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RELAZIONE a cura della dott.ssa Cristina Palmieri Facoltà di Scienze della formazione, Università degli Studi di Milano - Bicocca. 1. Cosa significa "progettare", cosa significa "progetto". A livello individuale, ma queste considerazioni potrebbero essere estese alle comunità, a "individui collettivi" quali le istituzioni, e nel nostro caso alle istituzioni scolastiche, progettare significa, molto banalmente, fermarsi, comprendere dove si è, chi si è, cosa si sta facendo, e capire quindi come andare avanti, cosa poter fare, chi poter essere. O meglio, capire quali possibilità abbiano senso per noi, in quale direzione sia significativo procedere, per quello che siamo, per quello che siamo stati e che potremmo essere. Più precisamente, significa: · fare i conti con: ciò che c'è, l'esistente, il presente; ciò che è stato, il passato, la storia, l'effettività; i vincoli che ci legano dal passato e nel presente; le relazioni che ci hanno formato, costituito, in cui esistiamo; · pensare e elaborare un orizzonte possibile, significativo, che ci rappresenti, che sia "a portata di mano", utopico ma non tanto da annullare qualunque azione: una linea guida che ci faccia intravedere percorsi esistenziali possibili; · decidere; · fare, farsi, procedere, formarsi.... Progettare, quando è riferito a noi, significa allora non tanto e non solo individuare delle cose da fare o proiettare la mente e la fantasia verso mete irraggiungibili, ma "prendersi in mano", dare un senso alla propria esistenza, individuando orizzonti che ne alimentino la formazione, concretamente, dinamicamente. Significa anche entrare in un'ottica in cui alla decisione presa possono non conseguire risultati certi, uguali a quelli che ci è piaciuto immaginare: le condizioni possono cambiare, i percorsi si possono fare accidentati, le occasioni possono far intravedere orizzonti diversi, o condurci a soste da cui è difficile ripartire. Progettare significa allora mettersi su una strada non lineare, intraprendere un percorso non garantito, proporsi una meta sensata e possibile, certo, ma sapendo che, dietro l'angolo, potrà cambiare, perché se ne prospetterà un'altra o perché saremo costretti a fermarci. L'unica cosa che sicuramente possiamo fare è essere consapevoli della strada che abbiamo fatto, ricordarci ogni passaggio, averne presente il senso. 2. Cosa significa progettare a scuola, per la scuola, nella scuola. Ora, a me sembra che la scuola intera, la scuola come istituzione, come idea, come singoli istituti, in questo momento più che mai sia chiamata a progettarsi. Lo richiama l'aria di riforma delle superiori, la partita dell'autonomia, voluta e pretesa ad ogni livello - dagli allievi, dai docenti, dai consigli di classe, dai collegi docenti, dai presidi, dagli istituti, dai plessi, ecc. -, le figure obiettivo che voi rappresentate, chiamate a progettare singoli aspetti della vita scolastica - siano il piano dell'offerta formativa, la formazione dei docenti, interventi o quant'altro sull'insuccesso scolastico, la pianificazione di possibili interventi in rete con il territorio. E forse mai come nella scuola, per la scuola, è tangibile la fatica della progettazione, forse anche la sua aleatorietà: il fatto che nasca sulla scorta di un malessere sempre meno tollerabile, la difficoltà di riprendere in mano la propria - ponderosa - storia istituzionale e di vita, l'incertezza nell'intravedere direzioni future e orizzonti possibili. Tuttavia è importante farlo, è importante comprendere chi si è, esplicitarlo, dirlo a sé e agli altri: per darsi un senso, per riappropriarsi del senso della propria esistenza, del proprio ruolo, delle proprie funzioni, del proprio vivere - perché di fatto si vive e si esiste - a scuola. Così, anche la scuola è chiamata a: · fare i conti con chi è stata (con la storia istituzionale: non quella scritta sui libri, ma quella iscritta nei muri delle classi, nelle carriere dei professori e dei maestri, nelle esperienze realizzate, nell'affannosa strada dei successi e degli insuccessi scolastici, nelle esperienze pilota, nelle relazioni con l'ambiente, con i servizi, con il territorio, nelle relazioni con il "programma", con il Ministero...); · comprendere "chi" è ora: individuare il suo specifico piano formativo a partire da ciò che ha fatto e da ciò che, con le risorse presenti, potrà fare, offrire, scoprire; · fare una ricognizione delle proprie risorse, appunto, e di quelle acquisibili; · esplicitare i propri vincoli, condizioni: sia a livello materiale, sia a livello istituzionale, sia a livello territoriale; · esplorare le proprie reti relazionali, individuando realisticamente i propri interlocutori, creando delle reti interistituzionali; · insomma, comprendere ciò che può e ciò che non può progettare, per sua storia e funzione, dove ciò che può progettare è essenzialmente un piano formativo in cui specificare quali apprendimenti disciplinari privilegiare (e per quali obiettivi e come), e quali apprendimenti non disciplinari assumere (metodi di studio - imparare ad imparare; norme