DISFASIA
può
essere utile chiarire, inizialmente, il termine disfasia.
Disfasia: disordine grave, specifico, e persistente dello
sviluppo linguistico.
Sono definiti disturbi specifici i disturbi caratterizzati da una difficoltà
linguistica non prevedibile in rapporto al grado di sviluppo cognitivo
e affettivo raggiunto dal bambino e che si manifestano in assenza di deficit
percettivi e di danni neurologici.
Lo
sviluppo presenta un grave ritardo nell’emergenza di tutte le tappe
linguistiche: in molti bambini dopo la comparsa delle prime parole (talvolta
in epoca regolare) si osserva un lungo intervallo temporale prima che
si verifichi un significativo incremento del repertorio lessicale. Il
linguaggio rimane a livello di parole singole talora fino a 3 anni e mezzo
- 4 anni. Le prime espressioni di due e più parole compaiono in
genere intorno a quest’età (o anche più tardivamente)
e mantengono caratteristiche telegrafiche: enunciati brevi, sintatticamente
rudimentali, scarso uso dei verbi, frequente omissione di elementi grammaticali
(articoli, preposizioni, ausiliari) uso ristretto della morfologia flessionale,
numero limitato di frasi complesse per lo più di tipo giustapposto.
Le medesime difficoltà si evidenziano anche in compiti di ripetizione.
La
comprensione grammaticale è deficitaria in quasi tutti i soggetti,
mentre la comprensione dialogica è in genere adeguata nelle interazioni
spontanee.
I
deficit lessicali permangono, talvolta nella forma di anomie (difficoltà
di ritrovamento delle parole, difficoltà anche molto gravi che
si rendono soprattutto evidenti nel contesto conversazioni o in situazioni
in cui è richiesta la selezione di uno specifico item lessicale),
con parafasie semantiche (sostituzioni di un termine con un altro a livello
semantico appartenente alla stessa categoria semantica, es.: pecora invece
di capra, o fonologico, es.: coltello invece di martello), con circonlocuzioni:
"E’ una parte di" oppure giri di parole, definizioni d’uso
"serve per", o modi di intercalare: "uhm, e poi, mmm",
e parole non specifiche: "roba, cosa", con parafasie fonemiche,
cioè distorsioni della forma delle parole per difficoltà
a fissare in memoria o a recuperare la traccia fonologica corretta..
I
deficit linguistici sembrano l’espressione di un disturbo centrale
nell’organizzazione del linguaggio a prognosi spesso sfavorevole,
sia per la persistenza di residue difficoltà nel linguaggio orale
sia per la frequenza di turbe secondarie nell’apprendimento del
linguaggio scritto. In tutti i bambini disfasici, infatti, le acquisizioni
strumentali risultano deficitarie anche nei casi in cui si osserva un
discreto recupero delle capacità verbali.
Possono
essere distinti in due sottogruppi: Disturbo di tipo fonologico–morfosintattico
e Disturbo di tipo lessicale –sintattico.
Le
competenze lessicali risultano particolarmente deficitarie nella disfasia
lessicale sintattica: tutti i bambini appartenenti a questo gruppo presentano
un pattern di errori peculiare con elevata percentuale di anomie, parafasie
semantiche, circonlocuzioni, parafasie fonemiche. Il disordine lessicale
è evidente sia nella produzione spontanea sia in compiti strutturati
e tende ad accentuarsi in ripetizione come conseguenza non solo di difficoltà
di accesso lessicale ma, specie in alcuni bambini, di una compromissione
selettiva della memoria di lavoro. Le difficoltà sintattiche presentano
gradi diversi di gravità, ma che raramente assumono i caratteri
di atipia e persistenza, specifici della disfasia fonologico–sintattica,
per la quale è invece maggiormente compromessa l’organizzazione
fonologica.
I
bambini con DSL possono elaborare con successo tutta una serie di operazioni
mentali; sono comunque limitati nel numero di operazioni che possono eseguire
contemporaneamente.
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Questa
dettagliata descrizione degli aspetti caratteristici della disfasia, termine
che è stato sostituito nei paesi anglosassoni da "Specific
Language Impairment" (difficoltà specifiche di linguaggio),
è necessaria per comprendere un meccanismo che troppo spesso s’innesca
negli adulti che vivono intorno al bambino con DSL: un atteggiamento di
sottovalutazione e di malinteso sulla natura del problema, forse, come
ben precisa G. Stella, per la convinzione dominante che, una volta verificata
l’assenza di manifestazioni di natura francamente organica ("non
hanno niente"), si può assumere un atteggiamento rassicurante
e di attesa che lo sviluppo del bambino superi le sue difficoltà,
senza considerare che il DSL è una condizione patologica che ha
sue origini e un suo corso.
