INSEGNAMENTO


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INSEGNAMENTO

Piero Floris

 

Una definizione controversa

Nel lessico pedagogico degli ultimi decenni il termine insegnamento appare più raramente. Le ragioni sono molteplici e certamente note. È un concetto che sembra rimandare ad un'idea superata e pericolosa di scuola e di didattica, un'idea che trae le sue origini dalla critica alla "scuola della trasmissione" dei saperi e dalla scarsa attenzione agli allievi.

Se per un verso la parola appare solo marginalmente nei dizionari specialistici delle scienze della formazione, per l'altro, in quelli non specializzati, assume un connotato che non soddisfa gli addetti ai lavori. Il Devoto-Oli definisce, ad esempio, l'insegnamento come `presentazione organica di elementi formativi e tecnici specifici all'altrui facoltà di apprendimento ".

La marginalità del termine nella letteratura pedagogica rappresenta una rimozione solo nominalistica o denota invece l'assenza della questione nel dibattito e nella ricerca pedagogica attuale?

Questa seconda tesi è certamente improponibile. Se la scuola non prevedesse al proprio interno l'azione dell'insegnare come si giustificherebbe la presenza di insegnanti, coloro i quali sempre secondo il dizionario sopra citato "sono dediti all'insegnamento a livello professionale"?

Per capire le ragioni di questo paradosso è forse necessario ripercorrere, seppure fugacemente, il dibattito pedagogico di questi anni anche per comprendere perché oggi si conviene (seppure tacitamente) che una buona scuola non può fare a meno di buoni insegnanti, ma - questo è il nocciolo della questione - i docenti per essere tali non dovrebbero insegnare nei modi tradizionalmente riconosciuti e descritti nei normali dizionari della lingua italiana.

Insegnamento o innovazione?

La pedagogia attiva ha trovato nuovo e più concreto vigore nel periodo in cui andava sviluppandosi nel nostro paese quella che era definita "la scuola di massa". Una istituzione, quella scolastica, nella quale non era più l'alunno a doversi adattare quanto piuttosto la scuola a dover prendere le mosse dai bisogni dei ragazzi.

La scuola attiva ci ha consegnato in eredità un'immagine della didattica mollo legata alla dimensione dell'esperienza: il vissuto del bambino avrebbe dovuto essere il fondamento della vita scolastica e la scuola doveva essere concepita come un luogo naturale, dove la libera espressione e la creatività individuale sarebbero stati gli ingredienti base dell'apprendimento.

Questo "naturalismo psicologico" per lungo tempo ha reso contraddittorio e quasi conflittuale il rapporto insegnamento-apprendimento; nella stagione del puerocentrismo, ad esempio, l'unica funzione assegnata all'insegnamento era implicitamente quella di impedire l'apprendimento.

Per mettere giustamente al centro del fatto educativo il bambino, si sono indirettamente offuscati il ruolo e le funzioni effettive dell'insegnante.

Si è contribuito in questo modo ad un travisamento del senso e del significato da attribuire all'insegnamento identificandolo con la " trasmissione dei saperi".

In questo quadro il docente ha assunto un ruolo più teso all'ascolto, al non intervento direttivo, alla coltivazione "rousseauiana" delle menti, e così facendo si è conferito all'educazione una valenza molto vicina alla maieutica. In casi estremi si è partiti dall'esperienza del bambino e lì si è rimasti, dimenticando che la scuola ha il dovere di fornire un valore aggiunto di tipo formativo e se ciò è valido per tutti gli alunni lo è tanto di più al cospetto di quei ragazzi che nella loro vita, oltre alla scuola, non hanno molte altre occasioni per crescere.

Rischi di un approccio naturalistico

La successiva focalizzazione sull'apprendimento ha veicolato una idea pericolosa: quella di contrapporre l'apprendimento all'insegnamento. Il primo lo si è dipinto come creativo, spontaneo, libero; il secondo, invece, come trasmissivo, coercitivo, autoritario.

Al principio fondamentale della libertà d'insegnamento si è sovrapposta una ambigua quanto rischiosa libertà di apprendimento.

Il passaggio da una didattica puramente trasmissiva ad una didattica preoccupata, giustamente, di mettere al centro il bambino, non ha però liberato l'alunno dal peso della totale responsabilità dei risultati del suo apprendimento. Ad esempio, di fronte all'insuccesso di un allievo o ad un alto tasso di selezione di una scuola, quanti sono disposti ancora oggi a ricercarne la causa nel tipo di didattica adottata invece che nelle capacità dei discenti?