di comportamento - regole organizzative). Tutto il resto - l'apprendimento individuale del singolo allievo, lo stile di insegnamento del singolo insegnante, l'influenza dell'ambiente o della sorte sul circuito apprendimento insegnamento - la scuola lo può solo prevedere probabilisticamente, ma non progettare. Come dire che la scuola è chiamata a fare prima di tutto un lavoro su di sé, sul suo passato, sulla memoria che continua a viverle dentro, per poter comprendere "chi" poter essere, riappropriarsi della propria funzione formativa, di un senso che oserei chiamare esistenziale. La scuola deve cioè interrogarsi sul proprio ruolo: provare a definire i propri connotati; verificare le proprie risorse, progettare la sua offerta formativa, gestire l'autonomia. Deve ridefinire i propri contorni e i propri ambiti di competenza istituzionale, rispetto al suo specifico campo di azione. Perché questo significa essere autonomi: assumersi il peso, e l'importanza, di quello che si è stati, e il rischio, ma anche il desiderio, di quello che si potrà essere, a partire da sé, da ineliminabili condizioni concrete effettive e da mandati sociali fondamentali. A partire da quelle strutture, da quelle leggi, da quel territorio, da quei docenti, da quei presidi, da quei ragazzi, da quelle famiglie, da quei bisogni. Non da altro. Questo significa "fare un progetto", non tanto "averlo": significa sì pensarlo, ma dentro ciò che in esso è presente, con coloro che ne sono coinvolti, ad ogni titolo. Significa pensare l'esperienza possibile a partire dall'esperienza concreta, e cominciare ad agire senza però smettere di pensare, di vedere, di riconoscere, di nominare, di comprendere quello che si sta facendo e in quali direzioni si sta virando. Altrimenti si rischia - come tante volte è successo e succede - di pensare un bel progetto e di avviarlo perdendone il polso: si rischia di avere un progetto astratto, e di realizzarne un altro, diverso, non pensato, non monitorato, concentrato nelle pratiche, e lasciato ad esse. Vien da dire che la grande scommessa della progettazione sta proprio nel mantenere in contatto dialogo ed esperienza, riflessione e pratica: problema annoso, ma fondamentale. Che è poi il problema - e il nucleo - della valutazione. La progettazione prende dunque le mosse dalla lettura dell'esperienza: da una lettura che, se vuole essere il principio di una dotazione di senso, deve in qualche modo restituire il senso dell'esperienza, passata e presente, decostruendola magari criticamente, con quello che a noi piace chiamare uno "sguardo clinico", in grado di aggirarsi tra le pieghe delle pratiche, nei non detti dei discorsi, per comprendere più profondamente quali possibilità, effettive, realistiche, concrete, in essa di volta in volta si schiudano. 3. Il progetto. Cosa significa "fare un progetto". Analisi e commento dei lucidi. Problematizzazione delle singole voci. Ma veniamo al progetto, a cosa significa, di fatto, "fare un progetto". Vi propongo di entrare nell'ossatura dell'attività di progettazione - che mi sembra sia plausibile per qualunque tipo di progetto, istituzionale, didattico, formativo, individualizzato... - cercando di problematizzarla secondo l'ottica su accennata: il progetto, di fatto, è la ricerca di un senso, di un possibile e praticabile orizzonte di senso. a) Lettura critica (e clinica) dell'esistente: collocazione istituzionale e analisi dei bisogni. La scuola definisce chi è recuperando innanzitutto il suo posto all'interno del più ampio mandato ministeriale e declinandolo a seconda delle effettive condizioni in cui vive (socio-economiche, territoriali, istituzionali, relazionali). Ogni progetto nasce inoltre da una attenta e complessa analisi dei bisogni che lo giustificano: se il bisogno generale può esser quello di dar senso all'esistente, occorre comprendere in cosa questa mancanza di senso, o irraggiungibilità, si manifesti. Occorre comprendere quali siano i bisogni effettivi, cosa significhino, a cosa rimandino nell'ipotesi di un intervento concertato e negoziato - con chi di essi è portatore più o meno consapevole - che tenga conto delle risorse disponibili. b) Individuazione delle linee progettuali: definizione degli obiettivi pedagogici generali (linee guida - orizzonti significativi, possibili e sensati per "quelle" effettive condizioni di partenza) e degli obiettivi specifici (modulazione bisogni soggettivi/oggettivi - risorse - rete relazionale - vincoli); c) Definizione critica dei contenuti, indicazione delle attività e delle metodologie: definizione delle concrete possibilità e dei piani di azione: cosa fare e come per avvicinarsi ai risultati attesi in funzione agli obiettivi prefissati. Si tratta di attività, contenuti, metodologie che richiedono di essere esplicitate, che sono oggetto di negoziazione (Il contratto formativo), che avviano un processo nel quale il progetto si concretizza e in cui possono essere modificate, dando adito ad altri percorsi progettuali e processuali possibili; d) Valutazione: coincide con tutta l'attività di progettazione: è valutazione ricorrente del