RIFLESSIONI SUL CURRICOLO


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RIFLESSIONI SUL CURRICOLO

Carlo Fiorentini

     E' nel regolamento dell'autonomia che viene sancito giuridicamente il passaggio dalla scuola del programma alla scuola del curricolo. L'art. 8 attribuisce, infatti, alle scuole il compito della costruzione del curricolo, ma garantisce l'esistenza di un sistema formativo nazionale affidando al ministro il compito di stabilire "gli obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli alunni".

     E' particolarmente significativo il commento di Livia Barberio Corsetti, Capo ufficio legislativo del Ministero della Pubblica Istruzione, durante il ministero Berlinguer: "Il Regolamento segna la transizione dalla cultura del sapere, che malgrado quanto si è cercato di fare negli ultimi anni, seguita a misurarsi in termini di quantità e vastità dei contenuti appresi - e a concepire quindi l'apprendimento come un "avere" - alla cultura della competenza, che non pretende di negare il sapere, ma vuole calarlo in un apprendimento concepito, come "crescita dell'essere". In quanto tale, il Regolamento costituisce uno dei segni più evidenti che nel nostro paese, in questo momento storico, è in atto una profonda trasformazione del diritto. Esso pur nelle resistenze che nascono da una cultura millenaria, tende sempre più ad abbandonare la rigidità dei formalismi tradizionali per divenire strumento flessibile di regolazione di rapporti sostanziali. Il vero pregio dell'art. 21 della legge 59/1997 e del Regolamento dell'autonomia didattica ed organizzativa è quello di intervenire sulle relazioni giuridiche società-educazione-sviluppo e insegnamento-apprendimento liberandole dalle logiche che le volevano codificate nei minimi particolari e ingessate nei tempi e nelle modalità per attribuire loro capacità di adattamento alle nuove esigenze delle società e dei singoli. Si tratta sempre, e dobbiamo esserne consapevoli, di diritto, ma di un diritto che non pretende più di <cristallizzare> la relazione, bensì contiene al suo interno elementi di flessibilità che consentono, sul presupposto della validità della relazione fondamentale - dovere di educare/diritto all'educazione - di aggiornare costantemente la relazione stessa, rinnovandone metodi e contenuti"[1]

                                         Il curricolo nella scuola di massa

     La ricerca sviluppata negli ultimi decenni, sia in Italia che a livello internazionale, ha fatto comprendere che la riflessione sul curricolo è un'attività di ricerca molto complessa, perché investe la persona globale dei soggetti. Di qui il suo carattere squisitamente multidisciplinare. In ogni caso essa è fin d'ora sufficiente a fondare la convinzione che il "Che cosa e come insegnare" alle varie età e nei diversi contesti sociali non è ricavabile dall'applicazione alla cultura scolastica tradizionale di tipo elitario di alcuni principi pedagogici, o di leggi dello sviluppo cognitivo, o di indicazioni didattiche generali, o di tecniche caratteristiche di ciascuna didattica disciplinare.

     La ricerca in atto è cioè fin d'ora sufficiente a ritenere che il curricolo adeguato ad una scuola di massa può essere costruito soltanto se si saprà enunciare ipotesi di una cultura scolastica nuova, a partire da un totale ripensamento della cultura scolastica tradizionale. "Nuova" non vuol dire che si voglia inventare una cultura differente da quella elaborata nelle sedi tradizionali che ogni scuola consapevole della propria funzione sociale trasmette nei suoi con­tenuti, nelle sue prospettive, nei suoi ideali. La sua novità sta nel rinunciare all'idea che essa nella scuola possa esser trattata come lo era fino a pochi decenni fa, quando la scuola stessa, ad eccezione di quella elementare ("popolare") era una istituzione elitaria.

