Realtà virtuale e dintorni


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Gli orizzonti della didattica nella realtà virtuale

Realtà virtuale e dintorni

Maria Di Lieto


Storicamente l'uomo ha sempre interagito con una realtà virtuale, un mondo simbolico prodotto dalla mente umana proiettato sullo "schermo multimediale" della propria immaginazione e sempre più rafforzato dalle diverse tecniche di comunicazione.
Sia che si trovino nelle menti attraverso procedimenti mnemotecnici, o nel bronzo o nell'argilla attraverso l'arte del fabbro o del vasaio, le iscrizioni di ogni ordine, ed in primo luogo la scrittura, hanno giocato un ruolo di sigilli di irreversibilità. Esse obbligano il tempo a non fluire che in un senso dando origine alla storia, o piuttosto a delle storie con ritmi diversi. La scrittura, intercalando una durata tra l'emissione e la ricezione del messaggio, instaura una distanza comunicativa che rende il reale virtuale.
Con il progredire della civiltà gli oggetti reali hanno subito un graduale processo di de-realizzazione che li ha condotti ad un progressivo disancoraggio da ogni referente concreto e al loro dissolvimento in un simbolo, in un'immagine rappresentativa. La funzionalità dell'oggetto, dunque, "è legata alla possibilità (...) di diventare elemento di gioco, di combinazione, di calcolo in un sistema universale di segni" (J. Baudrillard, 1968, p. 89). I sistemi simbolici rappresentano così il prodotto di una "tattica simulatoria" (A. Piromallo Gambardella, 1993, p. 62).
E' evidente, allora, che la creazione di diversi sistemi di rappresentazione e manipolazione simbolica ha segnato le tappe più significative dell'avventura intellettuale umana. Nell'era dell'oralità primaria, quando non si disponeva ancora di alcuna tecnica di registrazione esterna alla mente umana, il collettivo sociale faceva affidamento solo sulla propria memoria. In seguito la società storica, fondata sulla scrittura (manoscritta e tipografica), si è caratterizzata prima per una semioggettivazione del ricordo, poi in una progressiva disgiunzione della conoscenza dall'identità delle persone, fino alla determinazione di un sistema simbolico oggettivato.
Nel mondo delle telecomunicazioni e dell'informatica, si sono elaborate ancora nuove forme di rappresentazione e comunicazione. Le relazioni tra gli uomini, il lavoro, l'intelligenza stessa dipendono sempre più intimamente dalla metamorfosi incessante dei dispositivi tecnici informazionali di ogni genere. I processi di scrittura, lettura, visione, udito, apprendimento, sono manipolati da uno sviluppo informatico che tende a rendere sempre più simbolico (virtuale) l'oggetto della rappresentazione.
Se già a livello di sistema di oggetti, l'immagine simbolica, sganciata sempre più da ogni referente immediato, sembra dispiegarsi in una vuota trasparenza flessibile al poliedrico gioco delle metamorfosi tecniche, con la diffusione del cinema e del video tale processo di simbolizzazione si risolve in una duplicazione del mondo. Si passa dunque, nel processo di rappresentazione, da una fase di simbolizzazione ad una fase di iper-simbolizzazione in cui "l'immagine svolge fino in fondo il suo ruolo di simulacro" contribuendo a rendere sempre più sfumato il confine tra reale ed immaginario, tra attuale e virtuale (cfr. A. Piromallo Gambardella, 1993, p. 62).
E' evidente dunque l'inquietante e spettacolare passaggio da una tecnica di simbolizzazione ad una tecnica di ipersimbolizzazione fino alla navigazione (walk-throught) nell'ipersimbolizzazione, fin dove il reale, attraverso la tecnologia digitale, si riflette "materializzandosi" in una realtà virtuale.
E' evidente, dunque, come l'ambiente comunicativo multimediale, emergente dall'attuale dimensione planetaria di civilizzazione elettronica ed informatica, sta suscitando un rinnovato interesse sulle questioni, già lungamente dibattute, inerenti il rapporto tra la realtà e le sue rappresentazioni.
Senza dubbio, un forte impulso a tali riflessioni deriva innanzitutto dai sorprendenti sviluppi raggiunti dalla tecnologia digitale nella trasformazione delle informazioni e nella produzione iconica, nonché dalle aspettative di ulteriori applicazioni in questo settore. Tuttavia gli interrogativi sollevati e le opportunità che ne scaturiscono travalicano ampiamente i confini della mera tecnologia. Su questo nodo problematico, infatti, convergono molteplici contributi disciplinari, in seguito ai quali si possono verificare incisive variazioni sistematiche in numerosi settori, da quello filosofico-epistemologico a quello psico-pedagogico e didattico, a quello della comunicazione e della storia dell'arte.
