Il disagio emotivo |
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Il disagio emotivoIl disagio emotivo è diffuso come un comune raffreddore ma è più difficile riconoscerlo e guarirlo. Con un banale raffreddore o una qualsiasi malattia fisica, abbiamo ovvi sintomi che ci spingono ad agire in un certo modo: se abbiamo la febbre andiamo a letto o prendiamo un'aspirina. Anche il disagio emotivo ha i suoi sintomi, meno evidenti però. Non si manifestano sul termometro e non reagiscono ai comuni rimedi farmaceutici. Possiamo benissimo imparare a riconoscere più prontamente il disagio emotivo esaminandolo nei suoi aspetti. Per fare questo è necessario discutere tali disturbi in termini di sintomi esterni, della disposizione interiore che li favorisce, dei suoi maggiori campi di azione, dei principali modi in cui si manifestano (… sono tutti fenomeni che ostacolano, più o meno, la realizzazione delle normali attività quotidiane). Il primo evidente sintomo di disagio emotivo è l'indecisione e l'inattività. Tutti noi, a volte, siamo indecisi. Chi è coinvolto nel disagio emotivo è un indeciso cronico. Egli non può decidersi ad agire. Rimugina gli stessi problemi per settimane e settimane, per mesi e mesi ed in certi casi per anni e anni. E' disorientato dal dubbio. Amleto come sappiamo è il caso classico. Ma noi tutti affrontiamo decisioni nella nostra vita quotidiana, piccole scelte e, occasionalmente, grandi scelte. Naturalmente l'indecisione implica la tendenza a procrastinare, cioè differire la soddisfazione dei nostri bisogni e crea frustrazioni. In aggiunta a ciò c'è il senso di inadeguatezza che deriva dal non potere soddisfare né i nostri bisogni né i nostri problemi. In tal modo diventiamo ostili e cominciamo a prendercela con la gente che ci circonda a causa del nostro senso di inadeguatezza. Ben presto passiamo più tempo pensando a ciò che ci manca piuttosto che a ciò che abbiamo. A lungo andare viziamo tutte le nostre decisioni perché conosciamo così poco il nostro agire che non possiamo rallegrarci dei suoi frutti. Il sintomo più comune nel disagio emotivo è l'ansietà o la paura. L'ansia (… in latino angere: stringere, oppressione, senso di chiusura alla gola) è presente in ogni individuo. Capita, tuttavia, che essa diventa eccessiva e permanente così da provocare reazioni organiche di ogni genere: costrizione, tensione muscolare, incapacità di rilassarsi, difficoltà di concentrazione, affaticabilità, irritabilità, insonnia, ecc. Questo fenomeno si riscontra in individui che vivono un sentimento doloroso relativo ad un pericolo che ritengono imminente, ma che non riescono a definire con precisione. Possiamo affermare che essi non confidano nel corso normale della vita, anzi pare che vi sia nei confronti di essa una certa diffidenza. In seguito a tutto ciò vivono nella più completa insicurezza. La paura deriva da un'altra condizione emotiva, il senso di dipendenza. Cerchiamo gente che ci aiuti, se abbiamo paura. Se da bambini siamo corsi via e abbiamo gridato, da adulti siamo più abili, ma la nostra risposta è essenzialmente infantile. Se facciamo un'infantile concessione a noi stessi, è probabile che ne faremo delle altre. L'ostilità è un altro sintomo molto forte di disagio. E' molto comune nel nostro tempo perché viviamo in una società altamente competitiva. Ognuno gareggia per qualcosa, condizioni sociali, compagni sessuali, posti al parcheggio e così via. Un individuo ostile è un arrabbiato cronico, costantemente critico verso gli altri. Non si rassegna al fatto che errare è umano anzi è la regola. Ma questa palese espressione di disagio emotivo è l'insuccesso o lo scarso rendimento. Tutti siamo soggetti a limitazioni fisiche e mentali, a ingiustizia sociale, alla cattiva sorte; ma a lungo andare, se non sfruttiamo una buona parte del nostro potenziale, dobbiamo