     Fino a circa mezzo secolo fa, infatti, in quasi tutti i paesi esisteva un curricolo della scuola elementare con la funzione di educare le masse e vi era poi un curricolo, più o meno articolato, della scuola secondaria deputato alla formazione delle classi dirigenti. Nella scuola che amministrava un tale curricolo unitario, cultura e cultura scolastica sostanzialmente coincidevano, per la buona ragione che chi non riusciva ad as­similare la cultura che gli veniva proposta poteva essere scar­tato senza preoccupazioni (se non veniva perdonato per solida­rietà di classe). Lo scopo di quella scuola era infatti soprat­tutto quello di selezionare precocemente gli studenti più disponibili - una piccolissima percentuale della popolazione - ad adattarsi ad un modello di cultura alta. La finalità princi­pale di quella scuola era quella di operare una selezione so­ciale e la motivazione allo studio era innanzitutto di tipo estrin­seco, il futuro, quasi certo, ruolo direttivo nella so­cietà.

Già Dewey contro una tale impostazione classista aveva posto in modo paradigmatico il rapporto che dovrebbe esistere tra cultura scolastica, da una parte, e cultura e discipline, dall'altra. In Italia Lydia Tornatore aveva già negli anni Sessanta e Settanta criticato pesantemente la proposta bruneriana a sua volta critica di Dewey, perché riproponeva, nella sostanza, al di là dell'apparenza della moda strutturalista, la cultura specialistica come cultura scolastica senza tener conto del complessivo quadro pedagogico nel quale quella didattica trova giustificazione[2]

      Maturate le condizioni sociali e politiche necessarie, a livello mondiale, oggi il problema del curricolo è diven­tato soprattutto quello della scuola di massa, che riguarda tutte le classi sociali e che ha per scopo (come non ci si stanca di ripetere) la formazione dell'"uomo" e del "cittadino". Perciò è stato posto in termini del tutto differenti: se non altro perché una tale scuola spinta fino all'adolescenza si propone di non scartare alcun suo allievo: scartarlo equivar­rebbe a dichiararlo non-uomo e non-cittadino.

                                        Il rifiuto di approcci unilaterali

      La ricerca pedagogica più significativa si era posta già prima, dalla prima metà di questo secolo, anche se con modalità e proposte ormai superate, il problema del curricolo in una scuola di massa, necessaria a società democratiche. Ed in­dubbiamente, ad esempio, alcuni principi enunciati da Dewey agli inizi del Novecento, spesso mal interpretati dai suoi stessi seguaci, rappresentano un riferimento d'obbligo anche per l'educazione democratica del prossimo secolo. 

Leggiamo, ad es.: "Qualunque insegnante sensibile ai modi in cui il pensiero opera nell'esperienza naturale del ragazzo normale eviterà senza difficoltà tanto l'identificazione del logico con un'organizzazione bell'e fatta della materia di studio, quanto l'idea che per sfuggire a questo errore non occorra prestare alcuna attenzione alle considerazioni logiche (...) Vedrà che lo psicologico e il logico, invece di essere opposti o anche indipendenti l'uno dall'altro, sono fra loro connessi come il primo e l'ultimo, o conclusivo, stadio dello stesso processo. Riconoscerà, inoltre, che quella specie di elaborazione logica che contrassegna la ma­teria trattata nello stadio della maturità non è l'unica possi­bile e che la specie di organizzazione che si ritrova nel mate­riale scientificamente elaborato è di fatto indesiderabile finché la mente non abbia raggiunto un grado di maturità capace di comprendere perché si adotta proprio questa forma piuttosto che un'altra. In realtà, ciò che è strettamente logico dal punto di vista della materia trattata rappresenta le conclusioni di una mente esperta ed educata (...). E' assurdo supporre che il principiante possa cominciare là dove l'esperto si ferma"[3].

 E' particolarmente significativo che il Bruner, dopo aver rappresentato per alcuni decenni il principale punto di riferimento della rivolta disciplinarista e strutturalista nei confronti della degenerazione attivistica della scuola americana, sia ritornato a posizioni vicine a quelle di Dewey[4]. Questo vuol dire che la scuola attenta alle didattiche disci­plinari che egli ha giustamente proposto, è giunta a integrarsi almeno in teoria nei quadri pedagogici deweyani, che la presup­ponevano.

Non per questo i tradizionalisti disarmano. Quali sono le loro obiezioni ?

Innanzitutto che l'eventuale cultura scolastica sarebbe povera rispetto alla cultura della nostra società attuale: porterebbe, cioè, alla dequalificazione della scuola. In­oltre essa sarebbe poco attenta alla parte "migliore" della popolazione scolastica, alle cosiddette "eccellenze".

