La
comunicazione umana 1^ parte
La comunicazione umana 2^ parte
La comunicazione umana 3^ parte
L'uso strategico della comunicazione umana
Andrea Leone, Christian Poggiolesi
La comunicazione è un aspetto essenziale della vita. Sarebbe arduo cercare
di mettere in dubbio la fondatezza di tale affermazione, specialmente
nel caso degli esseri umani: tutti noi, attraverso una serie di segnali
che si sono sviluppati ed evoluti nel corso dei secoli, comunichiamo
costantemente con gli altri esseri viventi e con l'ambiente circostante.
Fin dalla nascita ci troviamo immersi come soggetti attivi e dotati
di capacità comunicative all'interno di una situazione relazionale che
coinvolge le nostre primarie figure d'attaccamento e, nello stesso tempo,
siamo inconsapevolmente coinvolti in un continuo processo di acquisizione
delle regole della comunicazione.
La comunicazione umana è generalmente definita dalle teorie classiche
come uno scambio di informazioni tra le persone. In una prospettiva
che faccia riferimento alla Teoria dei Sistemi possiamo altresì definirla
come l'insieme delle relazioni che intercorrono e che si sviluppano
tra gli individui e tra questi ultimi e il loro ambiente naturale. Come
si arriva a questa definizione? Essenzialmente partendo dalla considerazione
che, per studiare il comportamento umano, non possiamo isolare l'individuo
dal suo contesto, ma dobbiamo sempre considerare gli effetti che il
suo comportamento ha sugli altri, le loro reazioni e il contesto in
cui avviene l'interazione. Ne consegue che, se pensiamo che per studiare
il comportamento umano dobbiamo prendere in considerazione la relazione
tra le parti all'interno di un sistema, allora studieremo la comunicazione
umana come veicolo delle manifestazioni comportamentali osservabili
nella relazione stessa.
Secondo Gregory Bateson la comunicazione si crea attraverso le incessanti
alchimie e trasformazioni che si generano all'interno delle relazioni
tra gli elementi che compongono il sistema; la comunicazione, dunque,
nasce e si sviluppa nel segno delle differenze e del cambiamento, in
un universo di messaggi che acquisiscono un chiaro significato solamente
se collocate nel loro contesto relazionale e ambientale.
Lo studio della comunicazione umana si realizza all'interno delle seguenti
aree d'indagine:
- lo
studio della sintassi, che ha a che fare con la trasmissione dell'informazione,
ovvero con la codifica sintattica dei messaggi, ai canali, alla
capacità, alla ridondanza ed altre proprietà statistiche del linguaggio,
che non prende in considerazione l'analisi dei significati insiti
nelle unità di comunicazione;
- lo
studio della semantica, che si occupa appunto dell'analisi del significato
dei simboli che vengono trasmessi da un individuo all'altro nell'interazione
comunicativa, presupponendo l'esistenza di convenzioni semantiche
che permettano la trasmissione delle informazioni;
- lo
studio della pragmatica, che tratteremo in maniera approfondita,
si basa su due concetti molto semplici: la comunicazione influenza
il comportamento e tutto il comportamento è comunicazione. I dati
che vengono presi in esame saranno dunque: le parole, le loro configurazioni,
i loro significati, tutto il non-verbale concomitante ad esse, il
linguaggio del corpo e i segni di comunicazione inerenti al contesto
della comunicazione.
Nel nostro
studio della pragmatica della comunicazione umana non ci occuperemo
dunque dell'unità del messaggio monofonico, ma di "un composto fluido
e poliedrico di molti moduli comportamentali - verbali, timbrici, posturali,
contestuali, eccetera - che qualificano, tutti, il significato di tutti
gli altri" (P. Watzlawick, 1967). Un effetto di tali considerazioni
è la tendenza a considerare equivalenti le parole "comunicazione" e
"comportamento", senza doverlo rimarcare ogni volta che esse vengono
usate; tenere in considerazione questa precisazione ci aiuterà a risultare
più chiari nell'esposizione.