rassegnarci a biasimare noi stessi. Ciò riguarda non solo la scuola e la carriera, ma tutti gli aspetti della vita. Il senso di colpa che spesso è il risultato dell'ostilità e dell'insuccesso, è il quinto chiaro sintomo di disagio emotivo. Il senso di colpa, purtroppo, non è facilmente riconoscibile. La sua più comune espressione è il costante chiedere scusa. La gente che soffre di senso di colpa chiede sempre con molta educazione e convinzione, non solo quando è opportuno ma anche quando è fuori luogo. Inoltre il suo comportamento oscilla tra la dolcezza e la cattiveria. Un altro evidente indizio di difficoltà emotiva è il richiudersi in se stessi. Ciò inevitabilmente conduce alla solitudine e all'alienazione. Dato che nell'essere soli c'è un'enorme perdita del senso della prospettiva, il richiudersi in se stessi rende più facile che il disagio emotivo di una persona si espanda ad altre sue attività. I sintomi psicosomatici, in generale, determinano una settima forma di disagio emotivo. Il nostro corpo richiede la soddisfazione dei propri bisogni in una quantità di modi superiori a quello che riconosciamo. Alcuni di questi modi possono essere misurati fisiologicamente. Ad esempio, la paura di svelare un aumento del ritmo respiratorio. Anche le palme della mano bagnate, definite “riflesso psicogalvanico” sono un segno rivelatore. L'espressione del volto è eloquente. Ci sono anche espressioni del nostro linguaggio che ricordano ciò. Per alcuni è la pelle, per altri è lo stomaco, per altri ancora la schiena. Comuni espressioni di ansietà cronica, di paura, di collera e di conflitto, coinvolgono disturbi psicosomatici quali l'ulcera, le coliti, il mal di testa cronico, le allergie e le indigestioni. Ma il sintomo psicosomatico più frequente, che non sempre è riconosciuto come tale, è la stanchezza. Ci sono molte ovvie, logiche ragioni per diagnosticare la stanchezza come il risultato di un superlavoro. Ma il fatto è che la fatica è anche indice di eccessiva resistenza, di risentimento, di indecisione. La più comune e accettabile scusa per non fare qualcosa che non vogliamo fare è che siamo troppo stanchi per farlo. Infine, ogni atteggiamento o azione estremistica sono una chiara espressione di inclinazione al disagio emotivo. Il fatto che l'azione sia approvata o disapprovata dalla società non è importante; se è esagerata è sospetta. Ad esempio l'inattività, che è malvista nella nostra società, può essere una indicazione estrema del disagio emotivo; e così la sovraprestazione. Anche la socievolezza forzata è segno di disagio emotivo, e così la solitudine. L'autocostrizione ad essere sempre tra la folla, l'incapacità di restare soli, indicano una forte tendenza al rifiuto di sé. … verso un miglioramento. Non c'è una formula immediata per raggiungere il benessere e un miglior adattamento. Non ci sono certe cose (…non ci sono ricette specifiche, esclusive) che possiamo fare e che ci indirizzano verso il benessere. Una cosa molto importante è migliorare l' immagine di noi stessi, avere una migliore opinione di noi stessi, questo non deve essere confuso col ritenere che gli altri abbiano un miglior concetto di noi. Perdiamo molto tempo in ciò, e per lo più inutilmente. No, non dobbiamo trascurare di migliorare la nostra opinione di noi stessi. Imprese, ricchezza, potere, qualche volta aiutano, ma non di solito (… quando sono in atto disagi evidenti e profondi). Dalla vetta del successo abbiamo non tanto una maggiore opinione di noi stessi quanto la convinzione di essere migliori degli altri. Non abbiamo bisogno di mirare così in alto. Possiamo migliorare la nostra immagine di noi stessi aumentando la nostra “coscienza sensoriale” di piccoli piaceri. Qualunque piccola (o grande) indulgenza verso noi stessi, che ci fa sentire più felici di essere vivi, ci aiuta. Agire pensando