    In riferimento al primo aspetto, come si valuta il livello culturale di una scuola? In base ai programmi ed al livello delle nozioni che vengono trasmesse dagli insegnanti? O in base agli apprendimenti duraturi, alle competenze, agli atteggiamenti ed alle conoscenze che è possibile accertare negli studenti anche dopo alcuni anni dalla fine della scuola secondaria superiore?

    Prendiamo la situazione dell'insegnamento scientifico come esempio paradigmatico della scuola nel suo complesso: esso è caratterizzato da un modello di cultura alta che ispira l'impostazione curricolare fin dalla scuola elementare. I risultati sono catastrofici: alla fine della scuola secondaria superiore, la maggioranza degli studenti, non avendo potuto ritenere che frammenti di nozioni da un insegnamento che non tiene conto né delle sue motivazioni né delle capacità di apprendimento proprie di ciascuna età, conservano concezioni di tipo prescientifico che prescindono totalmente dall'insegnamento ricevuto, ed hanno in generale un'immagine ottocen­tesca della scienza, quella del senso comune: la scienza come certezza dogmatica; mentre dal punto di vista motivazionale hanno maturato un atteggiamento di sostanziale estraneità e ma­gari di avversione nei confronti di un insieme di nozioni tal­mente astratte da apparire loro senza nessun significato.

     Per quanto riguarda il secondo aspetto, quello delle eccellenze, e prendendo di nuovo come esempio l'insegnamento scien­tifico, una proposta curricolare per la scuola di base totalmente innovativa rispetto all'approccio usuale di tipo specialistico che prevedesse un'impostazione soltanto di tipo fenomenologico ed operativo sarebbe indubbiamente coinvolgente ed efficace per la parte di livello medio-basso della popolazione scolastica, ma sarebbe anche indispensabile per le "eccellenze" perché permetterebbe loro di acquisire successivamente in modo significativo le competenze e le conoscenze privilegiate, più formalizzate.

     Una didattica che riesca a trasformare le singole discipline elaborate dalla ricerca scientifica in materia d'insegnamento rifiuta in sostanza approcci unilaterali di tipo tradizionale, meramente disciplinare, privi dei caratteri necessari all'apprendimento, come rifugge da pratiche didattiche di carattere vuotamente pedagogico: né l'uno né, l'altro, sono stati in grado di dare risposte efficaci al problema di fondo di tutti i paesi sviluppati, la dequalificazione degli studi, determinata dall'estensione della scuola a masse di bambini e ado­lescenti il cui problema fondamentale sta nel riuscire a svilup­pare per la cultura scolastica un interesse tale da meritare apprendimento. E' questo fallimento che mette in crisi le spe­ranze democratiche associate all'istruzione in tutti i paesi oc­cidentali.

                             La complessità della ricerca sul curricolo

     La cultura alta, le discipline relative, costituiscono evidentemente nella costruzione del curricolo uno degli ambiti fondamentali della ricerca didattica. Tuttavia esse devono fare i conti con un curricolo che, avendo come meta per tutti gli studenti l'acquisizione di determinate competenze e conoscenze alla fine della scuola dell'obbligo, deve riservare l'approfondimento di esse agli ultimi suoi livelli, quelli della secon­daria superiore i quali accanto a mete comuni contemplano mete differenziate, in relazione ai vari indirizzi.

    Ma è evidente che nessun approfondimento potrà darsi negli ultimi anni di scuola se non sarà stato messo a punto "che cosa e come insegnare" nelle età precedenti; ed è questo un problema non risolubile da una riflessione soltanto disciplinare. Già la scelta delle mete educative, degli obiettivi minimi, o degli standard sono problemi tutt'altro che disci­plinari, perché ciò che è in discussione e deve essere definito non sono le competenze culturali dei futuri letterati, storici, scienziati, ecc., ma le conoscenze e le competenze necessarie a tutti i cittadini: un compito, questo, la cui definizione non può nascere se non dall'incontro di molteplici competenze, da quelle di tipo epistemologico e didattico disciplinare, a quelle di tipo sociologico e comparativo, da quelle pedagogiche e psi­cologiche a quelle connesse ad una riflessione critica sull'esperienza didattica. Per usare un termine molto in voga oggi, si può affermare che la ricerca sul curricolo si situa sul terreno della complessità; essa esclude qualsiasi approccio riduzionista, il quale non può che essere insignificante o dele­terio negli esiti educativi.