La scuola di Palo Alto
Il nostro principale riferimento teorico è rappresentato dalla Scuola
di Palo Alto, o meglio dal suo gruppo di ricerca che, nelle persone
di Gregory Bateson, Paul Watzlawick, Janet Helmick Beavin, Don D. Jackson
ed altri, negli anni sessanta definì la funzione pragmatica della comunicazione,
vale a dire la capacità di provocare degli eventi nei contesti di vita
attraverso l'esperienza comunicativa, intesa sia nella sua forma verbale
che in quella non-verbale. La scuola di Palo Alto fissò tutta una serie
di nozioni teoriche elaborate a partire dalla sperimentazione sul campo.
Esporremo adesso brevemente alcuni concetti introduttivi che riteniamo
particolarmente innovativi ed interessanti, dopodiché andremo a passare
in rassegna quelli che vennero definiti i cinque assiomi fondamentali
della comunicazione umana.
Facendo riferimento al concetto di retroazione sviluppato dalla teoria
della cibernetica, si può affermare che, all'interno di un qualsiasi
sistema interpersonale (come una coppia, una famiglia, un gruppo di
lavoro, una diade terapeuta-paziente), ogni persona influenza le altre
con il proprio comportamento ed è parimenti influenzata dal comportamento
altrui. La stabilità e il cambiamento inerenti al sistema sono determinati
da tali circuiti di retroazione: l'informazione in ingresso può venire
così amplificata (è il caso della retroazione positiva) e provocare
un cambiamento nel sistema, oppure può venire neutralizzata (e allora
si parla di retroazione negativa) e mantenere la stabilità dello stesso.
I sistemi interpersonali caratterizzati da un tipo di comunicazione
patologica, vedi il caso delle famiglie con un membro schizofrenico,
sono di solito estremamente stabili, quasi cristallizzati; il ruolo
e l'esistenza del paziente sono indispensabili per la stabilità del
sistema familiare, che reagirà con un loop di retroazioni negative in
risposta a qualsiasi tentativo di cambiamento della sua organizzazione
(omeostasi del sistema familiare).
Quando non usiamo più la comunicazione per comunicare ma per comunicare
sulla comunicazione, gli schemi concettuali che adopriamo non fanno
parte della comunicazione ma vertono su di essa. Definiamo metacomunicazione
la comunicazione sulla comunicazione. L'interazione umana può essere
definita come sequenze di mosse rigidamente governate da regole, delle
quali i comunicanti possono essere consapevoli o meno; è importante
che su tali regole si possano fare delle asserzioni di metacomunicazione
dotate di significato. In altre parole, "esiste un calcolo della pragmatica
della comunicazione umana le cui regole vengono osservate nella comunicazione
efficace e violate nella comunicazione disturbata".
