Continuità, ma non
troppo! La continuità come dilemma educativo
Battista
Q. Borghi, Direttore di Infantiae.Org™
In questi ultimi anni si è sviluppato un dibattito
sul tema della continuità che, soprattutto nella scuola di base,
sul tema della continuità.
Un'attenzione del tutto particolare, è stato positivo e ricco di
spunti innovativi. Sono state imboccate molte strade diverse, è
anche stato effettuato un numero elevato di sperimentazioni.
Dietro l'impegno e la voglia di fare, l'entusiasmo e il bisogno di novità
da un lato, ma anche la stanchezza e la fretta dall'altra, hanno, in qualche
caso, portato alla rinuncia della consapevolezza critica. In altre parole,
se molto di buono in generale è stato fatto, spesso le buone intenzioni
e le azioni positive hanno portato ha dimenticare la necessità
di verifiche rigorose e puntuali, volte a discriminare le scelte più
utili ed efficaci da quelle, anche se non del tutto inutili, quanto meno
non assimilabili ad un intervento pedagogico valido e coerente.
E' evidente che i progetti di continuità, e le varie iniziative
ad essi correlate, hanno, fra i diversi scopi, soprattutto quello di rendere
meno traumatico il passaggio al grado scolastico successivo. Ne dovrebbero
cioè guadagnare i bambini e le loro famiglie. Ogni passaggio, infatti,
crea forti situazioni di ansia anche nei genitori.
Accade, infatti, che un grado scolastico non è spontaneamente interessato
a quello che lo precede (se non per quanto riguarda i problemi emergenti:
bambini stranieri, handicappati e/o in difficoltà) e prende in
considerazione ragioni anche estranee all'esperienza personale del bambino.
I progetti legati alla continuità hanno lo scopo,
invece, di prestare maggiore attenzione allo sviluppo ed alleviare per
quanto possibile le difficoltà in cui i bambini possono venire
a trovarsi a causa di un cambiamento troppo improvviso e brusco.
Se da un lato, perciò, non possiamo negare il ruolo fondamentale
ed irrinunciabile della continuità, tema, è utile non dimenticare,
dall'altra, che in educazione un progetto non è in sé buono
per il solo fatto che si occupa di un argomento importante.
Il problema è, semmai, di prestare attenzione, nel concreto a come
vengono effettivamente fatte le cose.
Si sa che ogni insegnante (pensiamo ad esempio ad un insegnante di scuola
elementare) è preso vorticosamente, specialmente in occasione di
determinate scadenze dell'anno scolastico, da un mare di problemi. Non
è improbabile che un progetto di continuità, pur apprezzato
a parole, finisca per diventare, nei fatti, soprattutto un obbligo e una
fatica mal sopportata. Accade, a volte, che la gestione di un progetto
sulla continuità sia affidata a chi non ne sarà il diretto
protagonista: può capitare che l'insegnante che si occuperà
dei bambini prossimamente in arrivo si debba al momento soprattutto occupare
d'altro (gli impegni della quinta!) oppure semplicemente non sia in quel
determinato Circolo Didattico e in quella determinata scuola. Non è
una sorpresa perciò che, a volte, alcuni percorsi sulla continuità
consistano, sostanzialmente, in un rito formale accolto come impegno burocratico
amministrativo e scarsamente partecipato.
Inoltre, raramente vengono effettuate verifiche sull'effettiva utilità
di percorsi effettuati. Non è facile cogliere che cosa effettivamente
è migliorato dopo un progetto di continuità. Non sempre
viene detto per quali ragioni ad esempio un questionario o una scheda
siano stati effettivamente utili e che cosa di valido hanno sortito nella
pratica scolastica.
A questo si aggiunge che ogni proposta nasconde inevitabilmente
un'intenzione, un impianto a monte che la giustifica e la ispira. Perciò,
anche la continuità non è neutra. E, uno dei problemi che
è necessario porsi è anche quello di deideoligizzare la
continuità, di chiarificare le intenzioni nascoste ed i principi
impliciti.
