OBBLIGO D'ISTRUZIONE


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OBBLIGO D'ISTRUZIONE

Domenico Chiesa

 

Innalzamento dell'obbligo di istruzione

"Elevare l'obbligo di istruzione gratuita fino a 16 anni (primo biennio della scuola superiore)" rappresenta la scelta più significativa per rendere effettivo l'investimento nella scuola che impegna la maggioranza politica al governo dall'inizio di questa legislatura.

Contestualmente all'approvazione della norma di legge1) con cui si è esteso ad almeno 10 anni l'istruzione obbligatoria si deve avviare un processo di innovazione che renda possibile affrontare una sfida così ambiziosa. Si tratta di commisura­re la prospettiva verso cui orientarsi con le attuali condizioni di scolarità, attraverso la definizione di tappe, strumenti e risorse.

La legge 27.12.2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007) rappresenta il riferimento normativo che regolerà l'intervento di politica scolastica dei prossimi mesi, attraverso la messa a punto di numerosi decreti applicativi richiamati dalle nuove norme sull'istruzione contenute nella legge finanziaria. Nel testo della legge si effettuano alcune scelte che indirizzeranno il percorso di attuazione dell'obbligo:

- l'obbligo a dieci anni viene effettuato nel sistema dell '” istruzione" e vengono quindi esclusi i percorsi di Istruzione formazione professionale che il titolo V druda alle Regioni (compresi i corsi triennali nati con gli accordi Stato-Regione del 2003 che rimangono attivi fino alla messa in regime di quanto pre­visto dalla legge);

- possono essere concordati (tra MPI e singole Regioni) "percorsi e progetti"

con lo scopo di prevenire e contrastare la dispersione e favorire il successo nel­I'assolvimento dell'obbligo di istruzione.

La natura e la portata dei percorsi e progetti è ancora da definire. "A regime, la realizzazione di percorsi e progetti volti a rendere effettiva l'obbligatorietà del primo biennio della scuola superiori potrà vedere l'apporto di soggetti formativi, non scolastici , secondo modalità definite dagli accordi regionali e differenziate sulla base delle opportunità e delle esigenze espresse dal territorio. Nessuna sfidu­cia quindi, ma piena consapevolezza della complessità di un percorso e di un obiettivo alto e arduo da raggiungere, quello del "non uno di meno" (Vice Ministro M. Bastico) 2 ).

Un primo atto non marginale è stato realizzato con il Decreto Legge del 31 gennaio 2007, n. 7 e il Disegno di Legge ad esso correlato, finalizzati a chiarire la collocazione degli Istituti tecnici e degli istituti Professionali nel sistema dell'istruzione e a promuoverne la valorizzazione.

Le motivazioni del "nuovo" obbligo

Estendere l'obbligo non è un'operazione facile: è necessario ragionare sul significato dell'obiettivo da raggiungere e sul processo coerente da mettere in atto, sostenere la riflessione da avviare nelle scuole, partire dai bisogni formativi che l'elevamento dell'obbligo di istruzione punta a soddisfare.

Per i singoli, per i diversi gruppi sociali, per l'intera società serve:

1. sviluppare un sistema dell'educazione formale (in rapporto con quelli non­formale e informale) in grado di garantire a tutti e a ciascuno, entro l'adolescenza, il possesso, in modo profondo, persistente e al più alto livello di con­sapevolezza, di quegli strumenti culturali che permettano di leggere la realtà che ci circonda nelle sue svariate sfaccettature (competenze culturali). Solo una formazione culturale profonda, persistente e pervasiva è in grado di per­mettere l'autonomia nel continuare a fruire per tutta la vita delle sollecitazioni culturali 3) ;

2. sviluppare e valorizzare le proprie competenze culturali in termini di competenze professionali da porre alla base della vita lavorativa.

3. garantire per tutto l'arco della vita adulta opportunità di formazione culturale e

professionale adeguate ai bisogni che per ciascun cittadino verranno a definirsi.

A questi bisogni, ampiamente e trasversalmente condivisi, l'elevamento dell'obbligo scolastico rappresenta una tra le possibili risposte. Si tratta di costruire percorsi formativi che estendano l'istruzione all'età dell'adolescenza e prevedano un biennio iniziale (obbligatorio), differenziato in riferimento ai grandi campi del sapere ma unitario nella valenza formativa, e percorsi successivi diversificati in cui si realizzi, in diversa modalità, l'integrazione tra istruzione e formazione professionale.

