FIGURE
DI SISTEMA
(di Piero Romei)
Le norma contrattuali hanno introdotto nella scuola le "figure di sistema":
un oggetto se non misterioso quanto meno da definire in modo esplicito,
per poter cogliere appieno le opportunità che ne possono derivare sul
piano degli assetti organizzativi e del funzionamento delle unità scolastiche.
Il tentativo di definire le figure di sistema mette in luce che il problema
non è tanto di "quali figure", quanto piuttosto di "quale sistema". Cioè
di quale concezione dell'azione scolastica, tra libertà individuale e
regole organizzative: di quali esigenze di integrazione e di coordinamento
sono percepite, e si sente il bisogno di presidiare.
Si tratta di un problema di cultura, non solo di struttura: di quale sia
la cultura organizzativa nella quale le nuove figure verranno calate e
si troveranno ad operare.
Secondo un'analisi più volte proposta in questa pagina, nella scuola è
diffusa una cultura tradizionalmente individualistica, secondo la quale
il singolo insegnante è del tutto autosufficiente rispetto al proprio
compito. Da qualche tempo, peraltro, si sta cercando da alcune parti di
accreditare la necessità di fare evolvere questa cultura verso prospettive
di maggiore collaborazione ed integrazione collegiale, sulla base della
considerazione della fondatezza dell'affermazione secondo la quale "non
si può insegnare solo da soli".
Le tipologie di figure di sistema che ne derivano, funzionali alle due
culture, sono differenti.
Nella cultura individualistica le figure di sistema sono in definitiva
strumenti di supporto e di coadiuvamento alla attività individuale dei
singoli insegnanti. Sono individuabili come tali il bibliotecario/documentarista,
l'esperto di orientamento, l'operatore psicopedagogico, l'esperto di tecnologie
/di metodi didattici, del resto già indicate dalle interpretazioni subito
messe in circolo, ispirate alla cultura di fatto dominante.
Nella cultura collegiale le figure di sistema sono poste a presidio del
coordinamento dei momenti di azione collegiale. Sono il coordinatore di
gruppo (per ambito) disciplinare, il coordinatore di consiglio di classe
/ di team, il coordinatore di plesso; in particolare, il capo d'istituto.
Pur se riconducibili a concezioni diverse, non si tratta di soluzioni
alternative: in una scuola sono necessarie figure professionali di entrambi
i tipi. Entrambi fungono da "integratori del sistema".
Vale tuttavia la pena di osservare che interpretare come figure di sistema
solo quelle del primo tipo rafforza la cultura individualistica. Esse
infatti sono perfettamente compatibili con essa, ed anzi fungono da "lubrificante"
per attenuare le disfunzioni più vistose del mancato coordinamento. Non
introducono innovazione nelle scuole; consolidano le prassi operative
tradizionali.
Quelle del secondo tipo danno corpo alla dimensione della scuola come
sistema significativamente integrato in vista della sinergia complessiva,
che si ottiene solo se si imposta un'azione collegiale, articolata per
linee sia orizzontali (consigli di classe / team) sia verticali (gruppi
(per ambiti) disciplinari).
Sono dunque queste le figure di sistema capaci di introdurre innovazioni
importanti nelle scuole, costringendo a ripensare il modo tradizionale
(individualistico) di fare scuola.
La dimensione culturale del problema si manifesta sul piano della legittimazione
delle figure di sistema.
Nella cultura tradizionale della scuola, e nel sistema di valori in essa
dominanti, c'è una gerarchia di ruoli professionali ben precisa.
Chi svolge ruoli di insegnamento, a diretto contatto con gli scolari,
fa parte dell'"aristocrazia scolastica", e gode di pienezza di legittimazione;
chi svolge ruoli di sostegno / di coadiuvamento all'insegnamento (ad esempio
l'esperto di orientamento, l'operatore psicopedagogico), o di coordinamento
fuori dall'aula (il coordinatore di team o di gruppo disciplinare), è
in una situazione di accettazione, di tolleranza; chi svolge ruoli amministrativi
o di coordinamento organizzativo è oggetto di una netta (auto)percezione
di estraneità con un sospetto di irrilevanza, pur se non ci sono discussioni
circa l'utilità e l'ineliminabilità formale della loro funzione.
La conseguenza è che al di fuori del sistema di valori dominanti vi è
una progressiva diminuzione della disponibilità e dell'interesse ad assumere
ruoli e svolgere compiti corrispondenti; a legittimarli quando sono svolti
da altri; a valorizzarli, una volta assunti.
L'introduzione delle figure di sistema, adeguatamente interpretate, può
diventare un'occasione per tentare di far evolvere la cultura scolastica
verso il riconoscimento della fondatezza anche etico-professionale della
necessità di integrazione. Lavorando per far crescere una considerazione
più ricca ed articolata della professionalità docente da un lato, accettando
come pienamente legittima la componente di lavoro collegiale; dall'altro,
accettando come altrettanto legittimo, ed anzi indispensabile, il ruolo
di presidio dei momenti di coordinamento.
C'è il problema del come fare; ma il riconoscimento dell'importanza di
un problema è gia un primo passo sulla costruzione di vie di soluzione
praticabili.
L'interpretazione proposta, e la risoluzione del problema, interessa particolarmente
il capo d'istituto: il suo ruolo si colloca di fatto al di fuori dell'"aristocrazia
scolastica", e chi lo esercita ha ben presente il problema della legittimazione
in rapporto agli ex-colleghi insegnanti.
E' inutile, e perdente, tentare di inseguirli in un terreno (quello della
didattica, della competenza disciplinare) che non è più il proprio. La
strada da percorrere è quella della progressiva integrazione nella cultura
scolastica di valori professionali nuovi, che legittimino la collegialità
come esigenza funzionale e modo di agire "normale" della scuola; e così facendo ottengano pieno riconoscimento di importanza a coloro che - primo
tra tutti, il capo d'istituto - svolgono ruoli di coordinamento all'interno
di una struttura operativa articolata.
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