Il
DSL è un disturbo dei meccanismi di elaborazione del sistema linguistico,
nei diversi livelli in cui questo si struttura, fonologia, sintassi, semantica,
pragmatica. Livelli che possono essere compromessi in modo diverso per
ciascun bambino con DSL. Questo punto di vista permettere di comprendere
come sia difficile, per una consulenza di questo tipo, dare spiegazioni
su fatti che Lei, gentile signora, racconta e dare indicazioni mirate
e specifiche.
Se
l’espressività del DSL è diversa per ciascun bambino,
le conseguenze sul piano psicologico e relazionale sono spesso simili
anche se spesso non correttamente interpretate. Le difficoltà di
interpretazione dei messaggi che gli vengono rivolti e la frustrazione
per l’insuccesso comunicativo dei tentativi di produzione si ripercuotono
inevitabilmente sullo sviluppo psicologico. In genere il bambino ricerca
continuamente la mediazione dell’adulto di riferimento, talvolta
unica relazione in cui il bambino sperimenta un successo comunicativo.
Spesso questo adulto è la madre e la condizione di stretto legame
che si instaura con il bambino viene "interpretata come disturbo
primitivo della relazione mentre spesso è l’unica reazione
possibile al disagio comunicativo".
Che
fare?
Sicuramente
fare, ma con molta attenzione ad avere le idee chiare è un progetto
ben definito. Passare da una terapia all’altra senza aver chiaro
il perché e lo scopo di quel lavoro è di danno al bambino.
Sicuramente
fare, ma senza dimenticare che le difficoltà del bambino non sono
"ritardi che con il tempo si recuperano". Fare per dare possibilità
che il bambino, se nelle condizioni adeguate, possa trovare strategie
di compenso per sfruttare al massimo le sue possibilità.
Sarebbe
utile che la mamma, il papà le insegnanti, la logopedista (e altri
operatori "esperti" e disponibili sì, ma attenti al progettare
azioni più che dare interpretazioni) mettessero a punto un progetto
comune nel senso e nelle linee generali, e specifico, di riabilitazione
per la dimensione fonologica e sintattica, per quanto è ancora
possibile data l’età del bambino, e di ri–educazione
per tutte le altre dimensioni coinvolte.
Suggerirei
di concentrarsi sul successo dei vari atti comunicativi più che
gli elementi distorti (anche la rieducazione deve essere ben calibrata
in questo senso) proprio per alimentare l’allegria, il piacere della
compagnia, e quel ben–essere che è la spinta fondamentale
a continuare quello sforzo di ricerca di strategie efficaci per "dire"
in modo comprensibile. In altri termini per quella parte di autorieducazione
che ogni bambino in difficoltà mette in atto se motivato.
In
questa direzione vanno accettati, nel quotidiano, tutti i linguaggi alternativi
cui faceva riferimento la mamma.
Non
si deve cedere alla tentazione di chiedere di ripetere. Proprio per le
caratteristiche del DSL chiedere di ripetere parole e frasi è inutile
oltre che dannoso per il bambino, visto che è solo una aggiunta
di frustrazione.
Eventuali
"allenamenti", che non escludo, devono essere limitati alla
terapia logopedica e, mi ripeto, con un’assoluta chiarezza di quello
che si sta facendo.
È
molto più utile parlare molto con il bambino. Possibilmente con
lentezza senza però togliere spontaneità alla comunicazione.
(Lentezza che aiuta nei processi di decodificazione). Non dimentichiamo
che noi parliamo per comunicare, non per esercitare la forma corretta
ed elegante.
Parlare
per raccontare, per spiegare, per ascoltare, per chiedere. Un dialogo
"vero" e non "formale".
Per
quanto riguarda la scrittura, è importante aiutare il bambino a
fare l’analisi dei suoni presenti nella parola che deve scrivere,
nei vari modi che non è possibile descrivere qui, sia perché
argomento complesso sia perché i modi vanno adeguati sul tipo di
difficoltà del bambino. Viceversa, nella lettura, va aiutato a
fare la sintesi progressiva delle lettere che legge, per comporre la parola.
Si
deve fare attenzione a non proporre attività mirate alla correttezza
della lettura più che alla comprensione. Il bambino che legge "bene"
è molto gratificante per gli adulti ma noioso per i bambini. È
più significativo e appagante leggere per capire, che, di fatto,
è il senso primo della lettura.
È
bene fare il possibile per non "vedere" solo il DSL, ma il bambino
tutto intero e il suo futuro: in questo momento mi riferisco alla necessità
di progettare i contenuti del lavoro scolastico in modo che il bambino
possa conoscere il mondo, magari con interesse e curiosità, nonostante
il DSL.
dott.ssa Barbara
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