E, in questo senso perciò che, pur riconoscendo un indubbio valore
al tema della continuità, vorremmo ugualmente evidenziare alcune
cautele che evitino il rischio d'interventi che a volte possono essere
lastricasti di buone intenzioni ma non per questo risultano necessariamente
efficaci.
1. Alcune attività dominanti
Sul piano dell'esperienza pratica, vi sono alcune modalità
ormai ampiamente diffuse.
1a. La richiesta d'informazioni
Si tratta per lo più di questionari, a volte redatti
di comune accordo fra gli insegnanti dei due ordini di scuola, altre volte
dai soli docenti della scuola elementare, finalizzati alla raccolta di
precisate informazioni: dati anagrafici, notizie relative alla realtà
familiare, ragguagli riferiti al percorso formativo del bambino, valutazione
sintetica delle abilità acquisite, eventuale presenza di problemi
specifici (handicap, svantaggi, provenienza sociale e/o culturale).
Il questionario ha l'indubbio vantaggio di richiedere poco tempo per la
sua compilazione e può essere facilmente archiviato in attesa,
a tempo debito, di una sua consultazione.
Il questionario è anche però lo strumento che, in qualche
caso, crea non pochi imbarazzi. A volte è difficile rispondervi:
la logica (e le attese) del compilatore non è la stessa che ha
guidato la mano dell'estensore. A volte non si sa che cosa rispondere.
A volte si ha l'impressione che manchi la domanda giusta. Inoltre un questionario
è portatore di una filosofia (un insieme dei punti di vista) non
sempre capita e/o accettata dal compilatore: da qui la reticenza a fornire
certe risposte, nel timore che chi le leggerà (se mai le leggerà!)
possa fraintenderle.
1b. La dimensione comunicativa e relazionale
Si tratta di iniziative e proposte la cui finalità
è di ridurre al minimo le eventuali difficoltà emotive e
relazionali che possono essere causate dal passaggio. Allo scopo di perseguire
questo obiettivo vengono proposte ed attuate iniziative diverse. Ad esempio,
i bambini dell'ultima sezione della materna si recano, negli ultimi mesi
dell'anno scolastico, presso la vicina scuola elementare. Ne visitano
gli spazi, utilizzano oggetti, si divertono con giocattoli, conoscono
i bambini più grandi, sono invitati ad osservare attività
svolte (o materiali prodotti) da questi ultimi ed eventualmente ad interagire
con essi. Queste attività hanno lo scopo di fare vedere in anticipo
al bambino dove egli sarà inserito in un tempo successivo. Esperienze
di questo tipo per lo più contribuiscono a preparare un successivo
passaggio tranquillo e contemporaneamente, come detto, a tranquillizzare
eventualmente i genitori.
Un altro tipo di interventi è caratterizzato dalle feste comuni.
Si tratta di un'occasione per fare incontrare insieme bambini e genitori
dei due servizi in un clima informale. Genitori ed insegnanti si trovano
coinvolti in un progetto comune che li impegna a lavorare insieme, senza
attivare confronti diretti, operando in un clima di spontaneità
e disponibilità reciproca.
Un altro tipo d'intervento è volto a privilegiare gli scambi fra
adulti. Di solito serve a raccogliere informazioni sui bambini. Ci s'interessa
delle abitudini e delle caratteristiche di singoli bambini oppure dai
modelli adottati nel lavoro educativo svolto in sezione. Lo scopo di questo
tipo di incontri è di fornire conoscenze per meglio orientare le
scelte organizzative, educative e didattiche della scuola materna. Questo
tipo di incontro in diversi casi è finalizzato alla formazione
delle classi.
1c. La continuità curricolare.
