni relative ad un progetto da definire insieme al soggetto, ma bensì di far prendere coscienza all'intervistato del proprio punto di vista, assolutamente arbitrario rispetto ad altri punti di vista ugualmente plausibili al suo.
Si entra così nella relazione terapeutica e nel processo diagnostico. Negli ultimi due tipi di colloquio, quello semi direttivo e non direttivo, entra in gioco quella che viene definita empatia.
L'empatia, può essere concepita come il senso di condivisione, necessaria e fondamentale affinché avvenga la relazione. Cogliere il mondo interiore del soggetto con il significato che lo stesso gli attribuisce, coglierlo come se fosse un mondo a sé, senza mai perdere di vista la qualità delle informazioni raccolte, esprime molto bene il concetto di empatia.
Lo stile di conduzione è uno stile soggettivo?
Parlando del counseling ed in generale dell'orientamento scolastico e professionale, possiamo considerare lo stile di colui che conduce il colloquio, un elemento fondamentale che influenza tutta la relazione.
Secondo Carl Rogers lo stile di conduzione è: "un preciso profilo comunicativo che caratterizza il tipo di domande poste al soggetto; l'impronta che si dà al colloquio attraverso la tendenza, più o meno consapevole, ad essere interpretativi, piuttosto che comprensivi, valutativi ecc. indipendentemente dalla strutturazione del setting". Rogers, individua sei stili di conduzione:
lo stile interpretativo
lo stile valutativo
lo stile risolutivo
lo stile sostenitivo
lo stile indagativi
lo stile comprensivo
Lo stile interpretativo è una modalità utilizzata da conduttori poco esperti, che consiste nell' interpretare e nello spiegare il perché si fa un'affermazione. La comprensione lascia il posto all'interpretazione. Il rischio è quello di distorcere la realtà del soggetto e di far rientrare qualsiasi esperienza passata in un'interpretazione riduzionistica.
Lo stile valutativo: se lo stile interpretativo va calibrato e soppesato, cercando di capire quando è il momento delle spiegazioni, lo stile valutativo è fortemente sconsigliabile perché oltre ad interpretare tende a concepire tutto da un punto di vista moralistico. Tutto ciò che viene detto è riportato sul piano della normalità e tutto ciò che si discosta da esso viene censurato e ricondotto a qualcosa di più schematico.
Se il conduttore percepisce alcuni elementi dissonanti nel racconto del soggetto, il suo compito dovrebbe, invece essere quello di evidenziare questo fatto senza suggerire nessun tipo di cambiamento.
Lo stile risolutivo: si adotta, generalmente verso le ultime battute del colloquio, quando gli argomenti sono già stati trattati e può risultare utile arrivare ad una soluzione e far luce sulle paure e sulle ansie dell'interlocutore. Se utilizzato in momenti precedenti, il rischio a cui si va incontro è quello di far provare all'interlocutore un senso di frustrazione derivante dal fatto che qualcuno prima di lui sia arrivato alla comprensione del problema.
Lo stile sostenitivo: questo stile è caratterizzato dalla tendenza del conduttore ad apportare incoraggiamento, consolazione o compensazione nell'interlocutore. Se da un lato questo stile di conduzione arreca il vantaggio di dimostrarsi come più conciliante, dall'altro rischia di colludere con le misure di sicurezza del soggetto, in particolare con la seduzione.
Lo stile indagativo: generalmente è uno stile utilizzato nell'ambito del colloquio direttivo, dove un atteggiamento di tipo indagativo è più utile per ottenere risposte a determinati quesiti. All'interno del colloquio non direttivo, invece, questo stile di conduzione crea una situazione che sottopone il soggetto ad una condizione di stress.
Lo stile comprensivo: in questo caso il conduttore tende ad essere empatico nei confronti dell'interlocutore e cerca di entrare in sintonia con il suo vissuto, il suo disagio e con le sue emozioni. Questo atteggiamento conferisce fiducia al soggetto, che sentendosi compreso si esprime maggiormente, senza rischiare di sentirsi sottoposto a giudizio.
Possiamo concludere affermando che i sei diversi stili possono essere utilizzati in momenti diversi dello stesso colloquio, anche se lo stile di conduzione comprensivo risulta il più utile perché si basa sulla comprensione e sulla condivisione del vissuto altrui.
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fonte: Vertici Network sito: http://www.vertici.com/rubriche/articolo.asp?cod=11005&cat=APPRO&titlepage=Approfondimenti&page=2