L'altro mondo escluso dalla rete |
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L'altro mondo escluso
dalla rete Luciano Gallino Che fine hanno fatto i
piani d’azione dell’Occidente intesi a ridurre la frattura digitale, il fossato
che separa a livello mondiale individui ed aree geografiche in grado di accede
alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione da quelli che ne sono
esclusi? Dovevano essere uno dei punti dell’ordine del giorno dei G8, ma
sono scomparsi. L’eclisse della frattura
digitale, o “digital divide”, dalla sfera di attenzione dei grandi un po’
stupisce. L’impegno a combatterla era stato proclamato, con notevole clamore
proprio dal precedente vertice di Okinawa un anno fa. Per dar forza all’impegno
fu nominato un gruppo di lavoro internazionale denominato Digital
Opportunity Task Force, acronimo DOT Force (trovatina allusiva ai tempi
della new economy rampante, quando tutte le imprese volevano fregiarsi del
suffisso .com, che si pronuncia “dot com”). Nel maggio 2001 la DOT Force ha
presentato un ampio rapporto, “Opportunità digitali per tutti: come far fronte
alla sfida”. Esso includeva, dice il sottotitolo, un piano d’azione che doveva
essere proposto al summit di Genova. C’è da rammaricarsi che
così non sia stato, non tanto perché dai piani d’azione del G8 si possa
attendere delle ricadute concrete. Ambiziosissimi sulla carta, essi hanno in
genere la stessa portata pratica del proposito di eliminare la vecchiaia dal
mondo, come notava ironicamente l’”Economist” a proposito del vertice di
Okinawa. Ma piuttosto perché la precoce presenza d’un tema come la frattura
digitale, nell’agenda del G8, lo avrebbe imposto con forza
all’attenzione di tutti. Perché della frattura
digitale e delle sue conseguenze sociali e culturali non si parla abbastanza.
Perché non ne parlano abbastanza nemmeno i popoli di Seattle, ad onta della
perizia con cui sanno usare Internet. Infine perché si potrebbe scoprire
presto, che la frattura digitale, quanto a rilevanza per il nostro futuro
prossimo, non è l’ultima tra le questioni da inserire nell’agenda dei governi,
come dei loro oppositori. La frattura digitale
presenta aspetti economici ben riconosciuti,ed aspetti culturali poco noti
quanto sottovalutati. Poche cifre per i primi, premesso che quale misura della
diffusione di Internet conviene prendere il numero di “host computers”
(i computers che ospitano banche dati, cataloghi di biblioteche, archivi di
immagini e brani musicali ecc.) per abitante. Nell’ottobre del 2000 si
contavano nei paesi dell’OCSE, l’Organizzazione per la cooperazione e lo
sviluppo dei venti paesi più ricchi del mondo, con circa un miliardo di
persone, 82 “hosts” per 1000 abitanti. Nei paesi non OCSE , che sono
circa 180 con 5 miliardi di persone, il numero di “hosts”, sempre per
mille abitanti, era meno di 1 (0,85 per la precisione). La quantità di “hosts”
per abitante presenti nel Nord America a fine 2000 era 544 volte superiore a
quello dell’Africa. Quanto ai punti di accesso ad Internet, si stima che oltre
il 95 % del totale mondiale sia collocato nell’emisfero Nord. Tutti questi indicatori
della frattura digitale sono peggiorati in solo quattro anni. Ad esempio, gli
Internet “hosts” presenti in Africa, che già erano pochissimi, non sono
nemmeno riusciti a raddoppiarsi tra il ’97 ed il 2000. In Europa e nel Nord
America, dove erano già moltissimi, sono aumentati rispettivamente del 3,3 e
3,6 volte. La maggior parte degli
studi sulla frattura digitale, inclusi i rapporti DOT Force e OCSE da cui
provengono i dati succitati (“Understanding the Digital Divide “, Parigi 2001)
raccomandano, allo scopo di ridurla, interventi economici (per esempio ridurre
i cosi di connessione a Internet), tecnologici, (diffondere la banda larga),
formativi (disseminare la conoscenza delle ICT tra i bambini dei paesi in
sviluppo). Vista la stretta
parentela tra globalizzazione e frattura digitale, ciò equivale a raccomandare
null’altro che uno sviluppo di una globalizzazione meno portatrice di
disuguaglianze. Infatti la frattura digitale non è altro che un aspetto della
globalizzazione in corso – è la globalizzazione dei bits. Fortemente disuguale
la prima, parimenti disuguale la seconda. I flussi di bits che
scorrono nella rete seguono da vicino, e sovente si identificano con essi, i
flussi finanziari, gli scambi di beni e servizi, lo sviluppo di nuove aree di
attività economica, in Cina come in India o in Irlanda. Intervenire sui flussi
di bits ai fini di ridurre la frattura digitale tra le aree geografiche del
mondo richiederebbe s’intervenisse al tempo stesso sulla direzione, intensità,
diffusione dei flussi di capitali, merci e servizi. Vorrebbe cioè dire
cambiare la faccia della globalizzazione. Con il che i ponderosi rapporti della
DOT Force e dell’OCSE, ed i loro iperbolici piani d’azione, mostrano la loro
reale natura di acqua fresca. Ma la frattura digitale non è solo un problema da
contrastare mediante la diffusione di computers e di elementi di informatica
tra la popolazione. Riguarda anche il controllo sulle risorse culturali della
Rete, e inversamente la possibilità di accedervi liberamente. Risorse che sono
oggi immense, in ogni campo, sì da formare il più grande giacimento culturale
che l’umanità abbia mai conosciuto. Con un inconveniente,
che l’accesso a questo sterminato giacimento avviene di fatto attraverso una
decina di portali principali. Sono la decina di portaliche attirano ogni giorno
l’80% delle centinaia di milioni di accessi quotidiani alla Rete, con tre di
essi che assorbono il 50% del tempo passato in Rete dagli internauti del mondo. Chi entra in tali
portali, per ampi che siano, e gestiti senza intenti discriminatori, entra a
contatto con una frazione minima dei contenuti culturali della Rete,
dell’ordine del 1 – 2%. Una frazioncina che per di più è stata selezionata e
organizzata da altri, per fini suoi. Il mare del restante 97 – 98% gli resterà
sempre ignoto. Abbiamo, insomma,
costruito una nuova biblioteca d’Alessandria, senza confini spaziali o
temporali, più grande del pianeta. Essa potrebbe cambiare in meglio il modo di
lavorare, di studiare, di informarsi, di miliardi di persone. Però i suoi
custodi ci dicono che possiamo soltanto la prima stanzetta a sinistra. “La Repubblica”
15 agosto 2001
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