I cinque assiomi della comunicazione umana
- L'impossibilità
di non comunicare
Il primo assioma sancisce l'impossibilità di non comunicare: qualsiasi
comportamento, in situazione di interazione tra persone, è ipso
facto una forma di comunicazione. Di conseguenza, quale che sia
l'atteggiamento assunto da un qualsivoglia individuo (poiché non
esiste un non-comportamento), questo diventa immediatamente portatore
di significato per gli altri: ha dunque valore di messaggio. Anche
i silenzi, l'indifferenza, la passività e l'inattività sono forme
di comunicazione al pari delle altre, poiché portano con sé un significato
e soprattutto un messaggio al quale gli altri partecipanti all'interazione
non possono non rispondere. Ad esempio, non è difficile che due
estranei che si trovino per caso dentro lo stesso ascensore si ignorino
totalmente e, apparentemente, non comunichino; in realtà tale indifferenza
reciproca costituisce uno scambio di comunicazione nella stessa
misura in cui può lo è un'animata discussione. Non è necessario,
inoltre, che all'interno di un'interazione tra persone si verifichi
la comprensione reciproca perché possiamo definire comunicazione
i loro comportamenti reciproci; riguardo a questo aspetto si può
parlare di comunicazione intenzionale o non-intenzionale, consapevole
o inconsapevole, efficace o inefficace; si tratta di un altro ordine
d'analisi, che approfondiremo affrontando le varie forme della comunicazione
patologica. Ogni assioma può venire distorto dalla presenza di disturbi
della comunicazione e portare allo sviluppo di patologie strettamente
correlate allo specifico principio. Per quanto riguarda l'impossibilità
di non-comunicare, riteniamo che sia interessante esporre ciò che
è stato definito "il dilemma dello schizofrenico". Lo schizofrenico,
almeno apparentemente, cerca di non comunicare attraverso tutta
una serie di messaggi come il silenzio, le assurdità, l'immobilità,
il ritrarsi; ma, poiché tutti questi comportamenti costituiscono
comunque atti comunicativi, egli è preso in pieno in una situazione
paradossale nella quale cerca di negare di stare comunicando e al
tempo stesso di negare che il suo diniego sia comunicazione. Parlando
in termini più generali, si verifica la distorsione del primo assioma
tutte le volte che qualcuno cerca di evitare l'impegno inerente
ad ogni comunicazione attraverso tentativi di non-comunicare (ad
es. il rifiuto o la squalificazione della comunicazione), finendo
per generare un'interazione paradossale, assurda o "folle". In questa
prospettiva, un comportamento etichettato come patologico può essere
considerato come l'unica reazione possibile ad un contesto di comunicazione
assurdo e insostenibile. Il sintomo (che sia nevrotico o psicotico)
assume perciò il valore di messaggio non verbale; anche un sintomo
è dunque comunicazione.
- I
livelli comunicativi di contenuto e relazione
Ogni comunicazione comporta di fatto un aspetto di metacomunicazione
che determina la relazione tra i comunicanti. Ad esempio, un individuo
che proferisce un ordine esprime, oltre al contenuto (la volontà
che l'ascoltatore compia una determinata azione), anche la relazione
che intercorre tra chi comunica e chi è oggetto della comunicazione,
nel caso particolare quella di superiore/subordinato. Bateson definisce
due aspetti caratteristici di ogni comunicazione umana: uno di notizia
e uno di comando; in sostanza si parla di un aspetto di contenuto
del messaggio e di un aspetto di relazione dello stesso. In altre
parole, ogni comunicazione, oltre a trasmettere informazione, implica
un impegno tra i comunicanti e definisce la natura della loro relazione.
Il ricevente accoglie un messaggio che possiamo considerare oggettivo
per quanto riguarda l'informazione trasmessa, ma che contiene anche
un aspetto metacomunicativo che definisce un modello che rientra
in un'ampia gamma di possibili relazioni differenti tra i due comunicanti.
Pare che gli scambi comunicativi "patologici" siano caratterizzati
da una lotta costante per definire i rispettivi ruoli e la natura
della relazione, mentre l'informazione trasmessa dai comunicanti
passi nettamente in secondo piano (anche se questi ultimi sono inconsapevoli
di ciò). L'aspetto di relazione di una comunicazione è definito
dai termini in cui si presenta la comunicazione stessa, dal non-verbale
che ad essa si accompagna e dal contesto in cui questa si svolge.
In un contesto comunicativo patologico si può avere spesso a che
fare con episodi di confusione tra contenuto e relazione; questo
accade quando, ad esempio, tra i comunicanti c'è un oggettivo accordo
a livello di contenuto, ma non a livello di definizione della relazione,
che porta ad una pseudo-mancanza di accordo in cui i partecipanti
cercano, inutilmente peraltro, di accordarsi sul contenuto dei messaggi
scambiati, ignorando che il disaccordo si situa in realtà su un
piano di metacomunicazione. Perché l'aspetto di relazione della
comunicazione umana è così importante? Perché, con la definizione
della relazione tra i due comunicanti, questi definiscono implicitamente
sé stessi. Una delle funzioni della comunicazione consiste nel fornire
ai comunicanti una conferma o un rifiuto del proprio Sé; attraverso
la metacomunicazione si sviluppa dunque la consapevolezza del Sé,
la coscienza degli individui coinvolti nell'interazione. E' essenziale
che ognuno dei comunicanti sia consapevole del punto di vista dell'altro
e del fatto che anche quest'ultimo possieda questa consapevolezza
(concetto di percezione interpersonale); la mancanza di coscienza
della percezione interpersonale è definita impenetrabilità da Lee.
