LA DEMOCRAZIA
NEL WEB:
REALTA' E LIMITI DELLA MEGA-CONOSCENZA
L'anno scorso ho letto un libro molto
importante di Roberto Maragliano, il Nuovo manuale di didattica
multimediale (ed. Laterza, Bari 1998) che mi suscitò tantissime
domande.
Secondo me Maragliano, quando tende
a contrapporre testualità a ipertestualità, mostrando
della prima solo i grandi difetti e della seconda solo i grandi pregi,
è un tantino unilaterale. Ma forse il suo è solo un atteggiamento
provocatorio, che tra l'altro, in virtù di quel particolare garbo
che caratterizza la sua prosa, non disturba affatto.
La prima, istintiva, domanda che mi
sono fatto dopo quella istruttiva lettura è stata la seguente: quali
garanzie può offrire l'ipertestualità che non si ricada nei limiti
tradizionali della testualità, che sono -come lui stesso dice- "i
significati chiusi, univoci, ai quali l'utente lettore si deve adeguare"(p.
11)?
Detto altrimenti: per quale ragione
l'utente non rischierà mai di adottare nei confronti della ipertestualità
un analogo atteggiamento di mero adeguamento?
E se l'ipertestualità, proprio per
la sua superiore complessità, finisse coll'indurre una dipendenza
maggiore?
Mi spiego. Noi sappiamo che per i media
tradizionali l'utente non è che un individuo sostanzialmente passivo,
influenzabile: l'utente va indotto ad apprendere determinate nozioni
(nella scuola), ad acquistare determinati prodotti (sul mercato),
a votare determinati partiti (in politica) ecc.
Viceversa, oggi l'ipertestualità, specie
quella vissuta in Internet, permette all'utente di trasformarsi in
"agente e interagente", cioè in soggetto attivo e interattivo.
Tant'è che i servizi (commerciali e non) offerti dalle varie agenzie
necessitano, per essere fruiti con relativa sicurezza, di una marcata
personalizzazione.
Ma, a parte il fatto che per realizzare
ipertestualità e multimedialità i costi sono notevolmente superiori
rispetto a quelli della tradizionale testualità (costi di tipo fisico,
tecnico, tecnologico, energetico…), a parte questo, che non è comunque
di poco conto (specie nei paesi del Terzo Mondo), siamo davvero sicuri
che i contenuti trasmessi dalla ipertestualità siano più formativi,
più "arricchenti" la personalità rispetto ai tradizionali
contenuti testuali? Solo perché si è in presenza di un nuovo modo
di organizzare il sapere?
Mi chiedo: l'interattività è forse
un requisito specifico della ipertestualità? In altre parole: non
si sta rischiando di cadere in una sorta di feticismo tecno-informatico?
Non sarebbe meglio dire che ieri la testualità era chiusa, unilaterale
ecc., semplicemente perché tale era la cultura che la supportava,
che le faceva da background?
Noi sappiamo che l'interattività, in
campo scolastico nazionale, è sempre stata poco presente perché il
"sapere" è cosa che sostanzialmente viene trasmessa qua
talis, sulla base di un ruolo, quello di "docente/discente",
nettamente predefinito. L'interattività, quando c'è, costituisce l'eccezione
(soggettiva) alla regola (oggettiva), nel senso che un insegnante
può anche essere disponibile al dialogo coi suoi allievi, ma questo
non gli impedirà di svolgere la funzione di mero esecutore di programmi
ministeriali decisi altrove, indipendenti dalla sua volontà.
E questo nonostante che le teorie dell’apprendimento
interattivo risalgano a Rousseau. Ma è un fatto che la scuola italiana
abbia avuto sempre scarsa dimestichezza con le teorie pedagogiche,
meno che mai con quelle scientifiche.
Oggi tuttavia mi chiedo: possiamo dire
con sicurezza che l'interattività esiste proprio in virtù della ipertestualità,
cioè per una motivazione squisitamente tecnologica, o non è forse
vero che l'ipertestualità, come fenomeno di massa, è nata in seguito
al crollo delle ideologie, dei valori precostituiti da trasmettere
in maniera unidirezionale?