In questa prospettiva si individuano come sotto-sistemi quello dell'istruzione e quello della istruzione-formazione professionale, che veicola i necessari contenuti di istruzione ma non si pone come percorso ad esso equivalente e in alternativa.

Il biennio unitario

Decisiva appare la questione del biennio. "Credo che la nostra primaria attenzione debba essere rivolta a come dovrà cambiare il biennio, quali innovazioni didattiche e curricolari dovranno essere realizzate" (Vice Ministro M. Bastico).

Tale biennio si colloca all'interno dello sviluppo verticale del processo formativo in cui:

- il periodo dell'istruzione (fino ai 16 anni) rappresenta, per tutti, il "tempo della scuola", della formazione culturale da consolidare e rendere persistente e stabile, dell'acquisizione delle competenze culturali di base in grado di sostenere la capa­cità di apprendere per tutta la vita. Deve essere articolato in fasce scolari in modo da corrispondere ai bisogni formativi che caratterizzano le diverse età (3-6, 6-11, 11-14, 14-16/19). Nel periodo 14-16 si conclude lo sviluppo del curricolo comune (e obbligatorio) mentre ha inizio quello "indirizzato" che implica una prima scelta (che, posta come ancora aperta, è utile e praticabile a questa età);

•  il periodo appena successivo (16=19 anni) costituisce il tempo del "confine", dell'intreccio e della contaminazione basato sul riconoscimento tra i sistemi formativi (scuola, formazione professionale, formazione sul lavoro);

•  nella formazione per tutto l'arco della vita, nel "tempo del lavoro", la scuola rimane un punto di riferimento significativo sia a livello della riconversione professionale che dell'approfondimento culturale. Sarà fondamentale intercet­tare l'esperienza e le competenze di cui l'adulto è portatore e dalle quali deve partire il percorso d'approfondimento culturale e professionale.

Innalzare all'età dell'adolescenza l'obbligo di istruzione non rappresenta dun­que un obiettivo di piccolo cabotaggio; è una tappa storica e strategica, non rinvia­bile, dello sviluppo del sistema scolastico italiano, dopo la scuola per la prima alfabetizzazione (dalla fine dell'Ottocento) e la scuola della prima attuazione dell'art. 34 della Costituzione (dal 1962); è una grande impresa e deve coinvolgere l'inte­ra società (da far percepire come obiettivo dall'intera società).

Bisogna avere consapevolezza che è un impegno storico sia per la possibile ricaduta sociale sia per le obiettive difficoltà da affrontare. Non è uno dei tanti obiettivi; è lo snodo e il traino del processo di innovazione da avviare.

Non è una opzione ideologica. Paradossalmente lo è di più la filosofia del “doppio canale” che si basa sull'assunto di dare a ciascuno un percorso formativo coerente con le proprie "vocazioni" e sulla mitizzazione della valenza formati­va dell'attività lavorativa nell'età di confine tra l'infanzia e l'adolescenza.

 

Un'opportunità per i ragazzi, una sfida per la scuola

Il richiamare, correttamente, la dimensione di "obbligo" (Costituzione) non ne deve ridurre il valore e la dimensione di "opportunità positiva e desiderabile": andare tutti a scuola fino a 16 anni, traendone un apprendimento sicuro, pervasivo e persistente, in grado di "segnare" la nostra vita, possedere in modo significativo la strumentazione culturale ed essere in grado di utilizzarla nel proprio comporta­mento è un bene essenziale e conveniente per i singoli e per la società a livello cul­turale, sociale, civile, economico.

É necessario riuscire a costruire il processo di elevamento dell'obbligo sviluppando questa valenza "positiva" di "bene desiderabile". Sarebbe un grave errore dare spazio alle accuse di voler "incatenare" una intera generazione attorno all' ob ­ bligo scolastico, il ragionamento va capovolto. "Il futuro dell'Italia parte da qui: la società e le famiglie devono investire nella scuola, che sarà chiamata ad una maggiore responsabilità".