    Per quanto la complessità sia di per sé scarsamente riducibile in schemi, si può tentare una rappresentazione del curricolo ponendolo al centro, quale risultato di quel che si è chiamato un incontro di competente di diversa origine. Proviamo a raccogliere codeste competenze in quattro gruppi relativamente omogenei, tutti egualmente essenziali.

    Uno dei gruppi è quello delle discipline previste quale contenuto dell'insegnamento. Un secondo comprende le forme di ricerca necessarie a rielaborare ogni disciplina così da trasformarne il contenuto in materia di insegnamento (fra queste sono sempre presenti da un lato l'epistemologia di ciascuna materia: ossia il modo di "far storia" o di "far scienze naturali", e così via; e dall'altro la psicologia dell'età evolutiva che indica a quali età i processi mentali degli alunni sono in grado di attivare quei "modi di fare..."; e quindi le pratiche didattiche in cui realizzare quei processi mentali (le didat­tiche disciplinari). Il terzo gruppo di competenze è tutto peda­gogico, e riguarda questioni educative generali: natura dell'educare (pedagogia), natura dell'apprendere (teorie dell'apprendimento), funzioni e istituzioni sociali educative (sociologia dell'educazione), principi generali dell'insegnamento efficace (didattica generale), ecc. Il quarto gruppo di competenze, riguarda l'esperienza concreta di insegnamento, i problemi quotidiani che la costituiscono, i modi concreti di affrontarli e risolverli.

DISCIPLINE:

DIDATTICHE DISCIPLINARI:

linguistiche

Epistemologia

Storiche

psicologia dell'età evolutiva

Scientifiche, ecc.

e metodologie relative

IPOTESI DI CURRICOLO

SCIENZE DELL'EDUCAZIONE:

RIFLESSIONE SULL'ESPERIENZA

pedagogia

DIDATTICA NELLA SCUOLA

teorie dell'apprendimento

 

sociologia dell'educazione

 

didattica generale, ecc.

 

     Come si è detto, una realtà complessa non può esser ridotta in schemi. Quello proposto comunque riflette un tentativo di analisi che è sufficiente a dare un'idea della complessità dell'educazione, come la si vede oggi da parte di molti studiosi che hanno adottato quell'idea come paradigma di ricerca: molti specialisti, tra cui alcune figure di altissimo livello, quali premi Nobel, sono arrivati attraverso di essa alla consapevolezza della necessità di superare nell'ambito della ricerca gli steccati dei vari ambiti disciplinari e della fecondità di una ricerca effettivamente multidisciplinare (o interdisciplinare, o transdisciplinare, a seconda dei punti di vista specifici) che permetta di realizzare una costante contaminazione tra paradigmi, modelli e teorie di varie discipline, quali la biologia, la fisica, la chimica, l'economia, la paleontologia, le ricerche sull'intelligenza artificiale e le scienze cognitive, ecc.

     Anche il problema didattico, per essere quello attraverso cui il fatto educativo si traduce in ambito scolastico, si pone in termini di complessità: anzi in esso un tale paradigma avrebbe dovuto imporsi con decenni di anticipo rispetto agli altri ambiti di ricerca. Costituisce quindi un paradosso il riferimento di molti esperti di problematiche scolastiche al nuovo paradigma mentre la quasi totalità delle ricerche didattiche restano ancora ispirate a modelli riduzionistici. Nei fatti chi nella scuola ha fatto esplicito riferimento alla teorie della complessità è rimasto alla superficie del problema, senza comprenderne i nodi concettuali: ha, infatti, riproposto approcci interdisciplinari in contrapposizione ad impostazioni disciplinari tradizionali, partendo, tuttavia, soltanto a volta a volta da una riflessione interna ad una singola disciplina, magari come è stata sviluppata ad un livello di estrema sofisticazione da alcuni grandi ricercatori negli anni precedenti. Ha finito così col riproporre un approccio riduzionista almeno fino a che non ha compreso che le coordinate della complessità della ricerca educativa sono tutte quelle indicate nello schema precedente, dove le quattro categorie fondamentali - competenze disciplinari, competenze epistemologiche-didattiche, competenze psico-pedagogiche e riflessioni sull'esperienza didattica - concorrono tutte all'atto educativo.

