Il facilitatore |
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Il facilitatoreIl facilitatore è un professionista che affianca, stimola ed incoraggia - mediante azioni, riflessioni e domande che siano di supporto ai propri allievi, per consentire loro di spostarsi dal punto in cui si trovano, al punto in cui vorrebbero arrivare. Può essere una figura esterna alla scuola, oppure lo stesso docente che assume la facilitazione come metodo attraverso cui guidare le relazioni di apprendimento/insegnamento. La metodologia del facilitatore pone la persona al centro della relazione: con domande costruite in itinere e con tecniche e strumenti scelti di volta in volta, a seconda delle esigenze e delle circostanze, il facilitatore porta alla luce risorse già presenti negli allievi. Il presupposto fondamentale del facilitatore consiste nel credere che la persona possieda di per sé tutte le risorse necessarie per realizzare i propri progetti . I risultati ed i traguardi raggiunti offrono, per questo, l'acquisizione di una nuova consapevolezza delle potenzialità personali, un maggior coinvolgimento e motivazione, uniti ad un grado maggiore di fiducia e di autostima . Questi vantaggi sono riscontrabili tanto nella vita scolastica quanto in quella privata. Nel lavoro di facilitatore scolastico l'intervento è destinato alla persona quale centro delle relazioni di apprendimento/insegnamento, rappresentando il mezzo attraverso il quale gli alunni lavorano sulle loro capacità relazionali, comunicative e su tutte quelle abilità fondamentali per divenire a loro volta catalizzatori di sviluppo per il loro gruppo e la loro classe. Relativamente al piano personale, invece, il facilitatore aiuta l'allievo a compiere un'analisi dei suoi punti di forza, di debolezza e delle sue aree di miglioramento, focalizzando su queste basi le competenze che possono essere potenziate. Il tutor di gruppi di lavoro:
il facilitatore di una riunione attivadi Pino De Sario* "Siamo allo sfascio e che ci sia lei a coordinare questa riunione non cambia di molto le cose". Il clima da svagato che era divenne di colpo teso e pesante. Il Facilitatore - incaricato dalla direzione a condurre il gruppo di lavoro composto da otto neo-capi reparto (ex operai specializzati) ai quali l'azienda chiedeva di gestire con la massima produttività l'officina montaggio e spedizioni - venne assalito dal primo serio dilemma. L'orgoglio, lo scontro, il muro? ("Perché così capiscono che non sono lì a fare da cuscinetto a nessuno"). Oppure, imboccare un'altra strada? Ma quale strada, con quali mezzi e strumenti? Una prima regola base per un facilitatore efficace è quella di non cadere nella trappola tesa dal lamentoso, combattivo o aggressivo di turno. Quando accade qualcosa di provocatorio non prende su di sé il carico, ma prova a smorzare tempestivamente la tensione e a rivolgere il problema al gruppo. Sondando, osservando, prendendo una qualche forma di distanza dall'accaduto. " Allo sfascio dice. " e produce una pausa, un'interiezione " mh.ah. ". E qui si possono utilizzare diverse tecniche. La tecnica dell'evitare risposte trappola In questi casi vanno evitate le risposte dirette facilitatore -partecipante, siano esse di valutazione " L'azienda non è allo sfascio "; di interpretazione " Dice allo sfascio perché non c'è chiarezza nella produzione? "; di sostegno-consolazione " Non si preoccupi, succede "; con uno stile incalzante " Perché dice questo; citi dei fatti; è da sempre o solo ora? "; di soluzione " Prenda in considerazione che. " . Altre espressioni di questa tecnica sono: "far girare la parola" (e sperare che altri partecipanti si facciano avanti esprimendosi e aggiungendo altri concetti, altri punti di vista); sapere sostare nel disagio, nel dilemma e nelle difficoltà. La tecnica del campo La Tecnica del campo ci suggerisce che sono tre i livelli a cui il facilitatore è chiamato a modulare, in compresenza, le sue azioni. Orientandosi in modo alternato ora più sul:
La tecnica della parola viva La fluidità è prodotta intenzionalmente da un'altra tecnica, quella della Parola viva , un cocktail di concisione e genuinità, capacità di senso (semantica), aderenza-concretezza (pragmatica); il tutto veicolato con vitalità: " Sfaaascio. Il proprio lavoro non funziona. Sìhh?!.. Raccogliamo nuovi dati. Altre idee!! ". E qui la ricerca è veramente aperta: come creare riunioni con significato! Riunioni che restino in contatto coi dilemmi e con le diversità. E per un facilitatore professional si tratta di una sfida costante per migliorare la qualità del proprio lavoro. La tecnica del dialogo Di fronte a una frase provocante, il facilitatore può evitare la trappola e, anzi, provare a sviluppare un circolo virtuoso di espressioni nel gruppo. La Tecnica del dialogo è di supporto nel caso di una critica distruttiva diretta alla situazione (" L'azienda è allo sfascio ") oppure al conduttore stesso (" Lei questi discorsi sulla coesione del gruppo se li può scordare! "). Ecco come può essere efficacemente messa in atto:
Dalle tecniche all'attivazione della riunione attiva Il comportamento distruttivo espresso tramite la critica e il chiamarsi fuori dal contesto autoescludendosi, rappresenta una delle insidie maggiori che si animano intorno ad un tavolo da riunioni. Le tecniche e gli strumenti sono importanti, ma da soli non bastano. Per la costruzione della riunione attiva, occorre invece che ci si prenda cura del:
Nella riunione attiva si generano risorse, comunanze, condivisioni così come possibilità di scontro, disquisizioni e fenomeni di protagonismo ridondante. È in questo crogiolo per il facilitatore e per il gruppo che si acquisiscono più sollecitazioni, più opportunità e più verità. Le riunioni attive creano motivazione, coinvolgimento, stima personale. La domanda diventa quindi, come attivare sé (il facilitatore ) e come attivare il gruppo. Alcuni suggerimenti per il "piano di attivazione" sono i seguenti:
Il Facilitatore : " Bene, per lei la causa della perdita dei soci è stata la scarsa visibilità sui mezzi stampa. Un'idea chiara che comprendiamo, grazie. Cos'altro pensa il gruppo sul problema dei 350 soci in meno in un solo anno, la visibilità, ma ancora le risorse umane ed economiche, il clima nel gruppo.cosa? ". Qui il Facilitatore fa l'esploratore partecipativo e si impegna nell'autoriflessione (" Forse è il gruppo, forse è l'economia, forse è un po' tutte e due, cos'altro? "). Questo modo di condurre un gruppo crea il trampolino per altri momenti: discussione, riflessione personale, prospettiva dell'altro, spiegazioni della dinamica relazionale, delle ricadute organizzative, ecc. La questione " Ma ognuno ha la sua idea, come facciamo ad arrivare a una soluzione insieme? " importante. Qui, il facilitatore può rispondere: " Affrontiamo questa domanda fra un momento! ". Questo ritardo nella fase di "costruzione" può creare per molti una certa frustrazione, il vantaggio è di accrescere la tensione "drammatica" e la voglia di sapere, la curiosità. Il lavoro prematuro sulle soluzioni, invece, più logico e lineare, può impedire una condivisione più completa in merito al problema e può anche sminuire "la sete di sapere" prima che raggiunga il suo apice. Dopo questa carrellata di virtù del facilitatore , di passi facilitanti, di partecipanti facilitati, conviene anche interrogarsi sui costi di tale conduzione. I costi culturali e di energia, ancora prima che economici. La riunione attiva ottiene risultati con più o meno dispendio di tempo e risorse umane, rispetto alle riunioni convenzionali? E ancora, un secondo interrogativo, il facilitatore può rischiare un eccessivo esercizio di "accudimento" degli adulti, dei partecipanti? Con livelli di sollecitazione delle idee, dei sentimenti, dell'appartenenza, del coping (es. istruire su nuovi modi di comunicare nel gruppo); non vi è dubbio che il partecipante sia chiamato ad una maggiore spesa. Il sistema partecipativo a rete, ove le dominanze vengono "armonizzate" al pari delle asimmetrie, richiede perlopiù un maggior impiego di risorse cognitive e affettive. Un processo partecipato, per sua natura, è più caotico, nebuloso, vagamente dispersivo. Ma quali risultati potremmo ottenere? Ne cito tre possibili: a) meno "corridoio", luogo deputato delle informalità; b) inclusione degli attori alle scelte, ai processi e alle strutture; c) umanizzazione dei contesti. Non vi è dubbio infine, che la non-direttività va temperata con altre forme comunicative, non rinunciando a priori a passaggi di direttività e ad aperture pragmatiche nella sfera del compito. Penso che l'attuale organizzazione esigente rispetto all'individuo, debba e possa curare la persona in maniera diversa e più intensa rispetto ai decenni appena trascorsi. Il facilitatore , nel ruolo di tutor della riunione attiva, è una figura di servizio della più ampia famiglia delle professioni che a tale obiettivo si orientano (counselor, coach, mentori, mediatori). Note
