Adolescenza, comportamenti a rischio ed incidenti |
psicologia dell'età evolutiva. Valutazione dei comportamenti a rischio negli adolescenti |
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I comportamenti a rischio adolescenziali possono essere considerati dei modi per provare sensazioni nuove e forti, con la componente relativa alla sfida e alla sperimentazione di se.
Negli ultimi anni è aumentato considerevolmente lo studio sui comportamenti ad alto rischio dei giovani adolescenti, comportamenti messi in atto da soli o in gruppo, segnalati perché contengono elementi di auto o etero-distruttività: lanciarsi da un ponte legati ad un elastico; camminare sui cornicioni; attraversare torrenti in piena; guidare a forte velocità; sdraiarsi sulla riga di mezzeria di una strada; sfidarsi a chi si toglie per ultimo da una situazione pericolosa come: dai binari del treno, da uno scatolone in mezzo alla strada; uso di sostanze stupefacenti o alcoliche.
Il rischio che questi comportamenti hanno sulla salute può essere immediato, come nel caso della guida pericolosa, prima causa di morte in età adolescenziale, oppure posticipato nel tempo come nel caso dei disturbi dell'alimentazione, delle condotte sessuali a rischio, del fumo di sigarette, dell'assunzione di droghe e dell'abuso di alcol.
In generale, correre dei rischi fa parte della norma in questa fase dello sviluppo; A. Tursz (1989) infatti, sottolinea la necessità di considerare gli aspetti positivi e funzionali del rischio che, per l'adolescente, può corrispondere ad una volontà profonda di rinnovarsi, ad un desiderio di indipendenza e di autonomia oppure all'esplorazione delle proprie capacità e dei propri limiti.
Jeammet (1991) sottolinea come la stessa fase adolescenziale potrebbe costituire di per se un rischio, mettendone in evidenza la dimensione di crisi evolutiva corrispondente ad una esigenza di cambiamento puberale, psichico e psicosociale.
Ciò che caratterizza l'adolescenza, statisticamente parlando, è infatti la presenza di alcuni compiti evolutivi specifici, che riguardano l'acquisizione di una identità sessuale stabile, il riconoscimento del sé corporeo, il distacco dal mondo infantile, la costruzione degli ideali.
Bisogna quindi sottolineare come i comportamenti a rischio assolvono spesso, a questa età, funzioni ben precise, sebbene siano dannosi dal punto di vista fisico, psichico e sociale, sembrano fornire all'adolescente una via di uscita alle insicurezze e alle incertezze sperimentate in questa fase della vita. Per quanto pericolosi per sé e per gli altri, essi potrebbero venire ricercati perché permettono di raggiungere alcuni obiettivi che sono molto importanti per gli adolescenti quali ad esempio l'affermazione della propria identità e la costruzione di relazioni sociali affettive.
Molti ragazzi riescono a raggiungere questi scopi attraverso strade adattive, senza mettere in pericolo il loro benessere fisico, psicologico e sociale, sono, quindi, in grado di gestire le ansie ef i problemi della discontinuità senza distruggere il loro senso di unità interiore, altri adolescenti, invece, non trovano altro modo per realizzare questi obiettivi se non attraverso quelli che abbiamo definito comportamenti a rischio.
Per affermare la loro "adultità" ed autonomia, essi ricorrono allora a condotte sessuali sconvenienti e, a volte, molto precoci, all'opposizione alle norme sociali e/o familiari, ecc… (molte fra le condotte a rischio aiutano l'adolescente a sentirsi adulto facendo ciò che fanno i “grandi”). Inoltre alcuni comportamenti fase specifici, permettono anche l'identificazione con il gruppo dei pari: fumare sigarette, bere, avere rapporti sessuali come fanno i propri amici permette di sentirsi come loro e facilita l'accettazione nel gruppo. Il gruppo dei coetanei ha, infatti, una funzione molto precisa e fondamentale per lo sviluppo e la crescita individuale; nei coetanei il ragazzo ha modo di riconoscere meglio la propria identità di adolescente, ha una conferma di ciò che egli è per stesso e per gli altri e la possibilità di
condividere con loro nuove norme e nuove esperienze.