    Analogamente, una delle acquisizioni più recenti, che per certi aspetti costituisce una riscoperta della migliore tradizione attivistica, è la sottolineatura dell'importanza della problematica della comunicazione e delle relazioni interpersonali, e quindi della dimensione affettiva e motivazionale. Essa è stata affrontata da molteplici punti di vista, ora più strettamente psicologici, ora in funzione di tecniche specifiche ora in prospettive pedagogiche e didattiche generali. Ciò che accomuna i vari approcci è la critica radicale delle modalità comunicative tradizionali, caratterizzanti la trasmissione "a una sola via", dall'insegnante agli allievi.

     Si può esser d'accordo nelle linee generali con tutto ciò, sia nella parte critica che in quella propositiva. Pensiamo, in particolare, che nella scuola di base, l'insegnamento non possa essere generalmente mera trasmissione di messaggi dall'insegnante agli allievi; che il ruolo dell'insegnante debba diventare essenzialmente quello di regista e di facilitatore del processo di costruzione interpersonale della conoscenza da parte degli studenti. Tuttavia, ancora una volta, non si può condividere il fatto che negli ultimi anni la problematica della comunicazione e delle relazioni sia diventata una delle principali mode: non crediamo, cioè, che una maggiore competenza relazionale dell'insegnante sia in grado, di per sé, di apportare miglioramenti significativi al curricolo. Anzi pensiamo che l'impostazione riduzionista di molti esperti delle tecniche di comunicazione sia fuorviante; se essa non incide, infatti, sulla trasformazione del curricolo sotto altri aspetti essenziali (ad es., nelle didattiche disciplinari, nell'organizzazione longitudinale dei contenuti culturali, ecc.) rischia di ridursi ad una conferma del curricolo tradizionale.

                            La necessità di un'impostazione multidisciplinare

      Non è certo possibile qui avviare una trattazione analitica della questione. Si può soltanto insistere sul fatto che almeno nei dieci anni di scolarità obbligatoria non ci sono fasi, come la scuola dell'infanzia e primaria, dove sarebbero più importanti la pedagogia e la psicologia, ed altre fasi, come la scuola secondaria di primo e secondo grado, dove dovrebbero essere fondamentali soltanto i contenuti disciplinari. Gli uni e le altre sono essenziali sempre, per potere formulare delle ipotesi razionalmente fondate su "che cosa e come insegnare" nelle varie fasi del processo educativo. Tuttavia, esse come sono state accennate dello schema non danno ancora un'idea sufficiente della composizione di un curricolo corrispondente alla complessità del problema educativo, se non si insiste per un verso sulla componente storica delle competenze epistemologica e didattica e sui criteri metodologici con cui trattare le esperienze didattiche quando presentino caratteri innovativi.

     D'altra parte a chi rilevasse criticamente una certa astrattezza nel proporre certe discipline pedagogiche, va osservato che soltanto esse possono fornire indicazioni sulle finalità e sugli obiettivi fondamentali del processo educativo, sui caratteri cognitivi, affettivi, motivazionali della personalità nella varie fasi evolutive, sugli aspetti generali delle varie metodologie didattiche. Esse non sono però in grado, da sole, di tradurre in proposte didattiche operative questo essenziale patrimonio di conoscenze. Sono le altre competenze, quelle epistemologiche, quelle relative alle didattiche disciplinari, che, realizzando una mediazione tra le scienze dell'educazione e le singole discipline, possono permettere di enucleare ipotesi di un curricolo longitudinale adeguato alla formazione culturale, morale, sociale della personalità degli alunni.