Quella attuale è stata definita una civiltà delle immagini. Si può accettare questa definizione anche se, a ben considerare, tutte le civiltà sono state civiltà delle immagini. Tale definizione sarebbe più accettabile se aggiungessimo che la nostra è una civiltà in cui un particolare tipo di immagini, le immagini trompe-l'oeil , raggiungono, grazie al contributo di nuove tecnologie di produzione e diffusione iconica, una prodigiosa resa veristica. Ciò appare chiaro con l'invenzione della fotografia e poi, in modo più evidente, con quella della cinematografia e della televisione. La "conferma più precisa però viene dall'avvento della grafica computerizzata e dalle sue recenti evoluzioni nelle applicazioni di realtà virtuale" (T. Maldonado, 1993, p. 48).
La realtà virtuale è un termine ormai di moda ma ambiguo, aperto a diverse interpretazioni, sia scientifiche che filosofiche. Si tratta spesso di un interesse sensazionalista che fa nascere nelle persone false aspettative d'immediata applicazione quando, a dire il vero, si è appena agli inizi di ricerche di sicuro affascinanti, ma nelle quali vi sono ancora molti problemi, non tanto di simulazione digitale quanto di "applicazione reale".
Dal punto di vista tecnico-scientifico possiamo, genericamente, indicare una definizione forte e una debole di realtà virtuale.
In senso forte indichiamo per realtà virtuale quella particolare tipologia di realtà simulata in cui l'osservatore (in questo caso spettatore-attore-operatore) può inserirsi interattivamente, con il supporto di particolari dispositivi ottico-tattili-acustici, in un ambiente tridimensionale generato dal computer. In pratica essa allude principalmente alla realtà virtuale di tipo " immersivo-inclusivo " (immersive-inclusive), ossia una realtà in cui l'utente vede e interagisce dall'interno di uno spazio tridimensionale generato dal sistema informatico. Tale definizione può comprendere anche un tipo di realtà chiamato di " terza persona " (third person) in cui l'utente vede dall'esterno la propria immagine che si muove in un mondo tridimensionale.
Orientandoci sempre nella prospettiva tecnico-scientifica, vi è poi una definizione considerata più debole di realtà virtuale. Ci si riferisce alla d esktop , cioè a quella dimensione della realtà virtuale non completamente immersiva realizzata tramite il tradizionale computer da tavolo, in cui l'utente interagisce attraverso dispositivi (joystick o space-mouse ecc.) con l'ambiente virtuale allo scopo di simulare un proprio coinvolgimento dinamico nello spazio rappresentato nel video (cfr. T. Maldonado, 1993). "Il mondo virtuale è composto da elementi di grafica e di suono tridimensionali e non è preregistrato: viene generato dal computer in tempo reale. L'utente può attraversare il mondo virtuale e interagire con gli oggetti in esso contenuti: in base alle azioni dell'utente, ovvero allo sguardo, alla direzione del movimento e agli oggetti manipolati, le immagini rispondono in modo coerente. Le esperienze di realtà più efficaci pongono l'utente in tale vicinanza con i dati da far dimenticare facilmente il mondo reale" (L. Jacobson, 1994, p. IX).
La realtà virtuale, originariamente, nasce come una tecnologia "imitativa" per consentire, a scopo di addestramento militare (simulatori di volo, simulatori di combattimento ecc.), di operare senso-motoriamente, in maniera più reale possibile, in ambienti e compiti difficilmente accessibili nella realtà (perché pericolosi e/o troppo costosi). Per poter mettere a disposizione della percezione e azione umana il mondo reale senza che il soggetto fosse fisicamente presente in esso, la ricerca sulla tecnologia del virtuale si è impegnata a costruire una "copia" del reale il più fedele possibile al reale stesso, sia per quanto riguarda la percezione sia per quanto attiene la risposta dell'ambiente virtuale all'azione motoria del soggetto che interagisce con esso.
La realtà virtuale, dunque, attinge a tutto il patrimonio di sperimentazione tecnologica che nel corso degli ultimi venti anni ha portato ad ottenere, in seguito ai contributi della grafica computerizzata e dell'intelligenza artificiale, un alto livello di simulazione ed interattività, e della telematica, possibilità di comunicazione a distanza molto efficaci.
L'espressione realtà virtuale è quindi usata variamente per definire di volta in volta o l'esperienza ad immersione sensoriale del tipo telepresenza, o le sue componenti come il casco, il guanto, ecc., ovvero la tecnologia in se stessa o, ancora le sue stesse diverse applicazioni.