I conflitti e le crisi possono essere considerati una componente insita di questo periodo, una sorta di “patologia latente” che va seguita con attenzione e vigilanza allo scopo di evitare che essa si radichi nei meccanismi profondi di maturazione della personalità (Laufer, Laufer, 1986).
Choquet, Marcelli, Ledoux (1993), sulla stessa linea affermano che l'adolescenza stessa è un rischio ovvero che non ci sarebbe adolescenza senza assunzione di rischi, a tal punto che un'adolescenza silente, senza nessun colpo di testa, potrebbe anche insospettire.
Jack (1989) ha osservato che l'assunzione di rischi e la "sperimentazione" in genere, durante l'adolescenza, sono considerati comportamenti normali perché aiutano gli adolescenti a raggiungere una sana indipendenza, una identità stabile ed una maggiore maturità. Ciò nonostante l'assunzione di rischi sembrerebbe essere una delle maggiori cause di mortalità tra gli adolescenti soprattutto quando vittime di incidenti. L'autore osservò che anche le gravidanze adolescenziali sono spesso favorite dalla convinzione di una sorta di "immunità personale" rispetto alle conseguenze negative, come se gli "incidenti", ad esempio, capitassero solo "agli altri", come se si fosse superiori anche al contagio di malattie come l'AIDS, insomma, come se gli eventi negativi reali della vita non riguardassero
l'adolescente che, quindi, potrebbe ritenersi sempre al di sopra di tutto questo. Putroppo le cronache, così come anche i dati statistici confermano, ci mostrano il contrario.
Tuttavia anche questo punto di vista può nascondere dei rischi: ritenere che l'adolescenza comporti inevitabilmente manifestazioni comportamentali autolesive, può indurre la convinzione che qualsiasi condotta bizzarra e pericolosa rientri nella normalità; adottando un punto di vista simile, il rischio è quello di minimizzare la gravità di certe manifestazioni e quindi di non prevenire e di compromettere l'avvenire dell'adolescente (Carbone, 2000).
Una serie consistente di studi ha messo in rilievo che i “comportamenti a rischio” sono tra loro collegati; tali comportamenti includono il consumo di alcol, di tabacco e di droghe, il sesso non protetto, la guida pericolosa. Il lavoro di R. Jessor e dei suoi colleghi (1977-1978) propone l'idea che i comportamenti problematici non solo siano spesso correlati, ma indichino anche una disposizione a passare da una forma di comportamento problematico
all'altra.
Emerge, così, un altro aspetto molto importante dei comportamenti a rischio, questi non si presentano in modo isolato, ma si collegano in vere e proprie sindromi, o costellazioni, che comprendono differenti comportamenti (Bonino, Fraczek, 1996).
Come emerge dall'indagine della Bonino sui rapporti di coppia (1999) gli adolescenti a massimo rischio (13% M e 10% F), protagonisti di rapporti sessuali promiscui e non protetti, sono altresì coinvolti, rispetto ai soggetti non promiscui sessualmente, negli altri comportamenti a rischio. Nel sottogruppo dei promiscui il consumo forte e abituale di tabacco riguarda il 37% dei soggetti, il consumo forte di alcol riguarda il 60%, e quello abituale di marijuana sfiora il 44%. Ma anche la guida pericolosa e la devianza sono più frequenti fra gli adolescenti promiscui rispetto ai non.
Si riscontrano risultati analoghi anche esaminando la ricerca sul consumo di sostanze (Bonino, 1999), gli adolescenti che usano abitualmente marijuana sono in maggior misura forti bevitori, forti fumatori di sigarette e sono maggiormente coinvolti nella guida pericolosa e nell'attività sessuale a rischio. Anche la guida spericolata, così come quella in condizioni psicofisiche alterate, non si presenta come un comportamento isolato, ma è legata ad altri comportamenti a rischio.