Non è stato forse il crollo delle ideologie
a permettere la nascita di un sapere reticolare, decentrato, multiforme,
polivalente, incredibilmente interattivo, in cui i ruoli tradizionali
di "docente/discente" sono stati ribaltati? Oggi l'intercambiabilità
dei ruoli ha raggiunto livelli impensabili fino a qualche tempo fa.
Non a caso si sta mettendo seriamente in discussione la necessità
di avere dei programmi ministeriali che stabiliscano a priori i contenuti
degli argomenti da trasmettere, la necessità di adottare determinati
libri di testo, persino la necessità che il mondo della scuola debba
fare riferimento a un Ministero della Pubblica Istruzione. Un’istruzione
“pubblica” è necessariamente “statale”? cioè deve essere necessariamente
organizzata dallo Stato? Perché se non è organizzata dallo Stato diventa
inevitabilmente un’istruzione “privata”, cioè per i pochi che se la
possono permettere?
Certo, storicamente le cose non sono
andate proprio così. Sappiamo tutti che la motivazione di base che
portò Vannever Bush nel 1945 all'intuizione di sistemi ipertestuali
e Theodor H. Nelson, 20 anni dopo, alla loro progettazione, fu quella
legata all'esigenza tipica della nostra cultura di archiviare e organizzare
in modo sistematico l'enorme mole di conoscenze andatasi ad accumulare
nel tempo, così da consentirne una consultazione facile ed immediata.
Ma è molto probabile che senza la crisi
di credibilità delle istituzioni iniziata negli anni '70, questa felice
intuizione non avrebbe avuto lo sviluppo impetuoso che ha avuto: sarebbe
quasi certamente rimasta ad uso e consumo di ambienti relativamente
ristretti (militari, scientifici, politici o amministrativi), come
a tutt'oggi si cerca di fare in quei paesi dove si pensa di poter
ovviare all'assenza di fiducia nelle istituzioni usando metodi repressivi
(p.es. in Cina). Sono addirittura 45 i paesi che pongono restrizioni
all'accesso in rete, costringendo p.es. a utilizzare provider a diretta
conduzione statale.
* * *
Ora però vorrei fare un inciso, spiegando
che io intendo il termine "ipertestualità" in senso
filosofico, non semplicemente tecnico, cioè lo intendo come
il prodotto più maturo di una civiltà, quella del capitalismo avanzato,
che sul piano della conoscenza vuol andare al di là dell'acquisito,
del "già dato". In tal senso ritengo che il web sia
l'espressione più significativa del concetto di ipertestualità (il
quale, sotto questo aspetto di natura diciamo epistemologica, include
i concetti di multi- o ipermedialità). Chiusa la parentesi. Per gli
aspetti più propriamente teorici rimando alla bibliografia.
* * *
L'Occidente (razionalista per definizione)
ha sempre ritenuto la conoscenza il mezzo migliore per risolvere i
problemi. Lo sviluppo della scienza infatti è una conseguenza di questa
concezione della conoscenza. L'enciclopedismo è una caratteristica
tipica della nostra civiltà. Lo era anche prima della ipertestualità.
Anzi, possiamo dire con sicurezza che
l'ipertestualità ha portato l'enciclopedismo a uno sviluppo assolutamente
eccezionale, in quanto l'aggiornamento della conoscenza è velocissimo,
puntuale, circostanziato, addirittura personalizzabile, facilmente
consultabile online e sulla base di livelli "quantitativi"
così voluminosi che da un lato l'organizzazione dei materiali diventa
una fatica pressoché quotidiana e, dall'altro, la convinzione di poter
usare sino in fondo tutte le informazioni che si ricevono diventa
ben presto una mera chimera.
