L'individualizzazione
Di
Massimo Baldacci,
Preside della Facoltà di Scienze della Formazione Primaria, Università
di Urbino
Una
delle problematiche maggiormente discusse nell'odierno dibattito scolastico
è quella dell'individualizzazione.
Per dare una prima definizione dell'individualizzazione la
si può riferire al grado di adeguatezza dell'istruzione scolastica
alle caratteristiche degli studenti, alla misura in cui ognuno di loro
viene messo nelle condizioni di poter acquisire le competenze curricolari.
Circa questa idea formativa sussiste però una
notevole confusione, per cui è opportuno cercare di chiarirne meglio
il concetto, distinguendone un livello pedagogico, più ampio e generale,
e un livello didattico, più delimitato e specifico.
Al livello pedagogico, l'idea dell'individualizzazione costituisce un
criterio-regolativo generale dell'educazione: un principio
formativo che esige attenzione alle differenze della persona nella pluralità
delle sue dimensioni individuali (cognitive e affettive) e sociali (l'ambiente
famigliare e il contesto socio-culturale). In altre
parole, a questo livello si richiede una preoccupazione pedagogica costante
per il soggetto in formazione, senza che ciò implichi necessariamente
azioni formative specifiche e concrete. Si tratta di adottare
un requisito che ogni azione formativa deve soddisfare: l'
essere stata concepita in funzione delle caratteristiche dell'alunno.
Al livello didattico l'idea dell'individualizzazione indica invece l'adattamento
dell'insegnamento alle caratteristiche individuali dei discenti, attraverso
precise e concrete modalità d'insegnamento.
In altri termini, in questo caso, tale concetto denota un ambito circoscritto
di strategie didattiche.
A proposito di queste ultime, occorre compiere una
ulteriore distinzione tra "individualizzazione" in senso
stretto e quella che proponiamo di chiamare "personalizzazione".
L' "individualizzazione" in senso stretto si riferisce
alle strategie didattiche che mirano ad assicurare a tutti gli studenti
il raggiungimento delle competenze fondamentali del curricolo, attraverso
una diversificazione dei percorsi di insegnamento.
La "personalizzazione" indica invece le strategie didattiche
finalizzate a garantire ad ogni studente una propria forma di eccellenza
cognitiva, attraverso possibilità elettive di coltivare le proprie potenzialità
intellettive.
In altre parole, l'individualizzazione ha lo scopo di far sì che certi
traguardi siano raggiunti da tutti, la personalizzazione è finalizzata
a far sì che ognuno sviluppi propri personali talenti; nella
prima gli obiettivi sono comuni per tutti, nella
seconda l'obiettivo è diverso per ciascuno.
Esaminiamo questi due ambiti strategici, che ovviamente vanno visti
come complementari. Partiamo con l'individualizzazione
in senso stretto. Questa è legata all'adattamento dell'insegnamento
alle caratteristiche cognitive individuali degli alunni: ai loro codici
linguistici, ai loro prerequisiti di partenza, ai loro stili cognitivi,
ai loro ritmi d'apprendimento. L'assimilabilità della proposta didattica
ha, infatti, diverse dimensioni (il linguaggio dell'insegnamento, la
sequenza dei contenuti, le loro modalità di
presentazione, i tempi concessi) e soltanto se essa è realizzata in
modo globale, l'apprendimento ha buone probabilità di verificarsi in
tempi ragionevoli. Quando questa compatibilità globale della proposta didattica si verifica, la realizzazione
dell'apprendimento è possibile e di principio è solo una questione di
tempo, perciò gli altri ingredienti didattici che occorrono sono quello
di concedere all'alunno il tempo necessario e quello di motivarlo ad
utilizzarlo.
Veniamo adesso al versante metodologico dell'individualizzazione.
A questo proposito si deve segnalare un ricorrente malinteso, indotto,
con ogni probabilità, dal termine stesso.