processo, che consente un esame di realtà e rende possibile un riorientamento sensato dell'azione progettuale. In questo senso va oltre modelli quantitativi e qualitativi, annettendoli e superandoli. Richiede una gestione collegiale. Condizione perché l'attività di progettazione così illustrata si possa effettivamente connotare come riappropriazione e costruzione di senso del proprio agire (o esistere, scolasticamente parlando), è che sia gestita collegialmente: la progettazione, che è di fatto sempre valutazione, può trasformarsi in monitoraggio e in consapevolezza di quanto avviene solo nel momento in cui la realtà su cui si lavora, si interviene, si progetta, sia condivisa, osservata, progettata da tutti coloro che in essa si trovano a vivere, certo professionalmente, ma sicuramente gran parte del loro tempo. Certo, la collegialità richiede ulteriori sforzi progettuali: richiede organizzazione, norme comportamentali e regole di comunicazione e di interazione che siano in grado al tempo stesso di salvaguardare l'autonomia del singolo insegnante - del singolo genitore, ragazzo, ente, interlocutore territoriale - e di creare linguaggi, ruoli, posizioni, funzioni capaci di lavorare ad uno stesso oggetto mettendo in comune punti di vista differenti, specifici. Questa gestione condivisa, negoziata, che richiede la tessitura di reti di raccordo territoriale e di relazioni multiprofessionali e multidisciplinari all'interno della scuola, sembra infatti essere una - se non la sola . importante garanzia perché il progetto non si trasformi in qualcosa di astrattamente utopico, lasciando il campo a pratiche portatrici di un progetto silente e latente che magari rema verso altre direzioni: perché si possa pensare e realizzare quell'osmosi tra pensiero ed esperienza in grado di restituire alla prassi un orientamento formativo intenzionalmente pensato, a partire dalla complessità in cui essa si dà. 4. Note sulla collegialità. È la titolare del progetto formativo, essenziale per conferire alla scuola requisiti di organicità e di coordinamento, per consentire e garantire la qualità del progetto formativo e per assumersi la responsabilità del successo scolastico, senza scaricarla sugli studenti, ovviamente per quella fetta di disagio scolastico su cui la scuola stessa si può interrogare e può intervenire. È una precisa esigenza funzionale della scuola, necessaria per comprendere le specifiche competenze della scuola, rispetto al suo specifico ambito di intervento, per renderla in grado di dialogare, negoziare, collaborare con agenzie territoriali extrascolastiche, per dotarla di un'organizzazione interna che consenta un approccio professionale tra insegnanti, genitori, studenti, presidi... Il coordinamento collegiale si pone come un servizio composito ma unitario, in grado di costruire un Progetto Formativo coerente ma complesso e sfaccettato, tale da ricomprendere le singole differenze e specificità (disciplinari e metodologiche, per esempio. È in grado di motivare o di rimotivare l'insegnante, non lasciandolo solo di fronte a problemi didattico-educativi, a scelte formative, a esigenze di ricerca e formazione disciplinare o metodologica. La collegialità è complementare all'individualità, arricchendo le modalità di lavoro individuale e non ponendosi come alternativa all'individualità; è esplicita, nel senso che garantisce la circolazione sulle strategie individuali e consente di assumere decisioni concordate; è vincolante, ovvero impegna tutti al rispetto delle decisioni assunte. È fondamentale perché la scuola si rivolge a un unico destinatario, perché evita la parcellizzazione indotta da prestazioni specialistiche, perché rappresenta il modo di assumere l'autonomia e di progettare l'offerta formativa, rassicurando gli insegnanti sulle decisioni e sulle scelte, e strutturando per gli studenti un'offerta formativa organica. Per strutturare l'offerta formativa, lavora su due oggetti: disciplinare - come terreno di continua ricerca metodologica e rielaborazione - da parte del Gruppo Disciplinare (il cui compito è la Ricerca Metodologica Disciplinare - valore formativo della singola disciplina, definizione dei contenuti di insegnamento della singola scuola); non disciplinare - metodologico strumentale e norme comportamentali - da parte del Consiglio di Classe (il cui compito è la Diagnosi Sistematica Condivisa della classe - raccordo disciplinare, obiettivi transdisciplinari, competenze trasversali, metodologiche, relazionali). I due gruppi sono funzionali l'uno all'altro, si riorientano e strutturano il progetto formativo. L'iniziativa del singolo insegnante si pone tra questi due organi collegiali, dal cui intreccio e lavoro trae alimento: sintetizza nella sua azione le indicazioni disciplinari e non disciplinari. In questo lavoro, si ribadisce comunque la centralità delle discipline, il cui valore formativo e soprattutto l'individuazione dei nuclei fondanti, costituisce lo specifico contributo della scuola nel processo formativo delle persone e l'offerta formativa - per quella disciplina - proposta dalla scuola (quella scuola). |