L'enfasi sull'apprendimento sganciato nel suo rapporto con l'insegnamento (solo successivamente si elaborerà il binomio insegnamento-apprendimento) non a caso ha inaugurato la stagione delle attenzioni alle cosiddette difficoltà di apprendimento e agli alunni difficili [v. voce Recupero].

Le trasposizioni troppo frettolose nella didattica delle ricerche in campo psicogenetico condotte da Piaget hanno contribuito non poco alla separazione tra intervento

educativo ed esito dell'apprendimento. Lo sviluppo, la maturità, l'intelligenza dell'alunno sono state descritte da quella scuola di pensiero come indipendenti dal contesto, fosse esso geografico, storico culturale e quindi anche didattico. Con questa prospettiva la scuola diventava un luogo dove l'alunno perveniva ad acquisire i saperi secondo il suo grado di sviluppo e d'intelligenza e senza interventi sulle sue capacità.

Lo sviluppo dell'alunno secondo quell'approccio, era indipendente dagli apprendimenti e non vi era reciprocità fra sviluppo dell'intelligenza e potenziamento delle conoscenze; i saperi non erano mai identificati come motori dell'intelligenza ma considerati al contrario, esclusivamente come dei suoi derivati.

La mediazione intenzionale dell'insegnante

Con la rilettura degli studi di Vygostkij si sono meglio precisati i termini del problema: si è posto maggiormente l'accento sugli aspetti interattivi e sociali del sapere e quindi sulla valenza formativa dell'alterità.

Gli apprendimenti, sosteneva lo studioso russo, non sono indipendenti dallo sviluppo cognitivo dell'alunno. Essi precedono e sono a loro volta causa ed agenti dello sviluppo cognitivo dell'individuo.

Se ciò è vero, allora non è ragionevole sul piano didattico, privare o ritardare per alcuni alunni, quelli definiti in difficoltà, l'approccio a più avanzati apprendimenti. Al contrario è proprio "l'esposizione" alla potenzialità di quei nuovi saperi a permettere di progredire e di sviluppare operazioni concettuali e competenze di livello superiore.

La ricerca pedagogica ha mostrato che un alunno di fronte ad un compito dimostra due livelli di capacità: uno che corrisponde a ciò che può ottenere da solo ed un altro, superiore, se realizzato con l'aiuto o la mediazione di qualcuno (adulto o compagno).

Nel primo caso, l'alunno rimane al livello dei saperi che possiede indipendentemente dalle azioni didattiche. Nel secondo caso vi è un salto di qualità cognitiva dovuto allo sfruttamento delle sue potenzialità formative per effetto di un intervento a lui esterno, operazione, che detta con i termini vygotskijani, si chiama sviluppo della zona prossimale.

L'apprendimento, proprio perché sociale non si può ridurre ad una "questione" fra un soggetto (l'alunno) ed un oggetto (il sapere) dove il primo incontra spontaneamente il secondo. Se i processi di acquisizione dipendessero solo da questo binomio saremmo di fronte ad un modello di tipo naturalista ispirato da una concezione innatista e spontaneista. L'elemento caratteristico "dell'istituzione scuola" è invece avere a disposizione un terzo elemento che è l'insegnante e la cui funzione è tutt'altro che neutrale.

La scuola in questa prospettiva quindi non può essere considerata un luogo naturale ma è una istituzione alla quale si affidano compiti di sviluppo della società, di recupero d'identità, di accoglienza ma anche di contenimento se non di riduzione del disagio sociale. Per svolgere tali mansioni, l'azione dei docenti, l'insegnamento per l'appunto, deve essere caratterizzato da una forte intenzionalità, visibile ed anche analizzabile.

Conflitto socio-cognitivo e insegnamento

L'apprendimento però non è il risultato esclusivo delle azioni dirette del docente ma anche di quelle indirette, di quelle che egli favorisce, organizza, mette a punto e nelle quali talvolta non è neanche fisicamente presente.

A sviluppare le conoscenze e le potenzialità dell'alunno pertanto possono concorrere le interazioni che crea con i propri compagni. Basti pensare allo sviluppo in senso sociale degli studi di Piaget, per il quale l'acquisizione dei diversi stadi dello sviluppo dell'intelligenza avviene attraverso uno strappo, uno squilibrio tra un nuovo stato di conoscenze ed uno stato di conoscenze preesistente. Questo squilibrio si fonda necessariamente sullo stretto legame tra soggetto che apprende e oggetto di apprendimento e viene definito classicamente “conflitto cognitivo”.