E' stupefacente considerare come lo sviluppo tecnologico rappresenti l'evoluzione di elementi protesici ed estensivi del corpo e della mente dell'uomo che rafforzano continuamente un sistema psico-tecnologico quale "brainframe" di una tecno-psicologia (cfr. D. de Kerckhove, 1991).
Nella prospettiva delle scienze umane si propone, invece, di considerare la realtà virtuale come un nuovo "spazio" di simulazione di significati e sensazioni del reale "vissute" collettivamente. Storicamente ogni nuova dimensione simbolica (virtuale) contiene in potenza un diverso modo di interpretare il reale. Il virtuale è uno stato del reale, e non il contrario di esso. In quanto tale il virtuale è potenzialmente in grado di strutturare le nostre Weltanschauungen e di proporre una nuovo equilibrio di rapporti tra il reale e le sue forme di rappresentazione.
La realtà virtuale, dunque, non è solo uno "spazio" per i nuovi colonizzatori di reti informatiche, ma è anche lo "spazio" del dispiegamento di una nuova maniera di essere al mondo, di pensare il mondo e di agire su di esso.
Tuffando la propria mente o il proprio corpo nella fluidità delle immagini o informazioni interconnesse si percepisce, in un medesimo movimento, non solo ciò che si è, ma anche l'estensione delle sensazioni e dei significati altri e possibili.
Il sapere informatizzato si allontana dalla memoria incarnata oggettivandosi al punto tale da non considerare più la verità una questione fondamentale, a profitto dell'operatività e della velocità. La nozione di tempo reale riassume bene lo spirito dell'informatica: la condensazione sul presente, sull'operazione in corso. La conoscenza di tipo operativo realizzata dall'informatica è in tempo reale. Per analogia con il tempo autoreferenziale dell'oralità primaria ed al tempo lineare delle società storiche, si potrebbe parlare di una specie di implosione cronologica, di un tempo puntuale instaurato dalle reti informatiche. Si tratta di un ritorno al divenire senza traccia, imprecisabile, delle società senza scrittura? Non proprio, in quanto il primo divenire proveniva da una fonte immemorabile, il secondo sembra generarsi da sé stesso nell'istante, nutrendosi del flusso inesauribile dei dati numerici. Il divenire dell'oralità primaria si snodava in tempi lunghissimi, quello dell'informatica è velocissimo, è la velocità medesima.
Il tempo puntuale annuncerebbe non la fine dell'avventura umana, ma la sua entrata in un ritmo nuovo che non sarebbe più quello della storia. "La nozione di storia direzionale, dotata di un senso, progressista o addirittura comprensibile, è molto estranea alle principali correnti del pensiero del nostro tempo" (G. Acone, 1994, pp. 108-109). Come scrive Baudrillard, "si può supporre che l'accelerazione della modernità, tecnica, evenemenziale, mediatica, l'accelerazione di tutti gli scambi, economici, politici, sessuali, ci abbia portato a una velocità di liberazione tale da permetterci di uscire dalla sfera referenziale del reale e della storia" (J. Baudrillard, 1993, p. 9). Lo stato dell'umanità globale, perseguito dall'uomo della storia per secoli secondo modi diversi (imperi, religioni universalistiche, rivoluzioni socialiste), è oggi vissuto dall'uomo informatico-mediatico. L'immediatezza degli effetti dell'azione e la condivisione del medesimo contesto da parte dei protagonisti della comunicazione avvicinano i media elettronici all'oralità. Ritroviamo così, per vie differenti, alcune intuizioni di McLuhan sul "villaggio globale". "Il passaggio dai media tradizionali ai new media si caratterizza soprattutto per una graduale perdita di 'spessore' di contenuti, per una progressiva 'rarefazione' del tessuto testuale e un inevitabile 'disancoramento' dell'immagine dalla narrazione in senso forte prima, e da qualsiasi referente reale poi" ( A. Piromallo Gambardella, 1993 p. 63). L'orizzonte della realtà virtuale pur apportando un nuovo "regime di visibilità", rappresenta l'inevitabile punto di arrivo di un lungo iter che si svolge attraverso una rarefazione crescente del "corpo" dell'immagine e un suo uso soprattutto "mentale".
"Le immagini sintetiche fatte di elettroni e plastica sembreranno sufficientemente reali. Ma, in ultima analisi, esse non saranno mai niente di più di un miraggio elettronico" (S. Austakalnis, D. Blatner, 1995, p. 43).
Si tratta, a questo punto, di valutare il "valore conoscitivo dell'immaginale" (T. Maldonado, 1993, p. 57), ossia di capire se l'interazione diretta con una realtà virtuale, "materializzata" dalla tecnologia digitale, sia veramente in grado di arricchire l'esperienza conoscitiva individuale o collettiva, anzi di fornire più esperienza di quella che si sarebbe potuta raccogliere nel rapporto con una realtà, diciamo più empirica.