Se la crescita diffusa della conoscenza viene posta realmente come valore cen­trale per lo sviluppo, il problema non è se la scuola debba o no rappresentarne il sostegno fondamentale, bensì come avviare/sostenere un processo di innovazione per renderla in grado di esserlo realmente.

Lanciare un segnale positivo di fiducia verso la scuola e la sua capacità di responsabilizzarsi al proprio compito istituzionale (superamento dell'autoreferenzialità, sviluppando la capacità di intercettare/valorizzare le altre agenzie formati­ve e la capacità di percepire i ragazzi come portatori sani di approcci alla cultura da non demonizzare...) diventa uno degli elementi della proposta di innovazione. Tutto questo sia per trasformare gli insegnanti da passivi resistenti in agenti attivi dell'innovazione, sia per ricostruire il patto tra scuola e società (che è alla base della ri-valorizzazione della conoscenza) che oggi si è interrotto.

Aiutare gli insegnanti ad uscire dalle logiche scolasticistiche non significa colpevolizzarli e rinchiuderli nella riserva dei licei (degli studenti già motivati allo studio), ma valorizzare e sostenere i modelli professionali più avanzati, aven­do la capacità di confrontarli con modelli differenti sperimentati anche in altre sedi formative.

È chiaro che la sfida non si vince da soli: se la politica considererà sul serio la

formazione come una voce d'investimento e non di spesa, se la città (come comu­nità e come istituzioni che la rendono possibile) valorizzerà la scuola in un ruolo attivo e specifico nel costruire il sistema formativo sul territorio, allora la scuola potrà avere maggiori strumenti per affrontare e vincere la scommessa.

La sfida regge solo se si costruisce il respiro politico-culturale anche attraverso il coinvolgimento del mondo della cultura e la condivisione delle scuole e degli insegnanti (almeno della parte non marginale che regge da sempre le scuole).

Serve un rinnovamento non marginale della scuola (come usare il sapere a fini formativi in modo da intercettare tutti dall'infanzia all'adolescenza) da paragonare a quello che ha segnato il grande sviluppo della educazione formale tra l'ottocento e il novecento (e che si è fermato alla scuola del tempo dell'infanzia).

L'elevamento dell'obbligo d'istruzione all'età dell'adolescenza non riguarda solo questa piccola fascia scolare, è l'obiettivo dell'intero ciclo formativo da 3 ai 19 anni (e oltre). L'elevamento dell'obbligo a 16 anni comincia dalla scuola dell'infanzia, rappresenta per la scuola media un fattore di riduzione dello stress per insegnanti e studenti e uno stimolo per lo sviluppo della formazione culturale per tutta la vita.

Uguaglianza delle opportunità, differenziazione dei percorsi

L'estensione dell'obbligo implica un chiarimento circa il disegno culturale e pedagogico che deve ispirare la scuola italiana nei prossimi anni:

- mantenere un tipo di scuola che conservi la natura del ginnasio-liceo classico, rivolgendolo però alla sola fascia di ragazzi (quelli-che-ce-la-fanno, le eccel­lenze, quelli destinati a formare le future élites) per i quali lo studio "libresco" (l'uso di questo termine è per riassumere il dispositivo con cui viene utilizza­ta la cultura disciplinare nella formazione delle persone dopo la scuola elemen­tare) riesce comunque a produrre risultati di apprendimento; - - prospettare per le altre fasce di ragazzi l'articolazione di percorsi "personaliz­zati" che "rispettino le vocazioni", con un approccio induttivo al sapere (dal pratico al teorico), fino all'attività lavorativa come forma di apprendimento già nella prima adolescenza.

Se così fosse, saremmo in presenza di un messaggio alla scuola implicito ma forte: «non è così necessario cambiare».

L'idea di differenziare i percorsi non solo nella forma dell'individualizzazione (percorsi diversi per raggiungere obiettivi qualitativamente equivalenti), ma accettando che prevedano risultati qualitativamente diversi (oltre che quantitativa­mente e già nella scuola media) si è rinforzata negli ultimi anni.

Conveniva su tale tesi solo chi sottolineava il compito di selezionare, ai diversi livelli, la classe dirigente, i quadri produttivi intermedi e non pensava alla scuo­la come tempo e luogo dell'emancipazione e del rimescolamento sociale. La scuola elementare era sufficiente come scuola veramente comune nel percorso e negli obiettivi.