Per poter gestire in maniera adeguata
anche solo una minima parte della conoscenza che potenzialmente il
web ci propone come utile per il nostro lavoro, i nostri interessi
ecc., noi dovremmo vivere non una ma mille volte. Se dicessi che in
questo momento la massa delle informazioni residenti sulla rete ammonta
a circa 20 milioni di miliardi di caratteri, mentirei, perché sicuramente
alla fine della lettura di questo art.sarà aumentata di qualche milione
di byte (attualmente infatti nasce un nuovo sito ogni quattro secondi).
Ho insomma l'impressione che si stia
passando da una grande illusione, di derivazione illuministica, quella
secondo cui per risolvere i problemi basta volerli conoscere,
a un'illusione ancora più grande, neoilluministica, quella secondo
cui con l'attuale mega-conoscenza (frutto di una interattività
mondiale) è praticamente impossibile non risolvere i problemi.
Cosa intendo per "problemi"?
I soliti: disoccupazione, fame, emarginazione ecc., che da noi in
Occidente si vedono e non si vedono, si vedono ma non si sentono,
si sentono ma senza troppo impegno. Problemi "sociali" non
"matematici", problemi che ieri si pensava di poter risolvere
con gli strumenti della religione, della filosofia, della politica
e che oggi si pensa di poter risolvere con gli strumenti delle scienze
esatte.
Il tempo che dedichiamo a implementare
le strutture che dovranno supportare tutta questa mega-conoscenza,
non è forse tempo sottratto alla gestione effettiva del bisogno
sociale, cioè in sostanza al rapporto umano stricto sensu?
Oggi la mega-conoscenza è praticamente
alla portata del ceto medio (almeno nelle società avanzate): basta
acquistare dei cd enciclopedici o frequentare il web.
Questo è certamente un progresso della
democrazia, della libertà di parola, di informazione, di apprendimento…
Non possiamo però nasconderci che la
vera mega-conoscenza è solo quella del web, non quella dei
cd-rom. Per una semplice ragione: che un cd non è molto diverso da
un'enciclopedia cartacea. Esso può avere mille aspetti positivi che
lo rendono preferibile alla tradizionale enciclopedia, però ne ha
uno che lo destina nel mondo d'oggi a una precoce obsolescenza: è
statico, la sua conoscenza è acquisita, è data. L'ipertestualità
ch'esso propone non è metafisica, ma tecnica, è soltanto una serie
di link, senza la magia della conoscenza che si costruisce strada
facendo.
La vera mega-conoscenza viene offerta
solo dal web, perché solo il web garantisce il massimo dell'interattività.
L'interattività di un cd-rom colpisce, nel migliore dei casi, la prima
volta. Quella del web non stanca mai, perché si trasforma di continuo.
E' magmatica. Solo una persona inesperta o culturalmente limitata
può pensare che questa perenne mutazione sia un fattore di disturbo,
di distrazione, un rumore assordante.
Fino ad oggi questa mega-conoscenza
è stata offerta in maniera pressoché gratuita, anche perché
essa era il frutto di una interattività basata sul volontariato.
Non sto ovviamente parlando del fatto che Amazon abbia messo
in rete (e in vendita) milioni di titoli di libri, né che la Treccani
sia liberamente consultabile dall'utente web.
Mi sto riferendo ad altre realtà: p.es.
al progetto Manuzio, oppure a quelle formidabili fonti di conoscenza
che sono le Faq (le domande, con relative risposte, sui problemi
o sull'uso dei sistemi operativi, dei vari software e hardware, dei
molti linguaggi informatici ecc.).
Ma intendo riferirmi anche al lavoro
di chi, gratuitamente, ha archiviato tutte le riviste e i giornali
del mondo, tutti gli editori, tutte le scuole, le università, tutta
la normativa di questo o quel settore professionale…
Tante persone, in maniera del tutto
gratuita per l'utente web, hanno messo a disposizione la loro competenza
informatica relativa a linguaggi (java, javascript, ecc.) oggi indispensabili
per produrre pagine web.