Le tecnologie delle "intelligenze multiple"


Se consideriamo la realtà virtuale una nuova tecnologia di rappresentazione simbolica, lo spazio comunicativo emergente dall'interazione tra i sistemi cognitivi di produzione simbolica e i più sofisticati strumenti tecnologici di elaborazione delle informazione, allora dobbiamo collocare il campo di analisi della realtà virtuale nel punto di intersezione tra i processi della cognizione e le nuove tecnologie digitali.
Il taglio metodologico dell'analisi comporta, innanzitutto, un riferimento esplicito da un lato alla riflessione sulla natura dei processi di apprendimento, dall'altro ad un profilo evolutivo delle tecnologie della comunicazione attraverso le quali l'uomo rimodella la sua stessa conoscenza e la sua stessa attività simbolica.
A tal proposito si parla di ecologia cognitiva proprio per sottolineare la considerazione per la quale non si può descrivere il funzionamento della mente in termini strutturali, o matematizzati, senza far riferimento ad un tipo di cognitivismo dinamico.
Infatti l'ambiente non è soltanto il mondo che la mente prende ad oggetto della sua attività percettivo-rappresentativa. L'ambiente è anche il mondo nel quale la mente si plasma e che, attraverso le tecnologie della comunicazione, modella e trasforma le modalità operative del pensiero.
La maggior parte delle tecnologie della comunicazione giocano un ruolo di tecnologie intellettuali, riorganizzano più o meno consapevolmente la visione del mondo dei loro utenti e modificano i loro processi mentali.
Per quanto riguarda la riflessione sui processi di apprendimento bisogna considerare un problema a cui solo negli ultimi anni si è prestata sufficiente attenzione: che cosa vuol dire una "mente che apprende".
Nell'affermare che le tecnologie della comunicazione si innestano sull'operare cognitivo umano, vale a dire sull'acquisizione, elaborazione e comunicazione delle conoscenze, si dà, più o meno implicitamente, al concetto di mente un'accezione riduttiva.
Si tende cioè ad identificare i processi di conoscenza e quindi di apprendimento in un solo determinato modo di funzionamento, monomediale, della mente: il modo simbolico-razionale .
Questa identificazione proviene da una lunga e radicata tradizione ideologico-culturale la quale, dopo aver generato la dicotomia tra mente e corpo, ha affermato nella mente il predominio del pensiero logico-razionale cosciente sul pensiero analogico-emozionale. Non a caso, in tal senso, anche le assunzioni dell'Intelligenza Artificiale rispecchiano questa concezione.
La psicologia cognitiva moderna (da Piaget in poi e attraverso H. Gardner) ha disegnato invece un quadro diverso e ben più articolato dei percorsi cognitivi.
Infatti il merito che va dall'epistemologia genetica piagetiana alla prospettiva biologica della cognizione di H. Maturana e F. J. Varela è la messa in evidenza che, nei compiti di acquisizione, elaborazione e scambio di conoscenze, l'apparato cognitivo umano funziona in una dimensione "multimediale", non solo secondo la modalità simbolico-razionale, ma anche e soprattutto secondo una modalità percettivo-motoria .
I casi più comuni dell'attivazione di tale abilità è l'imparare ad andare in bicicletta, accendere il fuoco o imparare a lavorare il metallo o il ferro.
In tali casi si adopera in maniera primaria la percezione (visiva, tattile, cinestetica), ma soprattutto la si adopera in stretta connessione con la motricità: si "conoscono" gli oggetti in quanto li si percepisce, ma soprattutto quando ci si rappresenta l'oggetto in modi diversi con il variare dell'esperienza percettiva, cioè in seguito alla reazione dell'oggetto in funzione dell'azione motoria del soggetto.