E' stato osservato che nelle famiglie con un membro schizofrenico
si possono rilevare modelli comunicativi caratterizzati da impenetrabilità
e da disconferma del Sé, che solitamente risultano devastanti per
colui che si trova a ricevere messaggi che, sul piano della relazione,
trasmettono comunicazioni del tipo "tu non esisti".
- La
punteggiatura della sequenza di eventi
La natura di una relazione dipende anche dalla punteggiatura delle
sequenze di scambi comunicativi tra i comunicanti. Questa tende
a differenziare la relazione tra gli individui coinvolti nell'interazione
e a definire i loro rispettivi ruoli: essi punteggeranno gli scambi
in maniera che questi risultino organizzati entro modelli di interazione
più o meno convenzionali. La punteggiatura di una sequenza di eventi,
in un certo senso, non è che una delle possibilità d'interpretazione
degli eventi stessi, per cui anche i ruoli dei comunicanti sono
definiti dalla propensione degli individui stessi ad accettare un
certo sistema di punteggiatura oppure un altro. Watzlawick fa l'esempio
della cavia da laboratorio che dice: "Ho addestrato bene il mio
sperimentatore. Ogni volta che io premo la leva lui mi dà da mangiare";
quest'ultimo non accetta la punteggiatura che lo sperimentatore
cerca di imporgli, secondo la quale è lo sperimentatore stesso che
ha addestrato la cavia e non il contrario. Il terzo assioma decreta
dunque la connessione tra la punteggiatura della sequenza degli
scambi che articolano una comunicazione e la relazione che intercorre
tra i comunicanti: il modo di interpretare la punteggiatura è funzione
della relazione tra i comunicanti. Infatti, poiché la comunicazione
è un continuo alternarsi di flussi comunicativi da una direzione
all'altra e le variazioni di direzione del flusso comunicativo sono
scandite dalla punteggiatura, il modo di leggerla sarà determinato
dal tipo di relazione che lega i comunicanti. Per quanto riguarda
le manifestazioni patologiche collegate alla distorsione di questo
concetto, i problemi insorgono quando si presentano delle discrepanze
relative alla punteggiatura (in sostanza delle visioni diverse della
realtà), determinate dal fatto che i comunicanti non possiedono
lo stesso grado d'informazione senza tuttavia saperlo o che, dalla
stessa informazione, traggano conclusioni diverse; in questi casi
si creano una sorta di malintesi che inevitabilmente portano a circoli
viziosi che incidono pesantemente sulla natura della relazione.
L'unica maniera per risolvere questo tipo di situazione è fare sì
che i comunicanti riescano ad uscire da una visione univoca e radicata
della realtà e accettino la possibilità che l'altro possa interpretare
quest'ultima in maniera differente; in una parola, è necessario
che i comunicanti riescano a metacomunicare. In tale contesto possiamo
collocare il concetto di profezia che si autodetermina, che nella
comunicazione ha il suo equivalente nel dare la cosa per scontata;
stiamo parlando del caso in cui un individuo assume un comportamento
che provoca negli altri una reazione alla quale quel certo comportamento
sarebbe la risposta adeguata: l'individuo in questione, dunque,
crede di reagire ad un atteggiamento che in realtà è stato da lui
stesso provocato.