Con la rilettura e la reinterpretazione delle teorie di Vygotskij, alla costruzione dei saperi, oltre che a una dimensione psicogenetica e cognitiva, viene riconosciuta una forte valenza interattiva e sociale.

In virtù di tale approccio il concetto di conflitto cognitivo lascia spazio a quello più ampio ed articolato di conflitto socio-cognitivo che sinteticamente così si può riassumere:

- la costruzione delle conoscenze è principalmente sociale ed è fondata su di un insieme di interazioni fra gli individui;

- la conoscenza è basata su di uno squilibrio inter-individuale che provoca uno squilibrio intraindividuale;

- lo sviluppo di tutte le funzioni cognitive superiori si realizza attraverso la trasformazione di un processo intrapersonale.

L'insegnamento è chiamato a prendere le mosse da questi principi. La didattica dovrebbe gestire in maniera intenzionale queste sociali e l'insegnante "è tutto dentro" a questi processi nel senso che li prevede (programmazione), li governa (azione didattica) e li regola (valutazione).

Se la diversità dell'altro (intesa nell'accezione ampia del "fiori di sè) è un valore fondante nella formazione della conoscenza oltre che nella presa di coscienza del sè, allora la scuola non può privilegiare soluzioni organizzative che vedano nella omogeneità delle conoscenze degli alunni - si legga i gruppi di livello - il terreno privilegiato per lo sviluppo delle potenzialità.

Lo sbocco ora universalmente condiviso di queste tesi è che l'insegnante dovrebbe permettere all'alunno di imparare ad imparare. Questo principio ha indicato molto bene il compito della scuola rispetto agli

alunni e molte esperienze scolastiche con la loro testimonianza hanno permesso di chiarire quali tipi di azioni didattiche siano necessarie.

L'insegnamento nel contesto dell'autonomia.

Il concetto d'insegnamento non è sparito con l'eclisse del suo nome ma si è dilatato ed è andato espandendosi assumendo caratterizzazioni più consone agli scenari della nuova scuola.

L'autonomia scolastica ad esempio ha contribuito non poco in questo senso, riformando le definizioni ed allargando gli orizzonti. Nel regolamento dell'autonomia il concetto centrale è "l'offerta formativa ", da cui nasce il POF. Il piano dell'offerta formativa rappresenta simbolicamente e sostanzialmente la scuola rinnovata ed aderente ai nuovi bisogni formativi. "L'offerta" è un termine palesemente preso in prestito dal linguaggio dell'economia (si dice infatti la domanda e l'offèrta ), è più parola del mercato che dell'istituzione e forse dopo una stagione di riforme centrata molto sull'enfasi della domanda (nella fattispecie delle famiglie) potrebbe darsi che a qualcuno venga in mente di rimettere in discussione anche il concetto di offerta.

Lo stesso aggettivo "formativo" testimonia l'evoluzione del quadro culturale entro il quale si colloca la scuola. Formativo è infatti ciò che attiene alla maturazione dell'individuo in termini non solo di studio ma anche di pratica e di esperienza.

L'offerta formativa inoltre travalica i confini angusti dell'aula perché richiama ad un'organizzazione complessa della scuola fatta di flessibilità e modularità nei tempi nei modi e nei luoghi, votata all'apertura con il territorio a tal punto che quando si parla di offerta formativa difficilmente si tende a pensare ad una lezione svolta da un insegnante solo nelle ore antimeridiane, ma ad una attività particolarmente attraente condotta oltre il normale orario scolastico.

Le azioni dell'insegnare

Il concetto d'insegnamento viene oggi inteso in un'accezione molto ampia e non ridotta al puro atto "dell'insegnare cattedratico" ma alla predisposizione, all'organizzazione ed alla realizzazione di tutte le condizioni che favoriscono l'apprendimento.

La letteratura pedagogica d'oltralpe ha definito l'insegnante

maestro di apprendimento. Questa formula chiarisce bene il ruolo ed anche la responsabilità che può essere attribuita all'insegnamento.