Dal punto di vista ontogenetico e filogenetico, la modalità conoscitiva e di apprendimento percettivo-motoria è sicuramente primaria rispetto a quella simbolico-razionale.
Non a caso tutto ciò che il bambino apprende e conosce nei primi anni di vita avviene attraverso il modo percettivo-motorio. Tale modalità di conoscenza si amplifica con lo sviluppo della capacità di simbolizzazione attraverso cui il bambino categorizza il mondo fisico e sociale elaborando funzionali e robuste, sia pure intuitive, teorie di conoscenza.
Come mai la nostra tradizione culturale ha progressivamente identificato la trasmissione e l'acquisizione di conoscenze con lo "studio" simbolico a scapito del secondo, l'operare conoscitivo percettivo-motorio, anticamente sviluppato con forme di apprendistato?
I fattori sono molteplici, ma due, relativi all'operare percettivo-motorio, sono particolarmente rilevanti. Il primo riguarda una limitazione intrinseca all'operare percettivo-motorio stesso: esso può applicarsi solo a ciò che cade sotto i sensi (percettivo) e su cui possiamo operare con la nostra azione corporea (motorio). In tal modo si possono conoscere solo oggetti percepibili fisicamente.
La seconda limitazione è invece più estrinseca: perché si possa operare in modo percettivo-motorio è necessario che il soggetto si trovi compresente all'oggetto e al maestro.
E' soprattutto questo secondo aspetto che nella nostra cultura è responsabile dell'ipertrofia dell'apprendimento di tipo simbolico-ricostruttivo rispetto a quello percettivo motorio. Infatti se ciò che si impara guardando ed agendo si può apprendere leggendone anche una descrizione, si possono imparare più cose e non è più indispensabile la compresenza fisica dell'oggetto e del maestro.
Intorno al XVI sec., con la diffusione del libro stampato, avviene una riformulazione di ciò che si intende per conoscenza e delle tecniche cognitive di apprendimento. A stimolare le abilità cognitive di apprendimento simbolico-razionale si sviluppano, di conseguenza, le tecnologie in grado di supportare il progressivo processo di esteriorizzazione simbolica della cultura.
Dalla scrittura alla stampa alle reti di computer, l'uomo si impegna a potenziare i supporti strumentali in grado di rappresentare sempre più realisticamente il mondi virtuali delle proprie immagini interiorizzate.
In tal senso si distinguono le tradizionali tecnologie della comunicazione, connotate da una scarsa interattività e per la prevalente attivazione dei processi logico-razionali, dalle nuove tecnologie della comunicazione caratterizzate invece per la loro progressiva tendenza a far interagire l'operare simbolico-ricostruttivo con quello percettivo-motorio. Infatti i sistemi multimediali e ipermediali, la computer grafica e, più di tutti, la realtà virtuale, tendono a rendere l'immagine via via più simile alla percezione reale, ma soprattutto permettono all'utente di interagire sugli oggetti presentati. Essi consentono cioè proprio quell'osservazione dei risultati in funzione della propria azione che rappresenta il fulcro della conoscenza percettivo-motoria.
Tra le nuove tecnologie della comunicazione, è proprio la realtà virtuale che cerca di riprodurre le condizioni primarie dell'operare conoscitivo, l'operare percettivo-motorio.