L'attenzione è essenzialmente centrata sui saperi,
che sono in costante evoluzione. I campi di esperienza vengo in questo
caso intesi come una sorta di premessa propedeutica ai contenuti che verranno
successivamente trasmessi nella scuola elementare. A volte vengono previste
attività comuni o in progressione (ad esempio, la scuola materna
inizia una storia che verrà terminata dal grado successivo, la
scuola elementare predispone materiali ed attività che saranno
utilizzati / attuati dalla materna, ecc.). Alla scuola materna viene chiesto
che si proponga come 'base sicura' dei futuri apprendimenti. La produzione,
la raccolta e l'archiviazione dei percorsi didattici rappresenta nell'immediato
una possibilità di discussione e di confronto sull'organizzazione
e sulla qualità del proprio lavoro in rapporto ai bisogni dei bambini
ed alle opportunità che vengono loro presentate; in una fase successiva
permettono la possibilità di avvalersi di proposte e percorsi già
"tarati" e "sperimentati" e quindi facilmente consultabili
e pronti per un loro riutilizzo.
1d. La continuità in valigia.
Il passaggio alla scuola elementare è paragonato
ad un viaggio: gli ultimi mesi di frequenza della scuola materna sono
dedicati a preparare la valigia. Il passaggio viene, in altre parole,
messo in scena; l'attività consiste in un gioco-dramma nel quale
il bambino è invitato ad anticipare ed a prefigurare quanto accadrà
in futuro. Si sa che un viaggio, soprattutto se importante e carico di
aspettative, deve essere adeguatamente preparato. La valigia della continuità
rappresenta il segno esteriore e l'oggetto tangibile che consente ad ogni
bambino di entrare nell'ordine di idee relativamente all'avventura a cui
dovrà andare presto incontro. Preparare la propria valigia significa
prefigurare e decidere che cosa dovrà essere portato con sé
e che cosa sarà invece lasciato alle proprie spalle. Preparare
la valigia richiede anche un tempo relativamente lungo e si possono fare
diverse prove. In questo senso fare e disfare la valigia (inserire e togliere
oggetti della propria esperienza quotidiana e testimonianze della propria
storia) vuole dire rendersi conto e divenire consapevoli di un cambiamento.
Ci sono molti modi di condurre questa esperienza. Si può prevedere
una valigia per ognuno, oppure una grande valigia comune nella quale sono
raccolte le storie di tutti. In questo senso si può vedere la conclusione
del lavoro con l'attività di inserimento dei bambini all'elementare
che prende le mosse da un vero e proprio rituale nel quale, il primo giorno
di scuola, gli insegnanti della scuola dell'infanzia accompagnano, insieme
con i genitori, i bambini alla loro nuova scuola.
2. Le ragioni di qualche cautela
Se da un lato si tratta, in generale, di iniziative apprezzabili,
occorre non dimenticare, dall'altro, come si diceva più sopra,
che la qualità di una proposta pedagogica non dipende solamente
dalle buone intenzioni di chi la avanza e/o la attua. Dietro la buona
volontà si nasconde, a volte, dei rischi. Ci pare utile, in questo
senso, proporre alcuni nodi problematici organizzati sotto forma di dilemma.
Analizzare i problemi sotto forma di dilemma significa effettuare, rispetto
ad un problema, un bilancio che tenga conto dei costi e dei ricavi, che
sappia riconoscere accanto ai vantaggi anche gli svantaggi connessi con
una determinata scelta.
2a. Differenziazione vs/ omologazione
Da una parte è importante, come detto, evitare
salti bruschi e cambiamenti improvvisi che potrebbero generare ansia.
Un bambino, quando a sei anni termina la scuola dell'infanzia, è
considerato ormai grande. Tuttavia ritorna ad essere il più piccolo
quando passa all'elementare. Questo problema richiede ad ogni bambino
che effettua il passaggio la capacità di destrutturarsi e di ristrutturarsi.
Il cambiamento richiesto richiede un'elaborazione interiore relativamente
complessa. Ben venga dunque un progetto che favorisca la gradualità
nel cambiamento e ben vengano tutte le iniziative che fanno sentire la
scuola elementare vicina alla materna: è evidente che quanto meno
le richieste di cambiamento sono traumatiche, tanto più il passaggio
avviene in modo vantaggioso.
Dall'altra parte è opportuno evitare i rischi di eccesso di zelo.