ai nostri problemi piuttosto che rimuginarci sopra o semplicemente parlarne, è pure di aiuto. Se ci rimuginiamo sopra ci addentriamo sempre più profondamente nei nostri problemi e ci isoliamo dagli altri. Se parliamo dei nostri problemi con gli “amici” la conversazione diventa uno scambio di “miserie” che può oscurare le nostre relazioni. Oggi la tendenza è di “parlare di problemi che non ci toccano” a causa dell'errato concetto secondo il quale parlare dovrebbe essere di per sé una “terapia”. Non lo è. E' meglio agire. Non possiamo fare le cose giuste, ma più spesso, anche se facciamo le cose sbagliate non sarà che una “storpiatura” e, per quanto risulti strano, possiamo sempre imparare qualcosa. E' importante fare qualcosa, e ancor meglio, fare qualcosa in modo vario. Quando ci alziamo al mattino ci laviamo i denti prima di pettinarci; il giorno seguente potremmo invertire l'ordine delle due operazioni (… potrebbe sembrare banale, ma funziona … è la noia e l'abitudine che distrugge!). Anche un tale semplice cambiamento nelle abitudini quotidiane può intensificare la nostra consapevolezza. Di grande aiuto potrebbe essere la scelta, al mattino appena svegli, dell'abito che piace di più. Logicamente non per chi si incontrerà, non perché si ha un appuntamento importante. Ma semplicemente per noi stessi e perché è una scelta che può orientare la giornata sulla scia di un momento felice. Altra cosa importante è non ripetere sempre gli stessi “gesti”. Al mattino, ad esempio, nel tragitto tra la propria abitazione e il posto di lavoro, per quanto possibile, cerchiamo percorsi sempre diversi e alternativi; questo modo permette di “trovare altre strade, altri percorsi” e, quindi, renderci plastici, elastici. Si sconfiggerà il “già previsto”, la routine, la noia, l'abitudine e rompere in tal modo quegli schemi fissi, rigidi che ci confondono e che ci “ammalano”. Come è importante agire, così è importante stare con la gente. Di qualunque cosa soffriamo, soffriamo di meno se siamo con qualcuno. Questo è un fatto clinico di grande valore scientifico che è stato accertato più volte. Il valore delle relazioni (… spontanee), sia pure modeste, non deve essere sottovalutato. Quando ci allontaniamo dal mondo sociale, lo critichiamo, perché questo è il più comune meccanismo difensivo per isolarci. E più critici siamo verso la gente, più difficile diventa interrompere il nostro processo di allontanamento e avvicinarsi agli altri. E' una buona cosa riconoscere che ciascuno può fare almeno una cosa meglio di noi. Tutti hanno qualcosa di “nobile”, almeno un elemento di valore. Il nostro compito è di scoprirlo. Viviamo in una società caratterizzata da una precisa divisione dei compiti; perché non basare alcune delle nostre amicizie sullo stesso principio? Possiamo fare alcune cose con un amico, altre con un altro, altre ancora con un terzo. E, se siamo fortunati, troveremo dei buon amici con cui potremo fare la maggior parte di queste cose. Infine agendo insieme alla gente, più interessi svilupperemo più facilmente ci “emanciperemo” in un certo grado da noi stessi. Nessuno è così ben adattato, così emotivamente sicuro da poter sopravvivere vivendo interamento con se stesso. La gente e gli interessi sono ciò che ci salva da un isolamento autoimposto che è quasi peggiore della punizione subita da un recalcitrante prigioniero. E' bene, quindi, trovarsi uno scopo idealmente diverso da quello degli altri e perseguirlo. Certamente non è facile spogliarsi delle vecchie abitudini di valutare, di sentire, di agire. Ma se siamo insoddisfatti, è assolutamente necessario tentare. Il miglior sforzo che possiamo fare è quello di riacquistare la flessibilità. Fare qualcosa… ma qualcosa di diverso. (Bonipozzi dott. Claudio – Portomaggiore (FE) 0532.329012
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