A queste argomentazioni si sono aggiunte quelle di chi ritiene che proprio la differenziazione dei percorsi rappresenti la condizione necessaria per attuare l'innalzamento dell'istruzione per tutti; motivazione e finalità sono diverse ma, nella sostanza, la proposta operativa è la stessa: dopo una certa età (11 anni?, 14 anni?, ma perché non dall'inizio?) tenere insieme studenti che hanno obiettivamente atti­tudini e prospettive di studio diverse diventa sfavorevole, non solo per le eccellen­ze ma anche per chi è in difficoltà e ha quindi bisogno di percorsi su misura, con metodi e obiettivi adeguati e coerenti. Dopo i 14 anni il ricorso alla formazione professionale (rivalutata nella sua valenza formativa) diventerebbe ineluttabile. Tutti ne sarebbero avvantaggiati.

Il sogno illuministico della scuola unica/unitaria per tutti, oltre la prima alfabetizzazione - secondo questi critici - sarebbe stato sconfitto dai fatti. Solo una forte differenziazione dei percorsi sarebbe capace di garantire la piena scolarizzazione e la riduzione della dispersione. Chi si oppone è malato di "scuolacentrismo", non prenderebbero atto che la scuola non è in grado di corrispondere alle esigenze di tutti: come si può pensare di obbligare una parte di ragazzi a frequen­tare proprio quella scuola che non è stata in grado di intercettarli, che è correspon­sabile delle loro difficoltà verso lo studio? Perché continuare a pensare che tutti debbano studiare? Perché ritenere che la scuola debba rappresentare per tutti l'u­nico canale di apprendimento, quando è evidente che non riesce ad esserlo, che produce dispersione, avversione allo studio?

E una tesi da non sottovalutare, a cui non si deve contrapporre una opzione ideologica bensì gli argomenti politici, culturali e pedagogici che reggono la scelta del consolidamento dell'istruzione nella fascia della preadolescenza e il suo innalzamento all'età dell'adolescenza. É sbagliato (nelle conseguenze, non ideolo­gicamente) affidare i ragazzi che "questa" scuola non intercetta ad altre agenzie formative sotto i 16 anni.

Curricolo verticale e competenze

Tra i tanti motivi (non ideologici) per sostenere l'elevamento dell'obbligo a 16 anni nella scuola ce n'è uno da evidenziare. Estendere l'istruzione per tutti serve per poter distendere il curricolo comune tra i 6 e i 16 anni, fattore determinante per il miglioramento dei risultati di apprendimento per ogni ordine di scuola in parti­colare per la media, schiacciata dal dover preparare una scelta troppo precoce e "pesante". Diventerebbe possibile operare non sulla quantità di cose da fare ma sulla qualità, sulla possibilità di approfondire (alle "eccellenze" non chiedere più cose, ma cose più approfondite). Diventare "esperti" è uno dei veri motivi per stu­diare, ed è possibile essere esperti a tutte le età, se non si "corre" e se si fanno cose adatte all'età: il bambino in prima elementare è motivato dal poter diventare esper­to in "come si scrive").

In questo modo curricolo comune (individualizzato) si distenderebbe fino ai 16 anni (pensiamo a quello per le competenze storiche, ma anche per quelle logico-matematiche, scientifiche, linguistiche...), mentre a 14 anni si potrebbe inizia­re il curricolo di "indirizzo" con un taglio molto (moltissimo) laboratoriale. Le tecnologie si fanno nei laboratori meccanici, chimici, nelle aziende agrarie collega­te alle scuole, nelle cucine, con aule annesse, non spiegando da dietro la cattedra i flow-chart dei cicli produttivi.

La scelta di un "campo di sapere" è quel salto di "iniziazione" che a 14 anni può essere compiuto e che rappresenta un motivo non secondario per andare a scuola: già oggi il 95% dei ragazzi lo pratica, salvo poi essere "tradito" da ciò che a scuola trova. Tocca alla scuola mettere a punto i motivi per restarvici.

L'estensione della scolarità va, dunque, interpretata e realizzata come la leva per rilanciare un reale e profondo processo di innovazione del fare scuola (nei contenuti/modi, spazi/luoghi del fare scuola) che renda sostanzialmente possibile a ciascuno l'apprendimento fino a all'età della prima adolescenza.