Nella predisposizione delle condizioni per l'apprendimento, svariatissime sono le azioni che può condurre un insegnante. Ne citiamo solo alcune a titolo esemplificativo che sono peraltro ben note:

  • aiutare gli allievi a discernere ciò che è importante da ciò che è accessorio;
  • favorire l'emergere di situazioni – problema che costituiscono l'ingrediente necessario per la motivazione all'apprendimento e che dovrebbero essere il punto di partenza di ogni percorso didattico;
  • rendere coscienti gli allievi delle loro rappresentazioni mentali circa i loro modi di apprendere e gli oggetti dell'apprendimento attraverso la formulazione di domande, la esplicitazione di nessi fra elementi apparentemente separati;
  • assicurare il transfert delle conoscenze, la capacità cioè che gli alunni hanno di trasferire o di riutilizzare determinate conoscenze in altre situazioni, operazione che i più oggi chiamano acquisizione di competenze;
  • permettere che l'alunno si svincoli progressivamente dall'intervento del docente, dal suo aiuto organizzato. L'autonomia dell'alunno va concepita come il coronamento di un lungo ed intenzionale sforzo dell'insegnante e non già come qualcosa dato a priori e presente spontaneamente nell'allievo.
  • Queste sono azioni dell'insegnante legate alla dimensione psico-pedagogica della relazione con l'allievo. Il docente è anche regolatore di flussi comunicativi all'interno del gruppo-classe, è una sorta di vigile del traffico (cognitivo, relazionale, sociale, affettivo) del gruppo-classe, che appunto può paralizzare lo scambio, I'interazione ma al contrario lo deve favorire, alimentare.

L'insegnamento come attività regolativa si può distinguere in 2 grandi categorie: quella affettivo-relazionale e quella cognitivo- conoscitiva.

La tabella che segue riporta la classificazione delle azioni dei docenti secondo i criteri sopraindicati emersa da un'indagine recentemente condotta in alcune scuole elementari e medie 1 . L'elenco esaustivo, ma delinea un profilo operativo del docente particolarmente ricco e stimolante.

Classificazione delle azioni dei docenti

DIMENSIONE AFFETTIVO-RELAZIONALE

DIMENSIONE COGNITIVO-CONOSCITIVA

Gratifica, stimola, rinforza.

Limita i suoi interventi per dare spazio ai bambini

Interviene per ricondurre al compito Interviene per dare ordine ai lavori Indirizza il lavoro di gruppo Sollecita il confronto Conduce e regola la discussione Verifica l'andamento del lavoro Sollecita gli alunni più restii

 

Valorizza l'emergere dei concetti spontanei Fornisce una strategia Fa emergere le conoscenze pregresse Fa condividere il concetto incontrato Stimola i collegamenti fra conoscenze diverse

Suggerisce, riprecisa il compito Sollecita gli approfondimenti

Sprona gli allievi ad individuare nuove conoscenze

Suscita nuove curiosità

 

L'analisi dell'insegnamento

L'insegnamento costituisce anche un terreno di analisi molto propizio per quanto attiene alla formazione dei docenti e ai processi di valutazione ed in particolare a quelli di autovalutazione.

Qualsiasi politica scolastica che intenda migliorare l'offerta formativa non può prescindere da una attenzione al ruolo del docente. Se si vogliono introdurre correttivi sia a livello di politiche su larga scala (nazionale, europea, internazionale), sia a livello di singola scuola, l'azione degli insegnanti e sugli insegnanti rimane il principale elemento di tipo regolativo, il fattore, cioè, su cui investire per apportare le modifiche richieste dal sistema e dalle pratiche educative. Tutte le altre indispensabili riforme, di tipo normativo, ordinamentale, organizzativo, finiscono con l'essere vanificate se non sono accompagnate da un investimento concreto sulla competenza professionale dei docenti.

Una politica formativa basata sul fattore umano, sull'investimento sul docente, non può prescindere da un suo diretto ed attivo coinvolgimento.

Tale partecipazione assume sempre più le caratteristiche di un protagonismo

fondato sulla centralità della pratica educativa e sulla riflessione intorno ad essa

da parte del docente stesso. Osservare, descrivere e discutere delle pratiche dell'insegnante, è ormai considerata una operazione ricca e fruttuosa sotto il profilo professionale.

Un ulteriore fattore che motiva l'attenzione ed il ricorso alle

come strumento investigativo deriva dall'esempio che offrono i metodi utilizzati dalla moderna psicologia del lavoro e dall'ergonomia. Il miglioramento della qualità dei servizi infatti è commisurato alla capacità che quegli stessi servizi hanno di descrivere i comportamenti dei loro operatori.

L'insegnamento come lavoro

Tardiff e Lasserre sono forse stati i primi a sostenere che l'insegnamento è da studiare ed analizzare a tutti gli effetti come un lavoro. Questa impostazione non rinuncia affatto a discutere le questioni inerenti alla didattica, al contrario, si serve, anche per l'analisi delle azioni degli insegnanti, dei mezzi che la psicologia del lavoro ha messo a punto.