- Comunicazione
numerica e analogica
Il quarto assioma attribuisce agli esseri umani la capacit di comunicare
sia tramite un modulo comunicativo digitale (o numerico) sia con
un modulo analogico. In altre parole se, come ricordiamo, ogni comunicazione
ha un aspetto di contenuto e uno di relazione, il primo sarà trasmesso
essenzialmente con un modulo digitale e il secondo attraverso un
modulo analogico. Quando gli esseri umani comunicano per immagini
la comunicazione è analogica; questa comprende tutta la comunicazione
non-verbale. Quando comunicano usando le parole, la comunicazione
segue il modulo digitale. Questo perchè le parole sono segni arbitrari
e privi di una correlazione con la cosa che rappresentano, ma permettono
una manipolazione secondo le regole della sintassi logica che li
organizza. Nella comunicazione analogica questa correlazione invece
esiste: in ciò che si usa per rappresentare la cosa in questione
è presente qualcos'altro di simile alla cosa stessa. La comunicazione
numerica possiede un grado di astrazione, di versatilità, nonché
di complessità e sintassi logica enormemente superiore rispetto
alla comunicazione analogica, ma anche dei grossi limiti per quanto
riguarda la trasmissione dei messaggi sulla relazione tra i comunicanti;
al contrario, mentre la comunicazione analogica risulta molto più
ricca e significativa quando la relazione è il problema centrale
della comunicazione in corso, al tempo stesso può risultare ambigua
a causa della mancanza di sintassi, di indicatori logici e spazio-temporali.
I problemi possono insorgere quando si verifica una traduzione del
materiale analogico in materiale digitale, ovvero un'acquisizione
della valenza relazionale contenuta nella comunicazione (messaggio)dell'altro.
La principale difficoltà, come abbiamo già accennato, consiste nella
natura ambigua del modulo analogico di trasmissione dell'informazione
dovuta all'impossibilità di rappresentare le principali funzioni
di verità logiche (negazione e congiunzione); ciò può dare luogo
a innumerevoli conflitti di relazione dovuti all'errata interpretazione
digitale del messaggio analogico. Osservando il comportamento degli
animali apprendiamo che essi risolvono il problema della corretta
interpretazione dei messaggi analogici tramite rituali che recano
con sù una valenza simbolica. Nelle patologie di natura isterica
si verifica probabilmente il processo opposto a quello descritto
precedentemente: un'errata traduzione del messaggio dal modulo digitale
a quello analogico provoca i sintomi di conversione, che hanno un'innegabile
valenza simbolica, in un contesto in cui non era più possibile comunicare
con il modulo digitale.
- L'interazione
complementare e simmetrica
Quest'ultimo assioma si riferisce ad una classificazione della natura
delle relazioni che le suddivide in relazioni basate sull'uguaglianza
oppure sulla differenza. Nel primo caso si parla di relazioni simmetriche,
in cui entrambi i partecipanti tendono a rispecchiare il comportamento
dell'altro (ad es. nel caso della diade dirigente-dipendente), nel
secondo si parla di relazioni complementari, in cui il comportamento
di uno dei comunicanti completa quello dell'altro (ad es. tra due
dipendenti o tra due dirigenti). Nella relazione complementare uno
dei due comunicanti assume la posizione one-up (superiore) e l'altro
quella one-down (inferiore); i diversi comportamenti dei partecipanti
si richiamano e si rinforzano a vicenda, dando vita ad una relazione
di interdipendenza in cui i rispettivi ruoli one-up e one-down sono
stati accettati da entrambi (ad es. le relazioni madre-figlio, medico-paziente,
istruttore-allievo, insegnante-studente). Va da sé, comunque, che"i
modelli di relazione simmetrica e complementare si possono stabilizzare
a vicenda" e che "i cambiamenti da un modello all'altro sono importanti
meccanismi omeostatici". E' fondamentale, per andare avanti, avere
chiaro il concetto che le relazioni simmetriche e quelle complementari
non devono assolutamente essere equiparate a "buona" e "cattiva",
né le posizioni one-up e one-down vanno accostate ad epiteti quali
"forte" e "debole"; si tratta solo di una suddivisione che ci permette
di classificare ogni interazione comunicativa in uno dei due gruppi.