Un disegno riformatore di "sistema"

A partire dall'estensione dell'obbligo di istruzione si possono individuare le tappe dello sviluppo della scolarità e della formazione formale in generale:

- forte intervento di potenziamento della fascia 0-6 (rispettando le specificità del Nido e della scuola dell'infanzia);

- sviluppo della fascia di istruzione 3-14 (= tempo della scuola unica individualizzata) nella direzione della comprensività, con il giusto equilibrio di specificità/continuità dei momenti 3-6 (campi di esperienza), 6-11 (codici e contesto culturale di senso), 11-14 (approccio esplicito ai saperi disciplinari). Valorizzazione dei modelli didattici del tempo pieno e del tempo prolungato. Superamento dell'opzionalità come risposta alla domanda individuale e forma implicita di canalizzazione dei percorsi;

- elevamento dell'obbligo di istruzione nei primi bienni riformati della seconda­

ria superiore (14-16 = tempo della scuola unitaria individualizzata obbligato­ria indirizzata), attraverso la costruzione di impianti curricolari unitari (cioè differenziati per indirizzi ma con equivalente valenza formativa), flessibili e adeguati alle esigenze educative dell'età, strettamente interrelati con la scuola precedente e con il triennio successivo;

- attivazione di percorsi formativi diversificati dopo il biennio (16-19 = tempo della scuola unitaria non obbligatoria da affiancare ad altri percorsi formati­vi, obbligo formativo fino ai 18 anni): nel triennio della scuola secondaria superiore riformata (si può porre l'obiettivo del 85% di diplomati al termine della legislatura), nei percorsi integrati di istruzione e formazione professionale, nell'apprendistato fortemente caricato di percorsi di istruzione e forma­zione professionale;

attivazione di percorsi di istruzione e formazione tecnico-professionale superiore da affiancare a quelli universitari;.

- interventi di forte innovazione della formazione professionale, sia quella ini­ziale sia quella per tutto il periodo lavorativo (ovviamente regionale nella acce­zione dell'art. 117 "istruzione e formazione professionale"); rilancio dei percorsi formativi in età adulta (con caratteristiche rispettose delle modalità di apprendere in età adulta).

Si devono cercare alcuni elementi condivisi da utilizzare come criteri del lavoro:

sullo sfondo c'è lo sviluppo dell'educazione formale da zero a 18/19 da porre in continuità e sinergia con quelle informale/non formale e con adeguate opportunità di formazione per tutta l'età adulta;

l'articolazione interna deve essere funzionale al rispetto dei bisogni formativi di ogni età e a segnare/sostenere le tappe di crescita (in particolare tra la preadolescenza e la prima adolescenza) senza forzature e salti;

- il problema dell'anticipo va ripensato alla radice: non si pone per la scuola dell'infanzia (il bambino che viene inserito nella scuola dell'infanzia prima dei tre anni non anticipa il curricolo 3-6 ma vede garantito il diritto a trovarsi in una condizione educativa adatta alla sua età). Gli eventuali "anticipi" devono essere pensati all'interno dell'intero percorso (3-18) dove tutti i soggetti coin­volti si assumono contestualmente le proprie responsabilità;

Il processo di innovazione si deve basare sul rilancio virtuoso dell'autonomia superando i rischi negativi, peraltro troppo praticati in questi anni, della sua trasformazione in decentramento burocratico (far riprodurre dalla burocrazia della singola scuola le malefatte della burocrazia centrale) e dello sviluppo della marginalità (attivazione "dei progetti" al posto "del progetto"). Si costruisce sulla distensione del curricolo di base: poter rispettare (pienamente fino ai 16 anni) i bisogni formativi caratteristici delle diverse età e dei singoli bambini e ragazzi.

È in questa visione sistemica la via da percorrere: attivare processi di trasformazione condivisi centrati sulla valorizzazione dell'autonomia e attorno all'obiet­tivo di garantire il rafforzamento di conoscenze e abilità di base nel primo che assicurino alle allieve e agli allievi effettive competenze in grado di accompa­gnarli tutti nel proseguimento dell'istruzione obbligatoria fino a 16 anni, può essere realizzata solo mediante un ripensamento in chiave unitaria e progressiva dell'intero percorso educativo che va dei 3 ai 19 anni.