Le ricerche degli autori sopracitati hanno voluto dimostrare come negli studi sull'insegnamento manchi quasi sempre un'analisi sulla conoscenza delle materie e dei contenuti d'insegnamento, mentre si concentrano sulle interazioni esistenti nella classe, come se tali interazioni fossero l'esclusivo oggetto dell'insegnamento.

Questa idea critica è stata ripresa da Schneuwly che ha approfondito il rapporto fra strumenti e lavoro di insegnamento. Il bambino è considerato, secondo la sua prospettiva, non solo come soggetto che si sviluppa ma anche come soggetto che va educato e l'educazione in questo quadro è lo sviluppo intenzionale del bambino, conseguentemente l'educazione è la dominazione intenzionale dei processi naturali dello sviluppo. "Insegnare consiste nel trasformare modi di pensare, di parlare e di fare utilizzando strumenti semiotici. Si tratta in sostanza di una attività che ha la stessa struttura di ogni lavoro. Ha un oggetto: dei modi di pensare, di parlare, di fare; ha un mezzo: dei segni o dei sistemi semiotici; ha un prodotto: dei modi trasformati. In questa visione l'insegnante in quanto lavoratore è un agente di trasformazione che agisce per mezzo di strumenti semiotici su di una serie di funzioni psichiche particolarmente complesse che si materializzano nell'attività di lettura, di scrittura, in quella scientifica o in quelle artistiche" (Schneuwly, 1985).

L'insegnamento: funzione psicologica e dimensione sociale

Il lavoro non è una attività come tante altre; esercita nella vita personale una funzione psicologica specifica la cui descrizione è avvenuta nel tempo partendo da diversi punti di vista.

I modelli più adottati in questi anni utilizzano criteri di tipo storico-sociale, si reggono sull'importanza e la centralità del soggetto e fanno della descrizione delle sue attività il nucleo centrale dell'indagine.

Il ruolo fondamentale della soggettività ha come conseguenza che l'efficacia delle attività di lavoro, dipende da variabili psicologiche che tentano di rispondere a questioni quali: come il lavoratore si organizza, che cosa mobilita per affrontare i problemi che incontra, quali soluzioni adotta.

Lavorare significa riuscire a realizzare ciò che si voleva fare, economizzando tempo ed energie. Ma è anche giudicare ciò che si fa in funzione di ciò che si sarebbe voluto o dovuto fare. I soggetti in azione quando devono affrontare problemi, o inventare le soluzioni più adeguate, vivono in situazioni complesse, concrete, sempre molto diversificate ed imprevedibili. Il senso dell'azione è il rapporto di valore che il soggetto instaura tra questa azione e le varie attività possibili, quindi una forma costante di regolazione e di aggiustamento di fini in corso di attività.

Una tale concezione ha inevitabili conseguenze, ad esempio, sulla questione della prescrizione dell'attività di lavoro, poiché molta dell'azione di chi lavora è data dagli obblighi che gli stessi lavoratori si danno, per riuscire a realizzare ciò che è loro richiesto. In tal senso, l'opposizione tra compito prescritto e lavoro reale è certamente un terreno importante d'indagine anche per la professionalità docente

L'insegnamento come ambito formativo della professione docente.

Il lavoro e quindi anche quello dell'insegnante non è solo consumatore di competenze ma ne è anche un produttore. L'esperienza lavorativa, proprio per le caratteristiche d'implicazione del soggetto, non può non essere essa stessa un ambito di formazione. La gran parte degli approcci, messi in atto nei paesi occidentali, sia nelle industrie sia nei servizi che hanno avuto come obiettivo il perseguimento della qualità, hanno fondato la formazione attraverso pratiche professionali. Partire dall'attività lavorativa per riflettere sui modi dell'agire professionale offre, per usare una espressione di Schwartz, la possibilità di migliorare allo stesso tempo l'esperienza e la conoscenza. I benefici sono doppi: la prospettiva, da una parte, è di migliorare l'efficacia del lavoro, attraverso l'individuazione e lo sfruttamento delle competenze effettive degli operatori professionali e dall'altra è di conferire alla formazione un carattere spendibile nel breve periodo.

Nella formazione in servizio, sostiene Clot, l'accesso a nuove conoscenze ha senso ed efficacia se è un processo che s'iscrive in una esperienza pregressa e duratura e se allo stesso tempo riesce a porre questioni inedite.