Il termine individualizzazione designa, infatti,
un processo il cui tipo logico è quello della situazione didattica che
vede un precettore lavorare con un discente. L'aver utilizzato tale
termine per una situazione di insegnamento
collettivo, che vede un docente lavorare con un gruppo-classe ha indubbiamente
il valore di porre come ideale dell'insegnamento l'adattamento che riesce
a realizzare un precettore rispetto al proprio discente, ma ciò può
anche causare confusioni indotte dal non tenere conto del differente
tipo logico delle due forme di adattamento realizzabili nelle due diverse
situazioni.
Com'è noto, il mastery learning,
il modello maggiormente formalizzato di individualizzazione,
prevede una procedura che articola lo svolgimento di ogni Unità didatica (Ud) in alcune fasi fondamentali:
- un segmento iniziale d'istruzione, nel corso del quale il docente
espone e spiega i contenuti dell'Ud, fa svolgere
esercizi allo studente, gli assegna compiti di studio ecc.
- una valutazione formativa, intermedia allo svolgimento dell'Ud, volta a controllare l'andamento dell'apprendimento nel
gruppo-classe e ad individuare le lacune più diffuse e gli alunni in
difficoltà;
- un segmento di recupero attraverso il quale, concedendo ulteriori
tempi di apprendimento e diversificando l'approccio didattico, si cerca
di colmare le lacune riscontrate e di fornire aiuto agli alunni che
le manifestano;
- una valutazione sommativa, terminale per l'Ud,
attraverso la quale si controlla l'efficacia delle attività di recupero
e si traccia un bilancio complessivo del profitto individuale e di gruppo.
Secondo Bloom, attuare questa procedura significa
simulare in una situazione collettiva quello che fa un buon precettore
in una situazione uno a uno, ma non si deve perdere di vista che vi
sono comunque differenze rilevanti tra il precettorato individuale e
la sua simulazione collettiva. Infatti, in un caso l'unità di
adattamento dell'insegnamento è rappresentato da un singolo individuo,
nell'altro tale unità consiste nel gruppo-classe. In altri termini,
nel caso dell'insegnamento collettivo, verosimilmente l'adattamento
dell'insegnamento non può riguardare, se non in misura ridotta, i singoli
alunni della classe, riferendosi prevalentemente al gruppo-classe. Questo
vuol dire che se adattare l'insegnamento alle caratteristiche del gruppo-classe
significa cercare di formulare una proposta didattica globalmente compatibile
per l'insieme di questo sistema, non è però detto, anzi è del tutto
improbabile, che ciò che è ragionevolmente adattivo a livello di sistema
lo sia in maniera ottimale anche per tutti
i singoli membri che fanno parte di questo. Perciò, mentre il precettore
formula il compito ad usum delphini,
quasi sicuramente in una situazione di insegnamento collettivo l'adeguatezza di una proposta didattica
in rapporto ad ogni singolo alunno sarà soltanto parziale, il che richiederà
ad ognuno di loro un concomitante sforzo di adattamento. Uno sforzo
di questo genere è indubbiamente positivo (stimola
la flessibilità mentale), l'importante è che la proposta didattica sia
globalmente compatibile, ossia che gli adattamenti richiesti agli alunni
siano complessivamente alla loro portata. Ma, ovviamente, neppure questo
può essere garantito con certezza per tutti i membri del gruppo, perciò,
è necessario che, così come avviene a livello del precettorato,
anche a livello collettivo l'individualizzazione preveda un dispositivo
di regolazione e di correzione della proposta didattica (che consiste
essenzialmente nel binomio: valutazione formativa e recupero).
Concludendo, si può asserire che a livello
di insegnamento nel gruppo classe, l'uso del termine "individualizzazione"
rappresenta a rigore una forma di idealizzazione pedagogica della reale
dinamica dell'insegnamento, il che, una volta che si è consapevoli di
ciò, non costituisce una mistificazione, anzi è un modo per porre il
limite di tensione ideale verso il quale deve tendere la prassi didattica.
Basta ricordare che a livello di insegnamento
di gruppo il processo di insegnamento che definiamo individualizzato
presenta una logica differente da quella propria del precettorato. D'altra
parte, poiché ogni livello dell'individualizzazione ha potenzialità
sue proprie, l'ideale è quello di combinare
in varie possibili maniere diversi livelli di intervento individualizzato:
a livello di gruppo-classe, a livello di sottogruppi della medesima
classe, a livello di gruppi omogenei tra classi diverse, a livello di
piccoli gruppi, e, sebbene questo sia meno facile da realizzare, anche
a livello di precettorato individuale.