In ogni relazione simmetrica è presente un rischio potenziale legato
allo sviluppo della competitività; accade così che, quando in un'interazione
di tipo simmetrico si perda la stabilità o sopraggiunga una situazione
di disputa o litigio, si possa verificare un'escalation simmetrica
da cui ci si può aspettare l'instaurarsi di uno stato di guerra
più o meno aperto (o scisma) e un rifiuto reciproco del Sé dell'altro
da parte dei due partecipanti. Tipico in questo caso è il conflitto
coniugale che s'instaura con la persecuzione di un modello di frustrazione
da parte dei due coniugi. I problemi legati alle relazioni complementari
si hanno, ad esempio, quando uno dei comunicanti chiede la conferma
di una definizione del Sé per cui il partner si trova costretto
a cambiare la propria; ciò si rende necessario perché, all'interno
di una relazione complementare, una definizione del Sé si può mantenere
solamente se il partner assume un ruolo complementare. Uno dei rischi
possibili è che a una richiesta di conferma del Sé corrisponda una
disconferma, che porta ad un crescente senso di frustrazione e disperazione
in uno o in entrambi i partecipanti. A volte, inoltre, capita che
certi individui sembrino molto ben adattati al di fuori del contesto
comunicativo con il partner e solo osservati insieme al loro "complementare"
mostrino la patologia della loro relazione con esso. A questo proposito
è perfettamente calzante la teorizzazione della "folie à deux" ad
opera di due psichiatri francesi, Lasègue e Falret, pubblicata nel
1877.
Il concetto di sistema
L'interazione può essere considerata come un sistema aperto, che scambia
cioè materiali, energie o informazione con il proprio ambiente. Si possono
definire sistemi interattivi "due o più comunicanti impegnati nel processo
di definire la natura della loro relazione (o che si trovano a un livello
tale per farlo)". Quando si definisce un sistema aperto è importante
definire anche il suo ambiente.
Secondo Hall e Fagen "l'ambiente di un dato sistema è costituito
dall'insieme di tutti gli oggetti che sono tali che un cambiamento nei
loro attributi influenza il sistema e anche di quegli oggetti i cui
attributi sono cambiati dal comportamento del sistema".
Ogni sistema si può ulteriormente suddividere in sottosistemi e gli
oggetti che appartengono a un sottosistema si possono benissimo considerare
che facciano parte dell'ambiente di un altro sottosistema. Tale precisazione
ci consente quindi di collocare facilmente un sistema diadico interattivo
in sistemi più ampi, come la famiglia con figli, la famiglia con i parenti
acquisiti, la comunità, la cultura. Inoltre, questi sottosistemi possono
sovrapporsi ad altri sottosistemi, perché ogni membro della diade è
coinvolto in sottosistemi diadici con altre persone e anche con la vita
stessa. Gli individui che comunicano, quindi, vengono considerati sia
nelle relazioni orizzontali che in quelle verticali che essi hanno con
altre persone e altri sistemi. Secondo il principio di totalità ogni
parte di un sistema aperto è in rapporto tale con le parti che lo costituiscono
che qualunque cambiamento in una parte causa un cambiamento in tutte
le parti e in tutto il sistema. Un sistema, quindi, si comporta come
un tutto inscindibile e non può essere fatto coincidere con la semplice
somma delle sue parti (principio di non-sommatività).
I sistemi interpersonali (gruppi di estranei, coppie sposate, famiglie,
relazioni psicoterapeutiche ecc.) possono essere considerati circuiti
di retroazione, poiché il comportamento di ogni persona influenza ed
è influenzato dal comportamento di ogni altra persona. In un sistema
simile i dati in ingresso si possono amplificare fino a produrre un
cambiamento oppure neutralizzare per mantenere la stabilità, a seconda
che i meccanismi di retroazione siano positivi o negativi. Poiché sia
la stabilità che il cambiamento contraddistinguono le manifestazioni
della vita, i meccanismi di retroazione negativa o positiva agiscono
in essa come forme specifiche di interdipendenza o di complementarità.