Queste migliaia di persone hanno potuto
lavorare più o meno gratuitamente appunto perché nei paesi avanzati
la ricchezza diffusa ha potuto permetterlo.
Ora però vorrei porre una domanda:
posto che il web costituisce il medium più potente in circolazione
(non solo per il livello di conoscenze e di interazione che offre,
ma anche per il business che può procurare: è forse un caso, in tal
senso, che i migliori motori di ricerca siano oggi quelli trasformatisi
in un'impresa commerciale?), posto dunque questo, cosa succederà -mi
chiedo- quando le grandi aziende economiche s'impadroniranno di questo
mezzo telematico? La mega-conoscenza non finirà coll'essere subordinata
alle esigenze del mercato?
O forse dobbiamo pensare che la democrazia
digitale sarà una conseguenza del commercio elettronico?
Fino adesso possiamo dire che il web
è rimasto libero: in pochissimi siti la conoscenza è a pagamento.
Anzi ci siamo talmente abituati alla gratuità che in rete non si è
disposti a pagare neppure quel servizio che invece fuori della rete
lo pagheremmo in maniera del tutto naturale.
Oggi taluni motori di ricerca valgono
milioni di dollari e sono quotati in borsa. Se fossero comprati da
una serie di multinazionali e messi improvvisamente a pagamento, come
reagirebbe l'utente web? Non dimentichiamo che le aziende tradizionali
non sono ancora entrate in rete con tutto il loro peso semplicemente
perché le procedure relative alle transazioni commerciali non hanno
ancora raggiunto un livello ottimale di sicurezza. Ma è solo questione
di tempo.
Oggi il web per fortuna permette delle
alternative. Se Yahoo! fosse a pagamento ci si potrebbe rivolgere
ad Altavista. Ma se i più grandi motori di ricerca (che garantiscono
la maggior parte dell'informazione) fossero a pagamento e l'utente
web non volesse o non potesse pagare, il suo destino sarebbe segnato:
perderebbe la mega-conoscenza richiesta dalla società informatizzata.
Gli altri motori infatti resterebbero troppo piccoli, oppure verrebbero
prima o poi fagocitati o rovinati dalla concorrenza.
Non stiamo forse già assistendo al
fatto che grossi motori di ricerca stanno acquistando quelli piccoli?
Yahoo! ha comprato quell'immensa città virtuale chiamata Geocities
e ha dichiarato che intende utilizzare tutti i materiali come meglio
crede (e così faranno probabilmente tutti i provider che offrono spazio
web gratuito oppure obbligheranno a sorbirsi quotidianamente della
pubblicità non gradita).
L'utente web sta forse cominciando
a sperimentare sulla sua pelle gli effetti di una impossibile gratuità
ad oltranza? O, se vogliamo, sta forse cominciando a sperimentare
che là dove viene sbandierata una incredibile gratuità (si pensi alle
offerte di Tiscali, Tin, Infostrada), è forte il pericolo di trovarsi
in balia di interessi molto più grandi di lui?
Quel trionfo dell'anarchia sull'autoritarismo,
che tanto bene ha fatto alla libertà di pensiero, ora sta forse portando
a una nuova forma di autoritarismo, che in Occidente è sempre strettamente
connessa alle regole del business?
Insomma ho l'impressione che il cerchio
si stia cominciando a chiudere. Quella conoscenza che a partire dal
Rinascimento, anzi, ancor prima, a partire dalla riscoperta medievale
dell'aristotelismo, si pensava potesse risolvere tutti i problemi
relativi alla vivibilità dell'esperienza umana, salvo poi dimostrare
la propria drammatica inadeguatezza (specie a partire dal momento
in cui erano le classi dominanti ad appropriarsene per i loro interessi),
oggi, trasformatasi in mega-conoscenza, manifesta in maniera
ancora più accentuata i suoi limiti di sempre.
E' mai possibile che l'Occidente sappia
fare le sue rivoluzioni (in questo caso, direbbe Maragliano, "semiotica
e antropologica", p. 19) solo con gli strumenti della conoscenza?