Veniamo
adesso alla "personalizzazione". Come
si è detto, con questo termine ci riferiamo a quelle strategie didattiche
che mirano a dare l'opportunità ad ogni alunno di sviluppare le proprie
potenzialità intellettive, attraverso possibilità elettive di coltivare
le proprie aree di eccellenza.
Occorre però chiarire la particolare accezione con cui usiamo quest'ultimo termine. Se si adotta una concezione pluralista
dell'intelligenza, nel quadro della quale le
differenze individuali siano considerate soprattutto sotto il profilo
qualitativo (diversità del genere di intelligenza, piuttosto che della
sua quantità), per poter affermare che un certo tipo di abilità rappresenta
la forma di eccellenza cognitiva di un certo alunno, non è necessario
che egli la possieda in misura fortemente maggiore della media degli
altri soggetti; è sufficiente che egli l'abbia sviluppata in modo maggiormente
spiccato rispetto alle altre sue capacità, che rappresenti il suo punto
di forza.
Aiutare ogni studente a sviluppare una propria forma di talento è probabilmente
un obiettivo altrettanto importante di quello di garantire a
tutti la padronanza delle competenze fondamentali.
Diamo il nome di "personalizzazione" alle strategie attraverso le quali si può favorire la coltivazione del talento così inteso,
dei punti di forza e delle preferenze di ogni studente.
Si tratta adesso di affrontare sommariamente il problema delle condizioni
di possibilità di una personalizzazione dell'insegnamento.
Questa sembra richiedere almeno quattro condizioni, tra loro connesse:
il pluralismo dei percorsi formativi, la possibilità di scelta da parte
dell'alunno, un certo grado di consapevolezza circa il proprio profilo
di abilità, la realizzazione di un adeguato contesto didattico.
Per quanto riguarda il pluralismo dei percorsi formativi, è opportuno
ribadire che non si tratta di itinerari alternativi che conducono
alla medesima meta (il caso dell'individualizzazione), ma di piste indirizzate
verso destinazioni differenti, mirate a formare persone con profili
cognitivi diversi le une dalle altre. Un'altra condizione è costituita
dal fatto che l'alunno disponga di una vera
possibilità di scelta del percorso che ritiene a sé più congeniale.
Affinché questo genere di situazione sia autentica, affinché la scelta sia
vera scelta, nel senso responsabile del termine, occorre però che l'alunno
sia equipaggiato con un certo grado di consapevolezza circa le proprie
inclinazioni. Questo significa non solo che egli deve essere cosciente
del profilo delle proprie propensioni, ma anche che nell'ambito di queste
deve diventare progressivamente capace di distinguere tra "preferenze"
e "attitudini" vere e proprie. Per altro, non ci si può illudere che
queste forme di consapevolezza possano maturare al di fuori del quadro
dell'esercizio della scelta e preliminarmente ad essa.
Infine, lo sviluppo del talento può essere ottimizzato se l'alunno fruisce
di supporti didattici adeguati. Infatti, può non essere sufficiente
dare occasioni di esercizio del talento personale,
è preferibile accompagnare queste occasioni con adeguate forme di insegnamento,
in quanto, anche se il talento non può essere "trasmesso" dal docente
al discente, si possono creare le condizioni favorevoli allo suo sviluppo
attraverso forme di intervento didattico dell'insegnante.
Allo scopo di realizzare tali condizioni, si possono tenere presenti
alcuni principi pedagogici e didattici che descriveremo sommariamente
limitandoli a tre: il principio delle opzioni,
quello dell'auto-orientamento e quello della valutazione critica. Tali
principi, oltre a presentare un certo grado di interconnessione,
sono legati in maniera più sensibile ora alla realizzazione di una condizione
ora dell'altra, anche se non secondo un rapporto di corrispondenza uno-a-uno.