A caratterizzare tutte le famiglie che rimangono unite, ad esempio,
deve esserci qualche grado di retroazione negativa, che consente loro
di resistere alle tensioni imposte dall'ambiente e dai singoli membri,
ma anche qualche grado di retroazione positiva, che favorisce invece
un processo di apprendimento e di crescita.
In un sistema aperto, circolare ed autoregolantesi, i "risultati" (da
intendersi come modificazioni dello stato dopo un certo periodo di tempo)
non sono determinati tanto dalle condizioni iniziali quanto dalla natura
del processo o dai parametri del sistema. Secondo il principio di equifinalità
infatti, gli stessi risultati possono avere origini diverse perché ciò
che è determinante è la natura dell'organizzazione. Se il comportamento
equifinale dei sistemi aperti è basato sulla loro indipendenza dalle
condizioni iniziali, allora non soltanto condizioni iniziali diverse
possono produrre lo stesso risultato finale ma risultati diversi possono
essere prodotti dalle stesse "cause".
Il paradosso e il doppio legame
Si può definire il paradosso come una contraddizione che deriva dalla
deduzione corretta da premesse coerenti. Esistono paradossi logico-matematici
(antinomie), definizioni paradossali (antinomie semantiche) e paradossi
pragmatici (ingiunzioni paradossali e predizioni paradossali), che,
nell'ambito della struttura della teoria della comunicazione umana,
corrispondono chiaramente ai tre settori principali di questa teoria:
il primo tipo di paradosso alla sintassi logica, il secondo alla semantica
e il terzo alla pragmatica.
I paradossi logico-matematici si presentano nei sistemi logici e matematici
e si fondano quindi su termini come numero o classe formale. Le definizioni
paradossali differiscono dalle antinomie soltanto in un unico aspetto
importante: non si presentano nei sistemi logici e matematici ma derivano
piuttosto da certe incoerenze nascoste nella struttura di livello del
pensiero e del linguaggio. I paradossi pragmatici, infine, sono quei
paradossi che si presentano nelle interazioni in corso e che quindi
determinano il comportamento. Bateson, Jackson, Haley e Weakland hanno
descritto per primi gli effetti del paradosso nella interazione umana.
Studiando il fenomeno della comunicazione schizofrenica, questo gruppo
di ricerca ha compiuto il passo concettuale dalla "schizofrenia come
misteriosa malattia della mente individuale" alla "schizofrenia come
modello specifico di comunicazione" ed è arrivato a ipotizzare che lo
schizofrenico "deve vivere in un universo in cui le sequenze di eventi
sono tali che le sue abitudini di comunicazione non convenzionali in
qualche modo saranno appropriate".
Questa ipotesi li ha portati a postulare e a identificare certe caratteristiche
essenziali di tale interazione, per cui hanno coniato il termine doppio
legame. È possibile descrivere gli elementi di un doppio legame come
segue:
- due
o più persone sono coinvolte in una relazione intensa che ha un
alto valore di sopravvivenza fisica e/o psicologica per una di esse,
per alcune, o per tutte;
- in
un simile contesto viene dato un messaggio che è strutturato in
modo tale che (a) asserisce qualcosa, (b) asserisce qualcosa sulla
propria asserzione e (c) queste due asserzioni si escludono a vicenda;
- infine,
si impedisce al ricettore del messaggio di uscir fuori dallo schema
stabilito da questo messaggio, o metacomunicando su esso (commentandolo)
o chiudendosi in se stesso.