Ciò avviene non soltanto nel rappresentare immagini realistiche che permettano un angolo visuale, la profondità di campo o la visione stereoscopica, ma soprattutto nel rendere realistica, cioè in "tempo reale" la risposta del mondo all'azione del soggetto. Il mondo virtuale si ricrea secondo i movimenti del soggetto immerso il quale ha la possibilità di confrontare diversi ambienti e prospettive e di ampliare gli orizzonti della sua esperienza personale.
La realtà virtuale non solo permette di superare la limitazione estrinseca dell'operare percettivo-motorio, dove l'operare conoscitivo era limitato alla compresenza dell'oggetto fisico e del soggetto, ma nella riproduzione sintetica dell'oggetto va oltre rendendo accessibili all'operare percettivo-motorio dell'uomo quei domini di conoscenza che finora erano solo dell'operare simbolico-ricostruttivo.
La riproduzione sintetica degli oggetti, la risposta in tempo reale all'azione motoria del soggetto, estendono l'operare percettivo-motorio dell'uomo ad oggetti che non esistono realmente ma sono generati dalla memoria del computer, sono quindi virtuali.
La realtà virtuale, quindi, non si costituisce più solo come un mondo di simboli, ma anche come un mondo di "oggetti" simulati, resi percepibili dai dispositivi visivi-audio-tattili della tecnologia informatica.
La realtà virtuale si presenta non solo quale mezzo di proiezione elettronica del nostro sistema simbolico, ma soprattutto quale prolungamento elettronico del tatto. Abbiamo aggiunto al nostro pensiero la " mano della mente " (cfr D. de Kerckhove, 1993, p. 101). Penetrando lo schermo con il Data Glove, la nostra mano si trasforma in una metafora tecnica, rendendo tangibili le cose che prima erano solo visibili. Nella realtà virtuale possiamo toccare ed interagire con il contenuto del nostro pensiero. Attraverso la manipolazione tridimensionale dell'oggetto in tempo reale, pensiero ed elaborazione stanno ormai diventando un'unica cosa.
La tecnologia digitale rappresenta la possibilità di interazione simultanea dei sensi in una realtà virtuale in cui il "tenersi in contatto" o "entrare in contatto" con oggetti o simboli è un incontro dei sensi ricco di emozioni. Lo stesso H. Rheingold (1993) ritiene che la visualizzazione tridimensionale potrebbe essere il solo modo di superare la complessità di certi campi scientifico-tecnologici, come quello ad esempio dell'innovazione molecolare.
Si rende così possibile la costruzione di una realtà virtuale che nonostante la sua natura digitale ha direttamente a che fare con le istanze riproduttive e rappresentative della nostra mente, non solo logico/razionali ma anche analogico/figurative (cfr. G. Minichiello, 1994).
Si propone qui di considerare la realtà virtuale un ambiente comunicativo ipermediale/interattivo che amplifica le capacità cognitive globali, potenziando quelle che H. Gardner definisce le " intelligenze multiple " del nostro pensiero. In tale prospettiva tecnologica si realizza anche il vecchio sogno dell'attivismo pedagogico dove il fare è sinonimo di pensare.
La realtà virtuale, quale nuova tecnologia della comunicazione, si rivela una tecnologia della formazione qualora sia gestita da un esperto che non sia né un semplice tecnico che implementa un programma, né da un puro specialista delle scienze umane, ma sia un " ingegnere della conoscenza " che sia in grado di trasformare il sapere in "conoscenze utilizzabili" (cfr P. Lèvy, 1995).
L'interazione con oggetti, immagini simulate consente una presentazione dei contenuti di conoscenza come un gioco di confronto e verifica con le situazioni reali e viceversa favorendo, così, una reale comprensione secondo gli stili di apprendimento individuali ad ogni soggetto, il quale ri-crea i suoi percorsi formativi nella realtà virtuale.