Da quando la psicologia del lavoro e generalmente i metodi della ricerca delle scienze umane e sociali hanno riconosciuto ai soggetti, capacità di conoscere e di interpretare situazioni ed interazioni, sono tramontati quegli approcci scientifici che non tengono conto o addirittura si oppongono al riconoscimento del valore conoscitivo del senso comune. E' superata, in sostanza, la storica antinomia fra il sapere razionale ed il vissuto esperenziale; quest'ultimo al contrario, diventa l'oggetto stesso dello sforzo e della tensione conoscitiva propria della ricerca.

Trattate in quest'ottica l'insegnamento e le azioni che esso comporta costituisce un ambito di attenzione privilegiato per migliorare i processi di formazione e perseguire il successo formativo di un numero sempre più ampio di giovani.

 

OPPORTUNITÀ E RIFERIMENTI

Per gli approfondimenti metodologico-didattici e la costruzione di percorsi di insegnamento-apprendimento:

Collection Crayon, Sequenze didattiche bilingui italiano e francese:

- Prefazione Tullio De Mauro

- M. Joly, A.Pasquier; E.Praz, per l'insegnamento delle lingue; - Dallou, per l'insegnamento della storia; -L. Bus, per l'insegnamento delle scienze.

- Pubblicate da Regione Autonoma Valle d'Aosta. Assessorato all'Istruzione e alla

Cultura. Servizio Ispettivo Tecnico: http://www.scuolc.vda.org/;

pi.rosset@regione.vda.it .

Ricerche relative all'analisi dell'azione degli insegnanti: Atti del Convegno `7o Insegno, tu insegni, egli impara. Dove mettiamo i punti interrogativi?

In corso di pubblicazione. Direzione Politiche Educative. Assessorato all'Istruzione Regione Autonoma Valle d'Aosta.

LAF (Langage, Action, Formation) Progetto finanziato dal Fondo di ricerca svizzero, Genève 2001: http://www.unige.ch/fapse/SSE/groups/cahiers/publications.htm . Ricerche nel campo della psicologia del lavoro applicate alla scuola: Equipe Y. Clot Conservatorio di Arti e Mestieri di Parigi ( http://www.cnam.fr ).

 

INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE

ANSCOMBE G.E., L'Intention in «Ics formes de l'action», Editions de l'ecole des Hautes

Etudes en Sciences Sociales, Paris, 1990.

BAUDOIN J.M. e FRIEORICI-H J., Théories de l'action e et éducation, De Boeck,

Università, Bruxelles, 2001.

BRONCKART J.P., SCI-NEUwLY B., Vygotsky aujourd'hui, Délachaux Niestlé, Lausanne,

1985.

CLOT Y. La fbnction psychologique da tavail, Presse Universitaire, Paris, 1999. FLORIS P. L'insegnante ed il computer, Bonanno, Acireale, Roma, 2005. HABERMAS J., Teoria dell'agire comunicativo, Il Mulino, Bologna, 1986. MARGIOTTA U. ( a cura di ), L'insegnante di qualità Armando, Roma, 1999.

MORTARi L., Il docente come pratico riflessivo in Rassegna n. 19, Provincia Autonoma

di Bolzano, Bolzano, 2002.

RICOEUR P., La sémantique de l'action, CNRS. Paris, 1977.

SCIINEUWLY B., PLANE S., Regards sur l'outil de l'enseignement du franQais: un pre

mier répérage in Repères n. 22, Genève, 2000.

TARDIF M. E LASSERE C., Le Travail enseignant au quotidien. Expérience, interactions

humaines et dilemmes professionnels, De Boeck, Bruxelles, 1999. VYGOTSKIj L.S., Pensiero e linguaggio, Laterza, Bari, 1992

RISORSE NORMATIVE

Art. 33 della Costituzione della Repubblica Italiana: L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento (...).

D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275: Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche a norma dell'art. 21 della legge 15 marzo 1997 n. 59. D.Lgs. 19 febbraio 2004 n. 59: Definizione delle norme generali relative alla scuola dell'infanzia e al 1 ° ciclo dell'istruzione con allegati A, B, C (Indicazioni Nazionali per i Piani Personalizzati delle Attività Educative nelle scuole dell'Infanzia e del 1 ° ciclo dell'Istruzione).

 

Note

1) Indagine condotta dall'autore del saggio.

(da "Voci della scuola" vol. VI - Tecnodid Ed. 2007 )

 

 

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