     Spesso, la traduzione didattica immediata di teorie pedagogiche o psicologiche ha prodotto risultati tutt'altro che innovativi, perché la mancanza di mediazioni epistemologiche e didattiche specifiche ha portato ad assumere, generalmente in modo implicito, le discipline, nella loro tradizionale organizzazione scolastica, come la certezza, come qualcosa di immodificabile che andava accettato o rifiutato in toto. Se ripercorressimo la storia della pedagogia e della didattica negli ultimi cinquant'anni ritroveremmo innumerevoli esempi ricorrenti dell'uno o dell'altro atteggiamento.

                               Alcune proposte per la formazione in servizio

     Una delle proposte più efficaci di formazione in servizio  è quella di attività di ricerca-azione rivolte a piccoli gruppi stabili di insegnanti della stessa scuola, con una previsione di durata di alcuni anni.

     Una variante della proposta precedente potrebbe essere quella di un progetto di formazione in servizio di reti di scuole di diversi ordini e gradi scolastici. Anzi, da un certo punto di vista, questa è indubbiamente una modalità da adottare per necessità, in casi di aggiornamento sulla didattica di alcune materie per le quali gli insegnanti di una singola scuola siano troppo pochi per formare un gruppo. Ma essa può essere interessante anche in altri casi, perché permetterebbe agli insegnanti di riflettere sulle differenti interpretazioni del curricolo nelle scuole rispettive, o di prospettare ipotesi comuni non circoscritte ad un determinato livello scolastico.

     Concentriamo l'attenzione sulla scuola di base: in essa vi sono programmi molto innovativi, che hanno tuttavia alcuni limiti; questi sono riconducibili, da una parte, ad essere programmi pensati per gradi di scuola ben distinti e separati, nonostante alcuni richiami alla continuità fra i diversi livelli scolastici; e dall'altra di essere in generale, curricolarmente indeterminati. Ciò ha avuto riflessi negativi nell'editoria scolastica, consentendo in un gran numero di casi di riproporre il curricolo tradizionale, enciclopedico e formalistico, con l'aggiunta di aggiornamenti e riverniciature, soltanto apparentemente innovative. La maggior parte degli insegnanti ha finora conseguentemente vissuto il rapporto con il grado scolastico successivo come una richiesta di maggiore quantità di nozioni. E ciò ha avuto gravi implicazioni negative sull'impostazione dell'attività didattica, portando spesso a vanificare completamente la parte innovativa dei programmi stessi.

     Riflettere in sede di formazione in servizio con insegnanti di differenti gradi scolastici su un tipo di curricolo longitudinale nei vari ambiti disciplinari, in un'ottica di continuità educativa, significa superare l'attuale discontinuità artificiale comportata dai gradi scolastici medesimi, retaggio della storia secolare della nostra scuola; né si corre il rischio con ciò di appiattire l'attività didattica in un'unica marmellata indistinta. Fondate proposte, in un'ottica di continuità educativa, significano sostanzialmente prospettare, sulla base delle molteplici competenze già indicate - di tipo disciplinare, epistemologico, psicologico, pedagogico e didattico - attività didattiche caratterizzate semmai, da discontinuità non casuali, ma adeguate alle capacità di assimilazione dei soggetti che apprendono.

    Questo progetto di formazione in servizio di più scuole potrebbe, in teoria, riguardare tutti i livelli scolastici, dalla scuola dell'infanzia al triennio della scuola superiore. E', però necessario tenere sotto controllo la complessità del compito, in relazione alle risorse sia di tipo finanziario che di competenza degli esperti. In molti casi, saranno possibili progetti di formazione con scuole di 2-3 livelli scolastici, quali scuole dell'infanzia, elementare e media, oppure scuola elementare, media e biennio, ecc..

     Nei progetti che riguardano la scuola di base, i gruppi di formazione in servizio potrebbero riguardare generalmente le seguenti 5 aree: 1) educazione linguistica (L1 e L2), 2) educazione matematica, 3) educazione scientifica e tecnica, 4) educazione storica, geografica e delle scienze sociali, 5) educazione artistica e tecnica.