Naturalizzare la didattica


L'evoluzione tecnologica degli anni '90 sembra che stia finalmente delineando un punto, se non di connessione almeno di riflessione, sui rapporti tra scienze dell'informazione e scienze della formazione.
Da un lato l'affermazione in campo commerciale di Windows, prima come ambiente operativo e poi come sistema operativo, sancisce una svolta.
Dall'altro, nel mondo del lavoro e in quello della scuola si diffondono le nuove tecnologie atte a supportare nuove metodologie per organizzare, reperire e presentare l'informazione con modalità più intuitive e flessibili, sempre più vicine al modo di operare dell'uomo. Si afferma infatti una progressiva variazione dei paradigmi di comunicazione uomo-macchina che, con metafore e interfacce grafiche, rendono più naturale qualsiasi contenuto comunicativo.
La naturalizzazione della comunicazione nel mondo del lavoro è già avvenuta: a quando la naturalizzazione della didattica nella scuola?
La scuola, rispetto alle nuove tecnologie, ha "preso" quanto ha saputo cogliere e potuto applicare nei diversi contesti educativi. Di fatto le scuole "possiedono" sistemi audiovisivi o informatici, ma che non utilizzano, soprattutto per questioni ancora scoperte sulle nuove tecnologie per quanto riguarda:
- la loro "efficacia" sullo sviluppo cognitivo;
- la loro contestuale polivalenza nei vari ambiti disciplinari;
- l'unitarietà del loro inserimento nel curriculum scolastico.
L'ipotesi di fondo da cui risollevare le questioni sopraindicate potrebbe riferirsi alla stretta analogia tra processi cognitivi, analogici e associativi e la navigazione ipermediale o virtuale.
Possiamo considerare l'ipertesto la risposta adattiva dell'uomo alla crescente mole di informazioni a cui è sottoposto e che lo inducono a ricorrere ad un uso sempre più intensivo dell'emisfero destro, immaginativo/inventivo/associativo, allo scopo di organizzare la conoscenza assimilata in costante co-evoluzione mediante l'uso di strutture associative e configurazionali. Come sosteneva già lo stesso McLuhan, il sovraccarico di informazioni conduce al riconoscimento delle configurazioni (cfr D. de Kerckhove, A. A. Iannucci, 1984). L'ipertesto è dunque una tecnologia intellettuale e si configura quale interfaccia tra i modelli cognitivi di elaborazione reticolare della conoscenza e gli strumenti tecnici di produzione e rappresentazione delle informazioni.
In seguito allo sviluppo della multimedialità gli ipertesti sono divenuti degli ipermedia, ovvero degli ipertesti multimediali (HyM). E' interessante notare che i legami, invece di essere cognitivi, sono tra rappresentazioni multimediali, quali il testo, le immagini, i suoni. Quindi la natura dei legami è descritta, oltre che dai vari principi di connessione logica (induzione, analogia, ecc.) presenti negli ipertesti cognitivi, anche dalle varie modalità di connessione tecnologica quali il suono collegato ad un testo il quale si collega ad un'immagine ecc. Dalle connessioni tecnologiche si amplificano le connessioni logiche individuali.
L'ipermedia è la configurazione di un'architettura cognitiva e tecnologica che guida e incanala gli sviluppi e l'evoluzione dei pensieri e dei ragionamenti di coloro che attraversano la struttura ipermediale. Si intravede, dunque, una corrispondenza tra mappe cognitive-concettuali e mappe tecnologiche. Pertanto si ritiene che sia possibile contribuire, attraverso gli ipermedia e la realtà virtuale, a naturalizzare il processo di insegnamento/apprendimento facendo riferimento proprio a questi ambienti artefatti (fatti ad arte per).
Ogni insegnante, di fronte ai problemi che gli alunni incontrano nell'apprendere, elabora strategie diverse per individualizzare il suo insegnamento e favorire il superamento delle difficoltà, ed evitare la conseguente demotivazione e dispersione scolastica.
Ma un docente, nel suo operare, non ha di fronte delle tabulae rasae : gli alunni rappresentano ciascuno un mondo di teorie intuitive che spesso non si integrano con le teorie scolastiche, le quali spesso risultano di difficile comprensione sia per le difficoltà intrinseche alla struttura logica della disciplina stessa, sia per una metodologia didattica inefficace a gestirne la complessità concettuale.
Pertanto le "materie" scolastiche appaiono per lo più come insiemi impoveriti e cristallizzati di diverse discipline: i concetti risultano slegati, mancano i "link" tra i diversi nuclei concettuali e, di conseguenza, la struttura complessiva della disciplina emerge con difficoltà.
Compito della scuola è, dunque, riscoprire, valorizzare le valenze culturali, formative e orientative delle discipline. Nell'analisi di un nucleo concettuale, il docente riconosce il contributo formativo che una disciplina offre, sceglie gli elementi significativi, i concetti chiave, i metodi, le operazioni, i linguaggi all'interno del curriculum in cui si progettano nuclei operativi. Il docente dunque, senza pretesa di esaustività, determina i rapporti qualitativi e quantitativi fra la disciplina e una materia, fra le materie e il curriculum, fra le parti di esse nelle unità didattiche.