Una persona
in una situazione di doppio legame è quindi probabile che si trovi punita
(o almeno che le si faccia provare un senso di colpa) per avere avuto
percezioni corrette, e che venga definita "cattiva" o "folle" per aver
magari insinuato che esiste una discrepanza tra ciò che vede e ciò che
"dovrebbe" vedere. Per la natura della comunicazione umana il doppio
legame non può essere un fenomeno unidirezionale. Se un doppio legame
produce un comportamento paradossale, allora sarà proprio questo comportamento
a "legare doppio" il "doppio legatore" e questa reciprocità esiste anche
quando tutto il potere sembra essere nelle mani di una parte mentre
l'altra è del tutto indifesa perché alla fine, come spiega Sartre, "il
torturatore è degradato quanto la vittima".
Per definire la connessione esistente tra il doppio legame e la schizofrenia
possiamo dunque aggiungere altri due criteri:
- quando
si ha un doppio legame di lunga durata, forse cronico, esso si trasformerà
in qualcosa che ci si aspetta, qualcosa di autonomo e abituale,
che riguarda la natura delle relazioni umane e del mondo in genere,
una attesa che non ha bisogno di essere ulteriormente rafforzata;
- il
comportamento paradossale imposto dal doppio legame a sua volta
ha natura di doppio legame, e questo porta a un modello di comunicazione
autoperpetuantesi.
Il doppio
legame, quindi, non è semplicemente un'ingiunzione contraddittoria,
che offre almeno la possibilità di compiere una scelta logica tra due
alternative, ma un vero e proprio paradosso, che fa fallire la scelta
stessa (illusione di alternative) e mette in moto una serie oscillante
e autoperpetuantesi (un vero e proprio modello paradossale). Le comunicazioni
paradossali legano quasi sempre tutti coloro che vi sono coinvolti:
dall'interno, quindi, non si può provocare nessun cambiamento (gioco
senza fine) e può verificarsi un cambiamento soltanto uscendo fuori
dal modello. La possibilità di interrompere un gioco senza fine (e quindi
una comunicazione paradossale) attraverso un intervento esterno costituisce
il paradigma dell'intervento psicoterapeutico.
In altre parole, il terapeuta in quanto outsider è in grado di provocare
quello che il sistema stesso non è in grado di produrre: un cambiamento
delle proprie regole. L'intervento psicoterapeutico dovrebbe quindi
consistere sostanzialmente nel formare un sistema nuovo e allargato
in cui non solo è possibile guardare il vecchio sistema dall'esterno
ma è anche possibile che il terapeuta usi il potere del paradosso per
ottenere un miglioramento (utilizzando interventi di doppio legame come
ad esempio la prescrizione del sintomo).
Sul piano strutturale, un doppio legame terapeutico è l'immagine allo
specchio di quello patogeno:
- presuppone
una relazione intensa (nella fattispecie, la situazione psicoterapeutica)
da cui il paziente si aspetta una ragione per sopravvivere;
- in
questo contesto, viene data un'ingiunzione che è strutturata in
modo tale da (a) rinforzare il comportamento che il paziente si
aspetta che sia cambiato, (b) implicare che questo rinforzo sia
un veicolo del cambiamento, e perciò (c) creare il paradosso perché
al paziente si dice di restare com'è;
- la
situazione terapeutica impedisce al paziente di chiudersi in se
stesso o altrimenti di dissolvere il paradosso commentandolo.
Perciò
anche se l'ingiunzione è assurda da un punto di vista logico, è una
realtà pragmatica: il paziente non può non reagire ad essa , ma non
può neppure reagire ad essa nel suo modo consueto, sintomatico. Il paziente
viene messo in una situazione insostenibile, riguardo alla sua patologia.
Se egli accondiscende non può più "non farci niente"; egli può farci
qualcosa, e questo rende impossibile la situazione di non poterci fare
niente (il che è lo scopo della terapia).
Se si oppone all'ingiunzione, può farlo soltanto non comportandosi sintomaticamente
(che è lo scopo della terapia). Per concludere, quindi, mentre in un
doppio legame patogeno il paziente è "dannato se può farci qualcosa
ed è dannato se non può farci niente", in un doppio legame terapeutico
è "cambiato se può farci qualcosa ed è cambiato se non può farci niente".
Fonte: http://www.vertici.com
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