     Gli aspetti interattivo e sperimentale sono fondamentali per una efficace formazione in servizio: gli insegnanti in formazione devono avere un ruolo significativo nella riflessione sul curricolo e nella progettazione dei percorsi didattici, ma tutto ciò deve saldarsi con l'attività in classe, deve tradursi in sperimentazione effettiva affinché l'aggiornamento possa sviluppare una riflessione non soltanto di tipo teorico, astratto dal lavoro in classe. Noi non sottovalutiamo la dimensione teorica, ma vogliamo soltanto evidenziare la fecondità di esiti che si realizza nell'intreccio costante tra capacità progettuale teorica e sperimentazione. Anzi alla dimensione progettuale teorica, fondata scientificamente, attribuiamo una tale importanza che riteniamo che gruppi di formazione in servizio, quali quelli prospettati, possano realmente operare in modo efficace soltanto se questi gruppi sono coordinati da uno o più esperti del curricolo di ciascun ambito disciplinare. Questi esperti devono avere quelle competenze multidisciplinari di cui si è parlato in riferimento al curricolo stesso; non dovrebbero, quindi, essere semplicemente degli esperti di didattica disciplinare. Potrebbero anche essere organizzati in gruppi, con competenze diverse, ma comunque abituati a lavorare insieme.

     Nella fase iniziale del progetto di formazione in servizio, il compito degli esperti dovrebbe essere soprattutto quello di informazione: essi dovrebbero, cioè, nell'arco di alcuni (ad es. 3-4) incontri, facendo riferimento ai momenti più significativi della bibliografia esistente in ciascun ambito, fornire indicazioni e prospettare ipotesi, provvisorie e parziali, di curricolo verticale (longitudinale), per permettere, innanzitutto, al gruppo di condividere alcune coordinate pedagogiche ed epistemologiche comuni prima di iniziare attività innovative in classe. Dopo questa fase iniziale, concentrata in un arco di tempo limitato (2-3 mesi), gli incontri potrebbero avere cadenza mensile ed essere dedicati ad una attività di progettazione delle proposte didattiche future, alla luce della riflessione sulle difficoltà, sui problemi e sugli aspetti positivi emersi dalla sperimentazione già effettuata.

     Questo modello di formazione in servizio per produrre risultati significativi dovrebbe protrarsi nell'arco di più anni. Inoltre, in relazione alle esigenze ed alle competenze degli insegnanti, un'attività di formazione di questo tipo potrebbe essere intrecciata, fin dalla fase iniziale, con attività di approfondimento e studio di specifiche problematiche (di tipo epistemologico o pedagogico, o psicologico o didattico). Il modello interscolatico prospettato ha, tuttavia, un limite rilevante nel numero di insegnanti che può partecipare ad un progetto di questo tipo da ciascuna scuola; potrebbe, infatti, risultarne scarsa la ricaduta sulla scuola nel suo insieme. Qui entra in gioco la figura del preside e del direttore didattico: dipende principalmente dalla loro capacità organizzativa e progettuale la realizzazione in tempi medio-lunghi di opportunità di formazione in servizio che coinvolgano molti insegnanti, come il produrre le opportunità di osmosi, di contaminazione tra i risultati della ricerca e della innovazione di gruppi limitati di insegnanti e l'attività di programmazione e progettazione dell'insieme del collegio.


[1] L. Barberio Corsetti, Il Regolamento dell'autonomia: prove di nuovo diritto, in Annali della Pubblica Istruzione, 1999, n. 1-2, p. 58.

[1] J. Dewey, Come pensiamo, Firenze , La Nuova Italia, 1961, pp. 153-155. In riferimento al problema del curricolo vi sono in questo libro molte altre riflessioni fondamentali: per esempio alle pagine 65-66, 111, 160, 235-237, 268, 333.

[1] J. Bruner, La cultura dell'educazione, Milano, Feltrinelli, 1997.

[2] L. Tornatore, Educazione e conoscenza, Torino, Loescher, 1974, pp. 225-246.

[3] J. Dewey, Come pensiamo, Firenze , La Nuova Italia, 1961, pp. 153-155. In riferimento al problema del curricolo vi sono in questo libro molte altre riflessioni fondamentali: per esempio alle pagine 65-66, 111, 160, 235-237, 268, 333.

[4] J. Bruner, La cultura dell'educazione, Milano, Feltrinelli, 1997.


 


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