La metà dei soggetti che guidano pericolosamente, tra quelli del campione a cui la ricerca si riferisce, è altamente implicata anche nell'uso di sostanze psicoattive e nelle condotte devianti. All'interno del gruppo dei soggetti che guidano infrangendo il codice penale (poiché guidano in condizioni psicofisiche alterate) e che rappresentano il 10% del campione totale, i 2/3 fumano sigarette e consumano alcolici, i 3/4 fumano spinelli e inoltre sono maggiormente coinvolti in forme persistenti di devianza.
Altri risultati a sostegno della teoria secondo la quale impegnarsi in qualunque comportamento problematico aumenta la disponibilità ad impegnarsi in altri comportamenti simili, sono stati riportati da Gregersen (1994). L'obiettivo della sua indagine era quello di identificare il profilo di vita specifico dei giovani guidatori ed analizzare le relazioni esistenti fra stile di vita ed incidenti in cui i giovani sono stati la causa. Egli ha impiegato, quindi, un questionario che poneva domande sullo stile di vita (sport, cinema, ballo, auto, letture, impegno sociale, alcol, droghe) e domande sul coinvolgimento negli incidenti chiedendo di includere eventuali danni riportati. Dall'analisi dei cluster sono emersi quattro gruppi ad alto rischio e due gruppi a basso rischio.
A titolo esemplificativo verrà descritto solo il primo gruppo ad alto rischio e il primo gruppo a basso rischio di incidente stradale. Il gruppo ad alto rischio è caratterizzato da scarso impegno sportivo, assunzione frequente di alcol, maggiore tendenza ad uscire, più interesse per le auto. Il gruppo a basso rischio è caratterizzato da punteggi alti su cultura e impegno sociale. La relazione fra uso del tabacco e assunzione di altre sostanze è stata esaminata da Everett et al. (1998) su un gruppo di studenti delle scuole superiori. I dati riguardanti l'uso del tabacco e delle altre sostanze provengono dal “Youth Risk Behavior Survey” effettuato dai “Centers for Desease Control and Prevention”. I risultati mostrano che i fumatori abituali, rispetto ai non fumatori, hanno più probabilità di fare uso di altre sostanze (uso saltuario di cocaina e di altre sostanze illegali, uso contemporaneo di più sostanze, uso abituale di alcol, episodi di ubriacatura).
Del resto anche il sistema culturale e sociale sembra dare al concetto di “rischio” significati diversi che in passato.
Se un tempo al concetto di rischio erano collegate valutazione negative ed era visto come un “disvalore”, oggi si sta imponendo un modello di derivazione anglosassone che considera il rischio positivamente.
Nella pubblicazione “Giovani verso il duemila”, quarto rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia (Buzzi e al. 1997), la diversa percezione del rischio segnala lo spostamento di prospettiva da un orientamento verso traguardi di sicurezza ad obiettivi nei quali trova spazio il “mettersi in gioco” e il “non accontentarsi”, molti giovani sembrano essere consapevoli che il saper rischiare faccia parte delle abilità che la società attuale richiede a chi vuole farsi strada nella vita.
Sempre nel rapporto IARD 1997 la valutazione del rischio percepito dai giovani raggiunti dalla ricerca esprime, con preoccupante ricorrenza, alcuni comportamenti che possono essere lesivi della loro sicurezza e della loro salute. In particolare la guida spericolata caratterizza l'esperienza di più di un terzo del campione, la guida in stato di ebbrezza riguarda un giovane ogni sette ed un quinto dei giovani contattati ammette esplicitamente di aver avuto rapporti sessuali a rischio (le incidenze nei maschi tra i 18 e i 24 anni sono notevolmente superiori).