Può accadere che, in nome di un buon passaggio all'elementare,
la scuola dell'infanzia si prefigga lo scopo, implicito, di rendere il
bambino 'adatto' al grado successivo. In questo caso, però, tutto
questo con la continuità ha poco a che fare: si tratta piuttosto
di una sorta di appiattimento della materna sull'elementare. I due servizi
invece sono profondamente diversi fra loro e propongono offerte specifiche
che non vale la pena di omologare. E' necessario anzi un riconoscimento
delle reciproche identità dei due servizi educativi.
2b. Continuità vs/ discontinuità
Tutto il tempo è evolutivo. Non vi sono situazioni
statiche; ogni esperienza effettuata offre qualcosa in più o qualcosa
di diverso ed il cambiamento è continuo. In questo senso, lo sviluppo
può essere inteso come un continuum permanente. Si tratta di evoluzioni
lente e 'invisibili' ma non per questo meno importanti. Per l'educatore
è importante vedere tali cambiamenti allo scopo di aiutare ad imparare
a gestire lo sviluppo.
Vi sono però momenti (o appuntamenti) della vita
nei quali a tali cambiamenti viene impressa una accelerazione ed essi
si prefigurano come un salto verso qualcosa di nuovo. Il passaggio da
un grado scolastico all'altro è uno fra i tanti possibili esempi
di cambiamento 'visibile'.
Accanto al diritto alla continuità è possibile perciò
invocare anche il diritto alla discontinuità: le differenze fra
scuola materna e scuola elementare possono rappresentare il segno di un
cambiamento positivo. Il cambiamento da un tipo di scuola ad un altro
significa che si è concluso un ciclo e se ne avvia un altro. Il
passaggio da un grado all'altro, da uno stile all'altro può anche
essere il segno che si sta crescendo.
2c. Continuità vs/ separazione
La separazione fa parte dei processi di vita. Anzi, la
crescita è il superamento di separazioni successive. E' una separazione
la nascita, lo è l'inserimento al nido, alla scuola dell'infanzia,
alla scuola elementare. E' una separazione il matrimonio, la nascita di
un figlio, la collocazione a riposo dopo i propri anni di lavoro. A volte
la separazione è traumatica, di norma essa rappresenta una condizione
di crescita. Quando è traumatica vuol dire che il soggetto non
è pronto al cambiamento o non lo condivide. In generale però
è necessario tollerare la separazione perché è la
condizione per crescere. Tollerare la separazione significa essere disponibile
al rischio del cambiamento e come punto di partenza positivo della riprogettazione
continua della propria crescita. Separarsi dall'altro significa imboccare
la strada della propria autonomia, vuol dire procedere verso la costruzione
della propria identità.
2d. Progressione e regressione
I ritmi della crescita sono fortemente individuali, dipendono
dalle caratteristiche e dalla storia personale di ognuno. E' necessario,
nella prospettiva della continuità, prestare attenzione a due aspetti.
Innanzi tutto lo sviluppo non è lineare: la crescita è fatta
di andate e ritorni, momenti di accelerazione ed altri di rallentamento,
fasi progressive e fasi regressive. Lo sviluppo non è di conseguenza
facilmente leggibile, si propone anzi come asincrono e labirintico. E'
conseguentemente difficile prevedere, sul piano formativo e didattico,
ciò che dovrebbe essere effettuato prima e ciò che è
opportuno fare dopo. In alcuni ambiti si può registrare un'accelerazione,
in un'altra una temporanea stasi. Se è vero, come afferma H. Gardner
(Howard Gardner, Formae mentis, Saggio sulla pluralità delle intelligenze,
Milano, Feltrinelli, 1987) che non esiste un'intelligenza unica ma ci
si trova di fronte ad una pluralità delle intelligenze, è
conseguenza logica che ognuna di tali intelligenze preveda un percorso
specifico e un tempo proprio di sviluppo.
In secondo luogo, ogni individuo segue il proprio percorso personale.
Nessuna linea di sviluppo è uguale ad un'altra. Conseguentemente
la predisposizione di un progetto unico di continuità tiene conto,
forse, più di qualcuno che di qualche altro; oppure vuole rappresentare
una media generale e può correre il rischio di non tenere conto
di nessuno in concreto.
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