Il principio delle opzioni, formulato inizialmente
da Claparède, è finalizzato a realizzare congiuntamente la condizione
della pluralità dei percorsi e quella della possibilità di scelta da
parte dell'alunno. L'idea di fondo di Claparède è quella di restringere le ore di frequenza scolastica
dedicate al cosiddetto "programma minimo", ossia al nucleo del curricolo
che deve essere comune al tragitto formativo di ogni studente. Le ore
così rese disponibili devono essere dedicate a "corsi" complementari
o speciali da scegliere liberamente da parte dello studente fra quelli
attivati dalla scuola, cosicché ognuno abbia modo di ritagliarsi un
curricolo personalizzato. Generalizzando questo principio, si può ipotizzare
di ridurre a più livelli organizzativi ciò che è comune ed obbligatorio
per tutti gli alunni, in modo da inserire molteplici forme di
attività di tipo opzionale (corsi, laboratori ecc.).
Il principio dell'auto-orientamento è finalizzato a realizzare congiuntamente
la condizione della scelta e quella della autoconsapevolezza.
Lo studente non deve soltanto avere la possibilità di scegliere, dovrebbe
anche sviluppare gradualmente la capacità di scegliere, ossia dovrebbe
imparare progressivamente ad orientarsi in modo autenticamente autonomo
tra le diverse possibili alternative. Questo
genere di capacità è legata ad almeno due fattori:
da un lato la progressiva consapevolezza dei propri punti di forza e
dei propri punti di debolezza; dall'altro la consuetudine con la valutazione
delle diverse alternative rispetto alle proprie inclinazioni. Comunque,
questa capacità ed i suoi fattori possono essere coltivati soltanto
attraverso la pratica stessa della scelta.
Il principio della valutazione critica è finalizzato a realizzare la
condizione dell'autoconsapevolezza e concorre ad assicurare un adeguato
sostegno didattico all'alunno. Per raggiungere questi scopi, nell'ambito
dello sviluppo del talento, la valutazione dovrebbe essere praticata
in maniera diversa dalla mera "classificazione" del livello di
apprendimento (sufficiente, buono ecc.). Essa dovrebbe assumere
la forma di un articolato giudizio critico, strutturato
in rapporto ai criteri interni al campo culturale di attività, così
da rendere consapevole l'allievo di tali criteri e da guidarlo ad operare
tenendo conto di essi. In questo modo il discente, acquisendo una progressiva
consapevolezza di questi criteri, potrebbe, negli anni, sviluppare una
certa capacità di autovalutazione e diventare
così cosciente dei propri punti forti e dei propri punti deboli relativamente
al campo in questione
Concludendo, si deve precisare che le procedure che si possono utilizzare
per concretizzare la personalizzazione dei percorsi formativi, quali:
i Progetti didattici, i Laboratori e i Crediti didattici, non la garantiscono
di per sé. Piuttosto, esse rappresentano contesti
didattici particolarmente adeguati per l'attuazione dei principi che
tendono a rendere personalizzato il lavoro. E' nella misura in cui queste
procedure vengono attuate secondo questi principi che il lavoro didattico
tende ad assumere una dimensione personalizzata.
Riferimenti
bibliografici
Baldacci M., L'istruzione individualizzata, Firenze, La Nuova Italia,
1993.
Baldacci M., Una scuola a misura d'alunno,
Torino, Utet Libreria, 2002.
Block J.H., Anderson L.W., Mastery learning in classe, Torino, Loescher, 1978.
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scolastico, Roma, Armando, 1979.
Claparède E., La scuola su misura, Firenze,
La Nuova Italia, 1952.
Frabboni F., Manuale di didattica generale,
Bari, Laterza, 2000.
Gardner H., Formae
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Gardner H., Educare al comprendere, Milano,
Feltrinelli, 1996.
Vertecchi B., Latorre
B., Nardi E., Valutazione analogica e istruzione individualizzata, Firenze,
La Nuova Italia, 1995.
Voce comparsa in G. Cerini - M. Spinosi, Voci della scuola duemilatre. Idee e proposte per l'organizzazione
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da
infantiae.org