Ricordo, dai miei studi universitari,
quando Marx si lamentava che nella sua Germania si era fatta la rivoluzione
borghese solo nel pensiero (la filosofia idealistica), mentre
in Francia si era avuto il coraggio di farla anche nella pratica,
con la rivoluzione dell'89. Naturalmente aveva torto a pensare che
quest'ultima rivoluzione, solo perché "politica", fosse
migliore dell'altra: le conseguenze devastanti sul piano umano ci
hanno anzi indotto a pensare il contrario.
E tuttavia mi chiedo se con questa
rivoluzione informatica non si stia rischiando di creare un divario
ancora più grande tra i paesi avanzati, padroni di immense ricchezze,
di un super-sapere, e i paesi arretrati, ricchi solo di miseria, d'ignoranza
e soprattutto di popolazioni. Non dimentichiamo che solo il 10% della
popolazione terzomondiale usa il telefono e che i 3/4 della popolazione
della Terra possiede appena il 12% delle reti di telecomunicazione
mondiali. In tutta l'Africa gli utenti che sul lavoro si collegano
alla rete non superavano le 800.000 unità alla fine del '99; in Sudamerica
erano 4,5 milioni; in tutta l'Asia solo 22 milioni. Cifre ridicole
rispetto a quelle statunitensi e canadesi: 100 milioni, ed europee:
35 milioni (a fine ’99). Non a caso l'utente medio è una persona tra
i 18 e i 35 anni, istruito e benestante, sicuramente padrone della
tecnologia.
E' vero che Internet permette all'utente-medio,
con una spesa relativamente modesta, di crearsi una propria nicchia
commerciale e di realizzare, in maniera insperata, determinati profitti,
ma è anche vero che questo risultato presuppone tutto un bagaglio
di conoscenze e competenze che renderebbero subito quell'utente-medio
in un paese arretrato un'autentica mosca bianca.
Dunque come potrà il web aiutare l'80%
dell'umanità a raggiungere i livelli del restante 20%, o forse è questo
20% che deve cominciare ad abbassare di un po' il proprio standard
di vita?
Noi occidentali diciamo che la rete
offre grandi opportunità di realizzazione personale anche a chi non
è "figlio di papà", ma si tratta sempre di una possibilità
di sviluppo interna alla nostra società avanzata, dove le opportunità
per acquisire individualmente una competenza sufficiente per padroneggiare
i mezzi informatici sono relativamente alte.
Insomma, per concludere, io vorrei
davvero che il web venisse vissuto non solo come fonte di acquisizione
di una mega-conoscenza o come occasione di commercio elettronico per
la massa degli utenti, ma anche e soprattutto come grande opportunità
per sviluppare il concetto di democrazia.
La rete p.es. è servita a denunciare
e scongiurare l'esecuzione programmata del giornalista americano Mumia
Abu-Jamal, anche se gli appelli da più parti avanzati in rete per
salvare la vita di J. O'Dell non hanno sortito lo stesso effetto.
E' servita anche a dar voce ai contadini oppressi della rivolta del
Chiapas, a sostenere la causa degli studenti di piazza Tienanmen,
a mettere Sarajevo in collegamento col mondo durante la guerra in
Bosnia. E' servita persino a permettere la cattura degli assassini
del leader ecologista brasiliano Chico Mendes. E questi son solo degli
esempi.
Non sto ovviamente pensando all'idea
di sostituire la democrazia delegata, indiretta, con quella elettronica,
che si presume più diretta e partecipata. Sto semplicemente pensando
all'idea di utilizzare tutte le risorse del web per migliorare in
maniera concreta i rapporti sociali esistenti.
Se davvero in web la geografia non
esiste, dimostriamolo aiutando i 3/4 dell'umanità a emanciparsi.
Enrico Galavotti
galarico@criad.unibo.it
http://www.criad.unibo.it/galarico/
13 ottobre 1999