"Saltando" velocemente da un'ipermedialità "raccontata" ad una ipermedialità praticata, si fa qui brevemente riferimento, per la realizzazione di prodotti didattici, a sistemi autore ( ToolBook di Asymetrix, LinkWay di IBM e Hypercard di Apple, nonché numerosi altri pacchetti proposti dal crescente mondo dell'editoria elettronica) che risultano molto semplici da usare per un primo approccio alla progettazione ipermediale in quanto ambienti specializzati per la costruzione di ipertesti e ipermedia, con alcune routines di base precostituite e una discreta libreria di oggetti. Inoltre tali sistemi sono "aperti" cioè rivelano un linguaggio di programmazione evoluto, orientato agli oggetti, che consente una maggiore libertà di progettazione e di utilizzazione. Queste caratteristiche li rendono adatti sia alle necessità degli esperti dei contenuti che dei progettisti software, e il lavoro può procedere in modo modulare e interattivo. I primi possono inserire testi e immagini, tenendo sotto controllo la coerenza del tutto, i secondi hanno a disposizione un linguaggio autore che consente di implementare anche funzioni complesse.
Dal punto di vista logico-funzionale è opportuno realizzare il prodotto didattico ipermediale con una "struttura mista" e componenti "aperte", in cui la semplicità di brevi percorsi lineari si unisce ai vantaggi della "complessità" reticolare delle discipline, e dove si riservano degli "spazi aperti" all'inserimento di nuovi elementi prodotti dalla creatività degli utenti.
L'ipermedia, consentendo percorsi non-lineari, offre la possibilità agli studenti e/o utenti di "navigare", secondo la propria rete di conoscenze, nella rete concettuale più generale della disciplina avvicinandosi gradualmente ai concetti più rigidamente strutturati.
L'ambiente ipermediale e di realtà virtuale si presenta, allora, come metodologia in grado di ridurre e gestire la complessità del processo di insegnamento/apprendimento: un sistema di organizzazione delle conoscenze e di "anticipatori organizzati" delle stesse, che consente di ancorare il nuovo a ciò che già si conosce, diventando strumento di metaconoscenza. In tale prospettiva il lettore/autore può riconsiderare le proprie conoscenze e le proprie esperienze per riaggregarle ed accrescerle senza disperderle.
La rete disciplinare può strutturarsi in collegamenti non solo concettuali, ma anche informatici che ne possono mutare profondamente la didattica:
- l'accesso ad ogni tipo di informazione tramite le reti telematiche e tutte le potenzialità della comunicazione a distanza;
- la realtà virtuale mediante la quale consentire la manipolazione di "oggetti" concreti e/o simbolici estendendo l'operare percettivo-motorio verso livelli di "manipolazione" prevalentemente simbolica, amplificando le possibilità di esperienza e conoscenza nel superamento del problem solving verso un problem making.
In un quotidiano contesto comunicativo in cui le conoscenze sono aggiornate, accresciute e modificate con ritmi accelerati e in cui le competenze sono continuamente superate, una grande attenzione dovrebbe essere rivolta allo sviluppo del potenziale individuale. La realtà, anche dagli studenti, non è più vissuta come statica e lineare ma come complessità dinamica che richiede flessibilità, adattamento e capacità di decisione. La navigazione ipermediale, pertanto, può contribuire a rafforzare le potenzialità individuali come una ricchezza che non deve essere dispersa e consentire lo sviluppo della creatività, intesa anche come spazio per apprendere dalle proprie emozioni.
E' evidente, a questo punto, come le nuove tecnologie della comunicazione, l'ipermedialità, la realtà virtuale, le reti telematiche, si propongano naturalmente alla didattica contribuendo a ridurre la complessità del rapporto insegnamento/apprendimento inserendosi con efficacia sia sullo sviluppo cognitivo individuale, sia nei contesti di interdisciplinarità didattica che nell'unitarietà di uno stesso curriculum scolastico. In alcuni contesti si è valutata l'efficacia di un " laboratorio di apprendimento tecnologico " nel quale i partecipanti hanno l'occasione di "visitare" l'ambiente ipermediale per svolgere approfondimenti in relazione a tematiche affrontate durante precedenti corsi di lezione, utilizzandolo sia come ambiente di autoanalisi della propria "competenza disciplinare" in prove di navigazione individuale, sia come stimolo a lavori di gruppo. In queste occasioni si sono rivelate le interessanti potenzialità della comunicazione ipermediale dal punto di vista del coinvolgimento e dell'apprendimento mettendo in evidenza il forte effetto sorpresa soprattutto tra coloro che ancora ritengono l'informatica essenzialmente legata al numero, tutt'al più alla parola.
La sigla P.C. non evoca più il lavoro e l'elaborazione individuale: gli ambienti ipermediali, la realtà virtuale, le reti telematiche arricchiscono la virtualità dei propri mondi interiorizzati nell'interazione emozionale con universi simbolici altri e possibili. Da Personal Computer a Processi Comunicativi : la scienza dell'informazione si intreccia con la scienza della formazione configurando, nella responsabilità della scelta, una nuova etica della co-esistenza.

 

Riferimenti bibliografici

Acone G. (1994), Declino dell'educazione e tramonto d'epoca , La Scuola, Brescia.

Antinucci F. (1993), Processi cognitivi e nuove tecnologie interattive , in G. Bellotti (a cura di), Del Virtuale , Il Rostro, Milano.

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dal sito: http://users.aliseo.it/angelo.vecchiarelli/quaderni%20disced%20università%20salerno%201-1995-3.htm

 

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