In un'altra ricerca effettuata su una popolazione di 335 giovani allievi delle Scuola Guida di Bergamo (Vidotto, Noventa, Armati, 1999) ben il 19,7% afferma di aver guidato la moto dopo aver “bevuto troppo”, inoltre i soggetti che hanno avuto incidenti stradali abbastanza gravi erano coloro che avevano ottenuto un punteggio medio più elevato alle scale della “sensation seeking” (Zuckerman, 1979) e delle esperienze inusuali e che probabilmente avevano più abusato di alcol e droga e ricercato più comportamenti a rischio. Dall'analisi dei dati emerge che il campione è, contemporaneamente, sia poco consapevole del rischio di incorrere in incidenti stradali (mettendosi alla guida di un auto dopo aver bevuto bevande alcoliche o aver assunto droga), sia amante del rischio e desideroso di ricercare sensazioni forti.
L'esistenza di una costellazione di comportamenti a rischio è confermata da molte ricerche e porta ad affermare che il tentativo di cambiare un singolo comportamento si potrebbe rivelare inutile, poiché altri comportamenti andranno a sostituire la funzione assolta dal comportamento eliminato. Nell'intervento psicologico, in questo caso, sia preventivo che di trattamento, dovranno essere valutate le funzioni psico-sociali dei comportamenti a rischio e studiato il sistema di riferimento che li mantiene. Solo a questo punto l'intervento potrà essere costruito "ad hoc" per specifiche situazioni ed esigenze. Lo stesso vale per gli interventi di prevenzione messi in atto da organismi sociali ed istituzioni come quella scolastica. Prevenire il rischio è possibile ma non si dovrebbe "correre il rischio" di aggravare la situazione. Utilizzare strumenti preventivi che tengano conto della maggior parte delle variabili implicate nell'insorgenza di tali condotte che, sintetizzando, potremmo definire "multi-impulsive", è la condizione necessaria affinché un intervento psicologico preventivo possa essere realmente efficace.
Dott.ssa Letizia Maduli
Maduli, M.L. (2004)
Adolescenza, comportamenti a rischio ed incidenti.
SRM Psicologia Rivista (www.psyreview.org).
Roma, 01 dicembre 2004.
Riferimenti Bibliografici
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Bonino, S. e Fraczek, A. (1996) Incursioni nel rischio. Psicologia Contemporanea , 137, 50-57.
Buzzi, C., Cavalli, A. e De Lillo A. (a cura di) (1997). Giovani verso il 2000. IV rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia . Bologna, Il Mulino.
Carbone, P., Capocaccia et Al. (2000) Prevention of accident risk in adolescence: a
research model. New Trends in Experimental and Clinical Psychiatry , 16, 21-29.
Everett S.A., Giovino, G.A. (1998) Other substance use among high school students who use tobacco. Journal of adolescent Health, 23, 289-296.
Gregersen, N.P. e Berg, H.Y. (1994) Lifestyle and accidents among young drivers. Accident analysis and prevention, 26, 297-303.
Jack, M.S. (1989) Personal fable: A potential explanation for risk-taking behavior in adolescent. Journal of Pediatric Nursing, 4, 334-338.
Jeammet, P. (1991) L'adolescence est-elle un risque? In Tursz, A., Souteyrand, Y., Salmi, R. (a cura di, 1991) Adolescence et risque . Parigi, INSERM.
Jessor, R., Jessor, S.L. (1977) Problem behavior anf psychological development: a longitudinal study of youth. New York, Academic Press.
Laufer, M. e Laufer, E. (1986) Adolescenza e breakdown evolutivo . Torino, Boringhieri.
Tursz, A. (1989) Le risque accidentel à l'adolescence. Neuropsichiatrie de l'Enfance et de l'adolescence, 37, 265-273.
(Dal sito: http://www.psyreview.org/articoli2004/20041201-maduli-01.htm )