OPPORTUNITÀ E RIFERIMENTI

Gli annuali convegni nazionali del Cidi (Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti) rappresentano ormai un appuntamento fisso che accompagna l'evolu­zione del dibattito sulla politica scolastica in Italia. È possibile recuperare materia­li, interventi, documenti sul sito www.cidi.it . Gli atti dei convegni sono stati pub­blicati dalle case editrici Zanichelli Loescher, B. Mondatori. Tra i più recenti: Cidi (a cura di Toselli S.), Una scuola per la cultura il lavoro, la democrazia, Provincia di Roma, Ed. Ciid, 2006.

INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE

AJELLO A. M., PONTECORVO C., Il curricolo. Teoria e pratica dell'innovazione, La nuova Italia, Milano, 2002.

BRUNER J., La cultura dell'educazione, Feltrinelli, Milano, 2000. DE MAURO T., La cultura degli italiani, Laterza, Bari, 2005.

FRANCHI G., SEGANTINI T., La scuola che non ho, La Nuova Italia , Firenze,1994. MARI G., (a cura di), Libertà, sviluppo lavoro, B.Mondatori, Milano, 2004. MONASTA A., Strumeirlúlid,r//ici per la formazione integrata, Carocci, Roma, 2005. Provincia di Torino, Più istruzione, più, formazione, meno dispersione, 2006. RECUZZONi M., Riforma mì'lla scuola in Italia, Franco Angeli, Milano,2000.

TIRITICCO M., Un passo avanti nella . formazione professionale, inserto allegato a "Notizie della Scuola" n. 7, 1-15 dicembre 2006, Tecnodid, Napoli.

VERTECCHI B., La scuola italiana da Casati a Berlinguer, Franco Angeli, Milano, 2001. VERTECCHI B., Un'altra idea di scuola, Roma, Anicia, 2003.

RISORSE NORMATIVE

- Legge 15 marzo 1997, n. 59: Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa.

- Decreto del Presidente della Repubblica, 8 marzo 1999, n. 275: Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche ai sensi del­l'ari. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59.

- Accordo quadro MIUR Mlps e Regioni 19 giugno 2003: concernente l'avvio di corsi triennali integrati post licenza media finalizzati al conseguimento di una qua­lifica professionale.

- Accordo quadro Stato-Regioni sancito in Conferenza Unificata 15 gennaio 2004: concernente la definizione degli standard formativi minimi in attuazione dell'Accordo Quadro sancito in Conferenza Unificata il 19 giugno 2003.

- Accordo quadro Stato-Regioni sancito in Conferenza Unificata 5 ottobre 2006: la definizione degli standard, formativi minimi relativi alle competenze tecnico­professionali, in attuazione dell'Accordo Quadro sancito in Conferenza Unificata il 19 giugno 2003.

- D.Lgs. 15 aprile 2005, n. 76: Definizione delle norme generali relative all'alternanza scuola-lavoro a norma dell'articolo 4 della legge 28 marzo 2003, n. 53. - D. Lgs. 17 ottobre 2005, n. 226: Norme generali e livelli essenziali delle prestazio­ni relativi al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e di formazione, a norma dell'art. 2 della legge 28 marzo 2003, n. 53.

- Legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007): Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (commi 622, 623, 624).

- D.L. 31 gennaio 2007, n. 7: Misure urgenti per la tutela del consumatore, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attività economiche e la nascita di nuove imprese (art. 13: misure urgenti in materia d'istruzione tecnico professionale e di valorizzazione dell'autonomia scolastica).

 

Note

1) Legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Legge Finanziaria 2007).

2 ) Intervista curata da Renza Bertuzzi e pubblicata su Gilda degli insegnanti - online il 29 gennaio 2007.

3 ) Comprende quel bagaglio di strumentazione culturale in grado di sostenere l'emancipazione di ciascun ragazzo, attraverso la cultura, sia dalla generazione che lo ha preceduto sia dalle ori­gini sociali da cui parte e comprende quindi la costruzione, attraverso la cultura, di quelle identità non totalizzanti, indispensabili per la convivenza civile basata sulla cittadinanza consapevole.


Da "Voci della scuola" a cura di G. Cerini e M. Spinosi, Tecnodid Editrice- 2007

 

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