Criterio


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Criterio

Si definisce 'criterio' una serie di misure con le quali vengono confrontate, come termine di riferimento, le misure ottenute da un test, allo scopo di stabilire se questo test misura il tratto o l'attributo che si proponeva di misurare, e con quale precisione lo fa.

La gamma delle variabili usate come criterio è molto vasta: si distingue un criterio immediato, di solito corri­spondente al rendimento, un criterio intermedio, di solito corrispondente alla finalità di gruppo in cui un individuo opera ed un criterio ultimo, di solito corrispondente alle finalità dell'organizzazione di cui un individuo fa parte.

Il termine, in ambito matematico, individua una regola stabilita per decidere (con procedimento abbreviato) se tra due enti esiste una corrispondenza particolare o se un ente ha certe caratteristiche. Un significato affine conserva (o dovrebbe conservare) in ambito pedagogico - didattico in cui «criterio» viene a indicare un segno atto a riconoscere la veridicità o la validità di ..., un mezzo per giudicare, una regola per decidere.

Avviene però che tanto nella prassi quanto nella lettera­tura specifica (compresa la legislazione scolastica) il termine venga usato in modo spesso ambiguo e confuso. A volte lo si adopera con il significato statistico di parametro, per indicare ad esempio una misura riassuntiva di una caratteristica dei membri di una popolazione. Altre volte lo si confonde con principio cioè con uno degli elementi fondanti una carta teoria. Altre volte ancora lo si utilizza in modo del tutto oscuro.

Se la confusione è sempre pericolosa diventa però grave quando riguarda i criteri di verifica e di valutazione dell'apprendimento nonché della maturazione degli stu­denti. Per rimediare occorre una sempre più puntuale elaborazione degli obiettivi per giungere a una corretta individuazione dei criteri di verifica e di valutazione dei risultati raggiunti.

Indica la regola per distinguere l'uno dall'altro i termini di una coppia di opposti; così si parla di c.teoretico (per la coppia vero-falso), di c.etico (per la coppia bene-male). di c. estetico (per la coppia bello-brutto), di c. economico (per la coppia utile-dannoso), di c. giuridico (per la coppia giusto-ingiusto). La criteriologia è pertanto strettamente connessa all'axiologia. Si è assai discusso circa l'apriorità dei c. di valore, che essendo normativi devono essere fondati su una necessità assoluta e non relativa e pertanto non possono essere meramente in­dotti dall'esperienza: ma d'altra parte vengono conqui­stati e approfonditi continuamente, e sono quindi rispet­to a noi non pacifico possesso ma obiettivo di ricerca mai esaurita.

Si denomina criterio o discernimento altresì la capacità di giudicare e valutare che si consegue con la maturità:

esso è una condizione della piena avvertenza e del deliberato consenso che sono requisiti dell'azione moral­mente responsabile.

Nella teoria delle variabili e nella sperimentazione si chiama c. un certo grado o livello prestabilito della variabile-obiettivo che si intende conseguire (per es. il 90% del massimo punteggio possibile) mediante la variabile d'azione introdotta.

Criterio di verifica

Le modalità di costruzione dei criteri di verifica dell'apprendimento consistono in una particolare descrizione delle prestazioni, da compiersi sulla base degli obiettivi formativi programmati e quindi in rapporto, seppur indi­rettamente, ai risultati di un preliminare "smontaggio" logico-sequenziale delle discipline prese in considerazione e agli aspetti cognitivi e psicologici, in generale di che apprende.

Si tratta di descrivere le singole abilità-criterio in termini di prestazioni e di compiti specifici che in forma positiva, "saper fare", rappresentino esplicitamente l'avvenuto conseguimento dei traguardi formativi minimi, parziali e intermedi, necessari e/o propedeutici affinché traguardi successivi e progressivamente più complessi possano essere raggiunti dagli allievi con relativa facilità, o di veri e propri obiettivi formativi reputati fondamentali e signi­ficativi anche se non necessariamente propedeutici rispetto ad altri. Ciascuna descrizione diviene così il criterio con il quale confrontare le singole prestazioni appositamente sollecitate negli allievi per stabilire la adeguatezza di ciascuna di esse o la non adeguatezza rispetto al criterio stesso

I criteri, inoltre, non costituiscono una mera e pedissequa descrizione dei contenuti della disciplina o area disciplinare cui si riferiscono, bensì abilità cognitive di tipo operativo, ovviamente attivate tramite i contenuti scelti, che è possibile far raggiungere non solo per molte vie (itinerari didattici), ma anche con metodologie e approcci diversi che lasciano ai docenti ampi margini ad esigenze concrete e non fittizie di flessibilità e libertà didattica.

Criterio di sufficienza

Come si stabilisce per esempio un criterio di sufficienza? Ci sono due soluzioni: la prima, funzionale, stabilisce quale debba essere la competenza minima indispensabile da raggiungere, e colloca il limite di sufficienza a tale livello; è la soluzione che si impone in alcuni casi, per esempio per stabilire l'abilitazione all'esercizio di profes­sioni che rivestono grosse responsabilità, come in medi­cina. Una seconda soluzione, puramente statistica, con­siste invece nel tener conto del livello medio dei candi­dati: nella prassi scolastica si ha un addensamento dei voti attorno al "sei" scarso, e si pone pertanto il criterio di sufficienza nelle sue vicinanze (va per altro conside­rato che tale determinazione esercita un effetto secon­dario nel piegare i risultati appunto verso il sei, con una specie di circolo vizioso).