Riferimenti bibliograficiBrown R., 1990, Psicologia sociale dei gruppi , Il Mulino, Bologna De Sario P., 2002 , Non solo parole, Angeli, Milano Franta h., Salonia G., 1981, Comunicazione interpersonale, Las, Roma Giovannini D., 1998, Colloquio psicologico e relazione interpersonale, Carocci, Roma Lewin K., 1972, Teoria e sperimentazione in psicologia sociale, Il Mulino, Bologna Liss J., 1992, La comunicazione ecologica , La Meridiana, Molfetta Ricci Bitti P.E., Zani B., 1983, La comunicazione come processo sociale , Il Mulino, Bologna Rogers C., 1997, Terapia centrata sul cliente, La Nuova Italia, Scandicci Speltini G., Palmonari A., 1999, I gruppi sociali, Il Mulino, Bologna Telfener U., Casadio L. (a cura di), 2003, Sistemica, Bollati Boringhieri, Torino ------------------------------------- * Consulente, psicologo sociale, formatore di facilitatori ----------------------------------------- dal sito: http://www.unisi.it/mastercomrel/articoli%20e%20saggi/articolo_de_sario_2.doc Le competenze del facilitatore
Fare domande E' una delle abilità fondamentali di un facilitatore. Il tipo di domande cambia nelle diverse fasi del lavoro di un gruppo. Le domande si possono distinguere in due categorie: quelle aperte e quelle chiuse. Reindirizzare domande e commenti verso il gruppo Il gruppo, soprattutto nelle fasi iniziali, tende a chiedere al facilitatore quale sia la sua opinione oppure a parlare rivolgendosi a lui invece che agli altri partecipanti. Girare le domande che si ricevono dai singoli verso il gruppo incoraggia il dialogo e spinge le persone a pensare più approfonditamente. Inoltre chiarisce che la responsabilità del lavoro è nelle mani del gruppo stesso e non in quelle di chi facilita. Parafrasare Ripetere con proprie parole un concetto già espresso da una persona del gruppo è utile per due fondamentali ragioni: Sottolineare ed evidenziare i collegamenti Quando ci si accorge che una persona sta esprimendo un concetto simile o collegato a qualcosa che un altro aveva detto prima, è utile evidenziarlo. Citare un'idea o un commento che era stato fatto precedentemente, fa in modo che le persone si accorgano di essere ascoltate attentamente. Questo, oltre che ad accrescere la loro fiducia in chi facilita, le fa sentire parte del gruppo, perché capiscono che le loro opinioni sono importanti quanto quelle degli altri. Riassumere e passare all'attività successiva Alla fine di una fase di lavoro è molto utile riassumere i punti che sono emersi per tirare le fila del discorso e renderlo più chiaro sia al facilitatore che al gruppo. Incoraggiare le persone Molte persone trovano difficoltà nel partecipare attivamente al gruppo. Alcuni hanno paura di essere giudicati, altri non vogliono sembrare irrispettosi verso chi la pensa diversamente, altri ancora possono essere intimiditi dagli altri partecipanti. Favorire l'emersione di posizioni divergenti Anche se un gruppo sembra essere d'accordo su un dato argomento, probabilmente qualche partecipante non lo è. In una situazione come questa non è per niente facile esprimere un'opinione in controtendenza. Probabilmente quel qualcuno preferirà tacere. Qui interviene il facilitatore, che deve fare in modo che i punti di vista differenti o contrastanti emergano prima che decisioni importanti siano prese. Indagare ed approfondire Quando qualcuno sta parlando è a volte utile aiutarlo a chiarire ciò che sta esprimendo. E' necessario spingerlo a parlare più di quanto farebbe, aiutando gli altri componenti del gruppo ad approfondire il contributo che da quella persona sta venendo. Coinvolgere i partecipanti meno attivi In ogni gruppo sono presenti delle persone che tendono a contribuire meno degli altri al lavoro. Ciò può avvenire per diversi motivi. Pensano di non avere nulla da dire, sono intimiditi dal fatto di dover parlare davanti agli altri, credono che sia poco educato intervenire in una conversazione senza che nessuno gliel'abbia chiesto, non si sentono parte del gruppo. Il compito del facilitatore è fare in modo che i membri meno attivi superino le loro difficoltà e contribuiscano al lavoro. Esistono alcune tecniche che aiutano a svolgere questo compito: --------------------------------- dal sito della Scuola Superiore di Facilitazione http://www.scuoladifacilitazione.it/competenze.php Torna alla F Torna all'alfabeto
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