Una diversa nazione di "criterio di sufficienza"

Un concetto tanto generalmente accettato, quanto privo    di reali giustificazioni, è quello di sufficienza. Esso dovrebbe designare le condizioni minime che consentano    di considerare positive le prestazioni di un allievo. La   sufficienza costituirebbe dunque un termine di separazione all'interno della scala di misurazione del  profitto,al di qua del  quale si estenderebbe la semidistribuzione positiva,   variabile  tra  un  minimo e un massimo, e al  di  là    quella  negativa anch'essa variabile tra un minimo e un massimo. La critica di questo concetto della sufficienza può essere condotta su due piani, il primo tecnico-metodologico e l'altro pedagogico.

Dal punto di vista tecnico-metodologico la capacità di  un termine di discriminare nettamente tra due serie di misure è affidata soprattutto alla qualità delle misure stesse. Ciò significa che la discriminazione è tanto più esatta quanto più valide e attendibili sono le misure. Si è già visto che tali non sono le misure che si ottengono nelle situazioni didattiche tradizionali, e che anzi riesce persino difficile stabilire a che tipo di scala esse diano luogo. Questa indeterminatezza delle proprietà metriche della scala comporta una probabilità di errore piuttosto   estesa: anche se non si vuole respingere del tutto il giudizio che viene espresso sulle prestazioni degli allievi,esso deve essere riferito piuttosto a una fascia di rendimento che a una precisa posizione su una scala.

Ne viene che si individua sulla scala una posizione che    funge da termine di separazione, ci sono molte probabilità che i punteggi prossimi a tale termine corrispondano a prestazioni che altrimenti misurate si collocherebbero in posizione diversa rispetto al termine stesso:in altre parole, i giudizi che si fondano su misurazioni prossime alla sufficienza sono sostanzialmente arbitrari, per il fatto che esiste un margine di oscillazione delle    misure tale da renderle sostanzialmente casuali all'interno di una certa fascia. Si tratta di un limite della    valutazione tradizionale che è specialmente grave se si    considera che attorno alla sufficienza tende a concentrarsi la maggior parte dei punteggi: i cinque e i sei nella  scala in decimi sono i voti che ricorrono più spesso in  quanto, dovendosi discriminare tra prestazioni più o meno positive, è inevitabile 

La critica tecnico-metodologica del concetto di sufficienza potrebbe essere superata in parte considerevole attraverso l'adozione di modalità di misurazione più precise. Restano intatte però le riserve che si possono muovere da un punto di vista pedagogico. C'è da chiedersi  infatti quale sia il senso delle differenziazioni che si  stabiliscono all'interno delle sue semidistribuzioni, quella  positiva e quella negativa.  Supponiamo che si valuti l'apprendimento di un allievo  relativo a un determinato contenuto, come potrebbe  essere la dimostrazione del teorema di Pitagora. Un'analisi del contenuto rivela che sono alcune conoscenze che  possono considerarsi preliminari rispetto al contenuto  vero e proprio (prerequisiti dell'apprendimento) così l'allievo dovrebbe già essere in grado di distinguere un  triangolo rettangolo: di indicarne l'altezza, i cateti, l'ipotenusa; di calcolare il perimetro e la superficie. 

Se l'insegnante effettua una valutazione preliminare dei  prerequisiti, il suo giudizio dovrà essere univoco, e cioè  ridursi all'altezza nativa «l'allievo possiede/non possiede  i prerequisiti». Non avrebbe molto senso affermare che  li possiede di più o di meno. Sarebbe infatti come dire  che «l'allievo A sa cos'è l'ipotenusa, ma l'allievo B lo sa  meglio dell'allievo A, mentre l'allievo C lo sa più o  meno». Del tutto privo di logica apparirebbe il giudizio  sul versante negativo: l'allievo D non sa cos'è l'ipotenusa, ma l'allievo E lo sa ancora di meno». E' chiaro che  simili differenziazioni non hanno senso: se nella scuola  esse vengono effettuate, ciò accade perché il giudizio  non si riferisce all'effettiva conoscenza dell'allievo, ma  alla facilità con cui apprende, alla proprietà e al garbo  con cui espone ecc.  Se si passa alla valutazione terminale dell'apprendimento, una volta che la procedura didattica relativa al  teorema di Pitagora si sia conclusa, le alternative rimangono le stesse: un allievo sa o non sa dimostrare il  teorema di Pitagora, ma non è possibile che lo sappia o  non lo sappia dimostrare di più o di meno.  

La soluzione del problema così impostato richiede una  radicale revisione del concetto di sufficienza: essa non  dovrebbe più essere considerata un limite minimo, collocato nella parte centrale della distribuzione dei voti, ma  semplicemente una condizione di adeguatezza, che consenta di distinguere quando la prestazione dell'allievo  corrisponde al compito che gli è richiesto, e quando non  lo soddisfa. Se volessimo identificare la posizione che  nella scala corrisponde all'adeguatezza, non potremmo  che collocarla nella parte alta, decisamente sopra al 6.  Potremmo anche dire che una differenziazione più ampia  è possibile tanto nell'area dell'insufficienza che in quella  della sufficienza: infatti, mentre quest'ultima è credibile  solo se è definita in modo univoco, possiamo attenderci  che le prestazioni fornite dagli allievi presentino varie  misure di inadeguatezza: anzi, è proprio l'intervallo che  separa ciascuna dalla condizione di adeguatezza che  segnala il problema didattico che occorre affrontare. E' evidente che una simile netta distinzione è possibile solo se gli obiettivi sono stati indicati con precisione e se sono stati accuratamente descritti i comportamenti che si attendono: le prestazioni degli allievi devono infatti essere confrontate con essi.

 

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